La vittoria di Kobane è la sconfitta del mito espansionistico dell'ISIS
Estero Valle d'Aosta

La vittoria di Kobane è la sconfitta del mito espansionistico dell'ISIS

venerdì 30 gennaio, 2015

 KOBANE, 29 GENNAIO 2015 – Dopo ben 134 giorni di resistenza, l'Unità di Protezione Popolare Curda (YPG) a Kobane ha definitivamente sconfitto l'assalto dell'ISIS cominciato lo scorso 15 settembre. Molti tra analisti, giornalisti, l'ISIS stesso e funzionari occidentali avevano predetto una sconfitta curda. Ma, nonostante il Califfato abbia investito un ingente numero di risorse umane e finanziarie, non è stato in grado di conquistare il paese siriano e rinominarlo Ayn al-Islam (Fonte dell'Islam). Al contrario, Kobane si è trasformato in un cimitero per i miliziani dell'ISIS, che cominciavano a chiamare il paese Ayn al-Shuhada, ossia “Fonte di Martirio”, dove almeno mille combattenti sono stati uccisi.

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L'attacco a Kobane è cominciato verso la metà di settembre, dopo che ribelli curdi e arabi si erano coalizzati contro la roccaforte dell'ISIS presente ad al-Raqqa. Secondo quanto affermato dall'ISIS in un video girato in settembre, Kobane “era il rifugio di tutti i nemici del Califfato”. Inizialmente gli Stati Uniti avevano pensato che il paese sarebbe finito nelle mani dell'ISIS nonostante i bombardamenti, in assenza di truppe di terra. In più, il Segretario di Stato americano John Kerry riteneva che Kobane non era un obiettivo strategico. Dello stesso avviso era il primo ministro turco Erdogan.

Riluttanza occidentale

Gli Stati Uniti sono stati in un primo momento riluttanti a sostenere i curdi, temendo reazioni dalla Turchia – alleata NATO. Questa infatti si era rigidamente opposta ad ogni supporto da parte delle forze occidentali ai ribelli curdi di Kobane, per i loro legami con il partito fuorilegge curdo presente sul territorio turco, il PKK, il quale ha dato filo da torcere ad Ankara negli ultimi 30 anni. La Turchia era contro qualsiasi tipo di vittoria dell'YPG; agli occhi di Erdogan, non vi era distinzione alcuna tra YPG e PKK: entrambi erano gruppi di matrice terrorista, nonostante i curdi, agli occhi degli occidentali, si stavano opponendo a “terroristi”. Alla fine, la Turchia s'è ritrovata costretta a consentire il supporto all'assediata Kobane, accettando il passaggio di circa 150 truppe curde irachene che andassero a rinforzare il fronte dei curdi siriani. Gli Stati Uniti hanno persino aumentato i bombardamenti a Kobane, oltre a continuare ad armare i curdi, nonostante l'opposizione della Turchia.

Il 27 ottobre 2014, l'ISIL ha diffuso un video girato a Kobane con l'ostaggio britannico John Cantlie, prevedendo la sconfitta della coalizione anti-ISIS: «Ma loro sanno che i anche mujahidin [i combattenti dell'ISIS] sono consapevoli che tutta la loro potenza aerea e le loro truppe di terra non saranno sufficienti a fermare l'avanzata dello Stato Islamico, qui a Kobane e da nessuna altra parte», si ascoltava nel video.

Nonostante la battaglia possa apparire insignificante ai tanti, essa è però diventata il simbolo della vittoria della coalizione di Obama che vuole sconfiggere l'ISIS. I curdi sono stati in grado di distruggere il mito, propagandato dall'ISIS stesso, della espansione del Califfato nonostante la potente opposizione. Il magazine dell'ISIS, il Dabiq, ha provato a comparare le vittorie del Califfato con quelle del profeta Maometto, che prevalse contro tutte le avversità.

La resistenza curda

La sconfitta dunque danneggia le sbandierate credenziali di una sempiterna vittoria, e insieme alle recenti perdite in Iraq, l'ISIS ha perduto anche la propria iniziativa di terra e ha raggiunto i propri limiti di espansione. Molto probabilmente, l'ISIS punta su nuovi punti deboli in Siria, in modo da sostenere il proprio mito espansionistico. Sempre in settembre, l'ISIS ridicolizzava i combattenti curdi: «Combattono con una ideologia laicista per la terra e uno stato intriso di secolarismo. Non sono forti combattenti. Le loro basi sono deboli, sono fatti per crollare».

Ma a quanto pare, sia l'ISIS che gli Stati Uniti avevano sottostimato la resistenza dei combattenti curdi. Anche nell'ultimo bollettino, il Commando Centrale Americano aveva elogiato i “coraggiosi soldati” per i loro sforzi e la loro forza d'animo, senza menzionare che si trattava di curdi e appartenenti al gruppo YPG. Ad ogni modo, ciò non vuol dire che la battaglia sia finita. La sfida della coalizione anti-ISIS più grande sarà quella di annientare il terrorismo nella loro roccaforte ad al-Raqqa in Siria, e a Mosul, la seconda città irachena. E per il fatto che entrambe le città sono circondate da territori abitati dai curdi, sarebbe saggio ricordare all'ISIS la resistenza dei curdi.

Foto / Fonte: aljazeera.com

Dino Buonaiuto


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