La parola è un'arma. Intervista a Laura Aprati
Cronaca Emilia Romagna

La parola è un'arma. Intervista a Laura Aprati

martedì 4 settembre, 2012

Forlì, 4 settembre 2012 - Laura Aprati, classe 1958, è giornalista e autrice televisiva. Il fine del giornalista è quello di aprire la ferita, far vedere il pus e le parti cicatrizzate. Il cronista deve raccontare ciò che vede, con serietà e correttezza; mai mistificare la realtà per propri interessi o di chi è vicino, qualunque titolo abbia. 

Quando e perché è nata la passione per il giornalismo?
L’ho deciso a 13 anni quando ho letto “Niente e così sia “ di Oriana Fallaci. E l’ho anche messo nero su bianco in un tema di seconda media. Ho sempre amato scrivere e raccontare. Ma la vita mi ha fatto fare una strada tortuosa per arrivarci ma sono contenta perché questo percorso mi ha permesso di capire meglio la realtà che ci circonda. Ogni passaggio della mia vita è stato preparatorio a quello che faccio oggi.

Nel recente programma di Fazio e Saviano "Quello che (non) ho", gli interventi ruotavano su una parola che gli ospiti decidevano di portare, quale porteresti? Tu cosa non hai e hai?
Porterei uguaglianza. Una parola che mi risuona in testa da quando sono piccola. Sono stata allevata da mio padre nel rispetto di questa parola. Siamo tutti uguali, abbiamo pari diritti e dignità. Ho la libertà e non ho la legge uguale per tutti. 

Secondo Horacio Verbitsky, giornalista e scrittore argentino, il giornalismo è diffondere quello che qualcuno non vuole che si sappia. Il resto è propaganda", condividi?
Condivido pienamente anche se mi rendo conto che spesso è difficile. Lui lo ha fatto in uno dei momenti più bui della nostra civiltà quando scrivere la verità significava, realmente, la morte. Lo dovremmo poter fare tutti. Vorrei ricordare qui le parole di un grande giornalista francesce, Albert Londres: “Io rimango convinto che un giornalista non è un ragazzo del coro e che il suo ruolo non è quello di precedere la processione, la mano immersa in un cesto di petali di rosa. Il nostro compito non è non fare del male, è di portare la penna nella ferita”. Ecco, noi non dobbiamo mai precedere la processione o fare del male ma dobbiamo raccontare ciò che vediamo e lo dobbiamo fare con serietà e correttezza. 

Oggigiorno i neolaureati (possibili futuri giornalisti) lasciano in gran parte l'Italia alla ricerca di un futuro professionale migliore, convinti che in questo paese non ci sia più una giusta meritocrazia, cosa pensi a riguardo?
Domanda difficile. Innanzi tutto, dobbiamo dire che il paese paga oggi una politica del lavoro che è stata troppo subalterna alle meccaniche elettorali che al reale bisogno dell’Italia. Il mercato ha più offerta che richiesta. Su questo, sempre per i meccanismi di cui sopra, si innesca anche la mancanza di meritocrazia, che però, vorrei precisare, non vuol dire semplicemente avere una laurea. C’è un livello culturale molto basso per cui chi supera la media viene visto come un pericolo ed emarginato. Ma vorrei essere un po’ controcorrente e cioè questo metodo (basato sulla raccomandazione, sulla spintarella, sulla conoscenza) purtroppo ci è andato bene e ci sono state poche lamentazioni quando c’era posto per tutti adesso che la crisi sta togliendo spazi siamo più attenti a tutto e più critici verso regole e necessità. Per i giovani colleghi che vogliono andare fuori : sicuramente all’estero ci sono molte più possibilità, almeno di misurarsi con gli altri, c’è più attenzione alle capacità. Sicuramente fare esperienza in un altro paese ( e direi quelli anglofoni,il nord Europa e la Cina) è determinante con una controindicazione:il rientro in Italia, se il paese non cambierà, sarà traumatico. 

Michele Polo sostiene che le televisione pubblica viene vista anche come strumento di educazione e di unificazione del Paese, condividi?
Il professor Polo, che è della mia generazione, sa benissimo che la nostra televisione pubblica è stata strumento di educazione unificazione del Paese. Negli ultimi anni (io daterei dal 1984) ha perso questo ruolo inseguendo l’imitazione di una televisione commerciale che ha obiettivi diversi. L’ingerenza politica ha fatto il resto. Ma, forse perché ci lavoro da tanti anni, posso dire che rimane la più grande azienda culturale italiana e ci sono colleghi, autori e giornalisti, che sono riusciti, anche se con fatica, a non abdicare mai all’idea di obiettività,coerenza e di servizio pubblico. Perché se vogliamo possiamo sempre dire la nostra. L’importante è non barattare la propria visibilità con la propria coscienza. Adesso aspettiamo il nuovo corso.

