Il ragazzo della Giudecca, intervista al regista Alfonso Bergamo: "Racconto l'arte dietro le sbarre"
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Il ragazzo della Giudecca, intervista al regista Alfonso Bergamo: "Racconto l'arte dietro le sbarre"

sabato 14 maggio, 2016

Il ragazzo della Giudecca è nelle sale italiane dal 12 maggio, con un cast di assoluto rilievo - tra gli altri, GIancarlo Giannini, Franco Nero e Tony Sperandeo - ed una storia da raccontare: la vicenda giudiziaria del noto artista Carmelo Zappulla, imprigionato negli anni '90 per la testimonianza di un pentito. Il regista Alfonso Bergamo spiega ad Infooggi Cinema il senso della sua opera ("un messaggio di speranza"), portandoci sul set attraverso la descrizione di dettagli tecnici di fotografia e regia. E parlando di serie tv, esprime un elogio, ma anche un monito...

ANTONIO MAIORINO: Chi concepisce un film, ed in particolare chi lo dirige, è portato a pensare “per immagini”. Nel leggere il racconto autobiografico di Carmelo Zappulla, c’è stata un’immagine, un potenziale fotogramma che ti ha colpito al punto tale da dire, “da questo spunto , da questa suggestione, può nascere un film”?

ALFONSO BERGAMO: assolutamente. Dopo aver letto il libro Quel ragazzo della Giudecca, ho avuto subito un’immagine dentro di me, quella dell’artista dietro le sbarre, imprigionato, un po’ una metafora di quello che l’arte sta vivendo in questi giorni. Ho deciso subito di farci un film subito, perché era un tema prima o poi da affrontare.

A.M: Franco Nero ha spiegato (qui l'intervista) che se un regista manca di convinzione e di un progetto definito, gli attori prendono il sopravvento e su Il ragazzo della Giudecca ci ha tenuto ad osservare come tu avessi avuto, sin dal primo momento, le idee chiare. Cos’hai cercato di trasmettere al tuo cast, cos’hai cercato di tirar fuori da veterani come Giancarlo Giannini e Tony Sperandeo?

A.B: quello che ha detto Franco è una cosa giusta, bisogna avere le idee chiare, soprattutto quando hai a che fare con attori di questo calibro. Da una parte, le cose diventano più semplici, perché attori di quel tipo ti comprendono con facilità e riescono subito a capire quello che vuoi, come lo vuoi; dall’altra devi avere le idee chiare perché altrimenti, come diceva Franco, diventa tutto un po’ confusionario, ognuno dice la sua. Se ognuno fa il proprio film, diventano dieci film in uno. Invece bisogna fare il film che il regista ha nella testa.

A.M: appunto, qual era l’idea forte alla base de Il ragazzo della Giudecca?

A.B: la mia idea principale era quella di raccontare la storia di Carmelo Zappulla, quello spaccato di vita travagliato, così particolare, che molte generazioni non avevano potuto vivere, e farlo attraverso l’uso della simmetria dell’immagine ed una fotografia che evocasse gli stati d’animo del film e della storia stessa. In primis avevo un messaggio di speranza, perché Carmelo non aveva mai perso fiducia nella giustizia, ed il film ha l’obiettivo di trasmettere questo messaggio; dal punto di vista tecnico-sintattico avevo le idee chiare su come impostare il racconto attraverso una recitazione che va di sottrazione, tranne che per Sperandeo e Bracco (Cristian Stelluti, n.d.R.), il procuratore ed il suo assistito, che volevo un po’ più sopra le righe per raccontare la metafora della giustizia italiana ed europea. A differenza degli altri personaggi, Bracco ed il procuratore li volevo più fumettistici. [MORE]

A.M: in tema di personaggi, veniamo al protagonista. Carmelo Zappulla dev’essere stato inevitabilmente un attore sui generis, sia perché interpreta una vicenda vissuta in prima persona, sia perché non è in primo luogo un attore di cinema (nonostante una parentesi ad inizio anni ’80). Come ha saputo convincerti, come ha saputo sorprenderti?

A.B: è stato lui a convincere me. Dopo aver letto il libro non sapevo a chi proporre un casting per il protagonista, poi parlando con Carmelo mi ha detto: “ho desiderio d’interpretare me stesso perché voglio raccontare quello che ho vissuto”. Infatti sul set è stato proprio così, piangeva realmente, si è calato in quei panni: è stato triste, ma artisticamente intenso.

A.M: trattandosi del racconto di un incubo giudiziario, c’era il rischio che in qualche modo potesse il prodotto sfuggisse di mano e sfociasse in un film “procedurale”. Quali contromisure hai adottato per lavorare sullo scavo emotivo e per far emergere, piuttosto, il dramma biografico?

A.B: da un punto di vista strettamente narrativo, già in sceneggiatura abbiamo dovuto affrontare il problema che mi palesi: raccontando la realtà del processo, bisognava in effetti fare attenzione a non cadere nel classico film americano di processi. Ecco perché abbiamo dato attenzione alla parte della famiglia di Carmelo, degli affetti, a personaggi come la figlia e il fratello. Abbiamo cercato di trovare equilibrio tra la narrazione della famiglia e quella del processo vero e proprio. Anche da un punto di vista strettamente tecnico e registico abbiamo cercato di conseguire questo equilibrio, analizzando in profondità il processo ed in generale l’accaduto.

A.M: tornando alla sintassi del film, come l’hai definita, in che modo la fotografia de Il ragazzo della Giudecca contribuisce a creare una cornice emotiva ed allo stesso tempo realistica per il racconto?

A.B: attribuisco molta importanza all’aspetto fotografico dell’immagine ed alla sintassi registica. Ho cercato di caratterizzare i personaggi con i colori: i tre protagonisti – il procuratore, l’avvocato e Carmelo Zappulla – li ho raccontati attraverso il blu, il rosso ed il verde. Ogni volta che apparivano sul set, cercavo di usare questi tre colori. Dal punto di vista della regia, ho usato tre focali diverse come lenti per caratterizzare al meglio ogni singolo personaggio.

A.M: facciamo uno zoom out ed usciamo dal film. Siamo a poche ore dall’inizio della seconda stagione della serie Gomorra ed in generale viviamo un’annata cinematografica significativa per la nostra industria cinematografica. Che direzione sta prendendo il cinema italiano, secondo te, e quanto le serie tv, talora in passato tacciate di qualità inferiore, possono invece contribuire a rinnovare lo sguardo degli spettatori?

A.B: credo che il 2016 abbia segnato con Lo chiamavano Jeeg Robot, Perfetti sconosciuti ed altri film un momento importante: stiamo vedendo la luce in fondo al tunnel per il cinema indipendente. Inizio a percepire una risalita e questo mi fa ben sperare. Le serie tv già da un paio d’anni stanno prendendo piede anche in Italia – vedi Gomorra, ma anche Romanzo criminale – e molti registi cinematografici, anche americani, stanno traghettando sul piccolo schermo delle forme di sperimentazione. Ecco che allora nascono delle serie tv come Gomorra, che vendono in tutto il mondo. Le serie tv sono il futuro. Le nuove generazioni trovano ispirazione, una possibilità per crescere. Il cinema, allo stesso tempo, deve stare molto attento perché tolgono mercato. Gli eccessi non vanno mai bene, bisogna cercare l’equilibrio giusto. Ben venga, però che in Italia si facciano serie di un certo livello: l’America insegna.
 
Qui l'intervista a Franco Nero

USCITA: 12 maggio 2016
GENERE: Drammatico
REGIA: Alfonso Bergamo
ATTORI: Carmelo Zappulla, Franco Nero, Giancarlo Giannini, Tony Sperandeo, Luigi Diberti, Mario Donatone, Enrica Pintore, Claudia Samaras,
SCENEGGIATURA: Alfonso Bergamo
FOTOGRAFIA: Maurizio Matania
MONTAGGIO: Simon Baker
MUSICHE: Francesco Marchetti
PRODUZIONE: Uncovering Cinema Production
DISTRIBUZIONE: West 46th Films e Windfall Cinema Production
PAESE: Italia
DURATA: 95 Min

Sito ufficiale

(FOTO: in alto, dettaglio del manifesto de Il ragazzo della Giudecca; all'interno, Alfonso Bergamo, da Filmitalia)

 

Antonio Maiorino


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