Cosa significa fare libera informazione? Fare libera informazione richiama quello che diceva Londres: il giornalista non deve andare avanti alla processione di nessuno. Deve aprire la ferita, deve far vedere il pus e le parti cicatrizzate. Fare libera informazione vuol dire conoscere ciò di cui si scrive, vuol dire essere andati nei luoghi descritti. Libera informazione vuol dire aver riscontrato tutto quello che si scrive. Vuol dire scrivere per i lettori e non per migliorare la propria immagine. Con Enrico Fierro, con cui ho realizzato un libro reportage sulle mafie, abbiamo creato un blog che ha come obiettivo questo:libera informazione. Raccontiamo l’Italia che noi e chi collabora con noi, Angela Corica, Francesco Perrella, Giuliano Girlando e tanti altri, riusciamo a “vedere” con i nostri occhi. Non pubblichiamo un articolo solo perché magari, per sentito dire, ci sono dei rumors su qualcosa. Soprattutto libera informazione vuol dire non mistificare la realtà per interessi propri o di chi ci è vicino a vario titolo. L’impegno è verso chi legge. Forse per questo il nostro blog, la nostra pagina facebook e il canale you tube sono stati premiati dai lettori.

Cosa significa oggi informare e quale ruolo ha l'informazione nei confronti della mafia?
L’informazione come diceva Borsellino, che ammoniva “parlatene, dovunque potete parlatene alla radio, in televisione”, è un elemento determinante per la lotta alle mafie. Più si conosce il fenomeno e più si genera attenzione ai comportamenti sociali che esso genera. Bisogna parlarne ma non perché è di moda, non perché si fanno fiction, non perché occuparsi di crimine organizzato ti dà un ruolo diverso. Vanno bene i libri, vanno bene le fiction o i film ma attenti a non incorrere nell’errore di far diventare vittime i carnefici perché solo così si vende un libro o una fiction. Ricordiamoci sempre che la parola è un’arma. Va usata sapendo come usarla e non per gioco. Ricordiamoci che per parlare di mafie non si può semplicemente ricorrere a immagini stereotipate che neanche Francis Ford Coppola usò ne Il Padrino (1972). Parlare di mafie non serve per avere titoli sui giornali o rilievo nei parlamenti nazionali e internazionali. Io penso che le parole di Sciascia sui professionisti dell’antimafia rischiano di essere attuali soprattutto tra noi giornalisti e scrittori.

Ogni giorno molti giornalisti rischiano la loro vita nel quotidiano sforzo di trovare e raccontare la verità, spesso scomoda, in che modo dovrebbero essere tutelati?
Vorrei essere drastica e dire che potevano scegliere di scrivere di gossip ma capisco che spesso si entra in qualcosa di più grande di noi. La protezione viene dalla capacità di essere fermi nelle nostre idee e nelle nostre decisioni.

Il magistrato Antonio Ingroia è stato ufficialmente "promosso" all'Onu e va, tra qualche mese, in Guatemala per un anno perché non ce la fa più ad essere bersagliato dalle critiche della politica. E' chiaro a molti che è un modo per toglierlo dalla Procura di Palermo e, conseguentemente, dalle indagini sulle stragi. Cosa pensi a riguardo?
Penso che Ingroia tornerà e potrà mettere a frutto le sue conoscenze Su Cosa Nostra. La sua partenza non metterà fine alle inchieste sulla trattativa che andranno comunque avanti perché, come ci ha insegnato il pool antimafia di Caponnetto Borsellino Falcone, non si concentrano mai le inchieste di mafia nelle mani di un solo magistrato.

Il Fatto Quotidiano ha aperto una vera e propria campagna per rompere l’accerchiamento dei pm siciliani che cercano la verità sulla trattativa stato – mafia”. Perché ritieni sia importante aderire?
Perché bisogna conoscere la verità. 

Oggi le mafie italiane sono intrecciate fortemente con il potere, diventando parte integrante del sistema, sei d’accordo?Non è una semplice affermazione se vediamo le ultime inchieste sulla Lega per esempio. Tutto ciò evidenzia che il sistema e il modo di pensare mafioso ha pervaso tutta la nostra società che ci è cresciuta dentro e vi si è adagiata. Ha voltato spesso la faccia per non vedere cosa gli succedeva a fianco. Leggendo un libro sull’Avvocato dei misteri, Vito Guarrasi, si trovano gli appunti, i dettagli dell’accordo degli americani con Cosa Nostra per sbarcare in Sicilia. Diciamo che negli ultimi 20/25 anni questo modo di agire è stato eletto a sistema. L’illegalità ha prevalso sulla legalità.

Il 23 maggio scorso è stato il ventennale della strage di Capaci e il 19 luglio della strage di via D'Amelio, chi sono stati Falcone e Borsellino per te?
Credo che ogni frase può sembrare retorica. Sono un simbolo come tutti gli altri uomini dello Stato che sono morti per far si che questo Paese fosse migliore.[MORE]

Giulia Farneti

 

 

 


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