Mezzi di disinformazione e di distrazione di massa. L'arte del parlar d'altro
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Mezzi di disinformazione e di distrazione di massa. L'arte del parlar d'altro

martedì 14 giugno, 2011

Roma 14 giugno 2011 -  L’ufficio Disinformatja del KGB nell’epoca di massimo splendore dell’URSS aveva l’ingrato compito di censurare, troncare e sopire, sopire e troncare, per dirla come Don Ferrante di manzoniana memoria, tutte quelle notizie che potessero turbare l’opinione pubblica del tempo. Non bisognava raccontare i fatti per non disturbare le opinioni. Il massimo risultato ottenuto si ebbe nel 1979 durante l’invasione sovietica dell’Afghanistan o nel 1986, quando la nomenklatura sovietica censurò l’incidente alla centrale nucleare di Chernobyl. [MORE]

Anche Stati che si professano più democratici sono ricorsi e/o ricorrono più volte alla censura. Negli Stati Uniti, per esempio, l’amministrazione Bush vietò di pubblicare le foto dei militari morti in Irak o nei vari scenari di guerra in cui sono sempre protagonisti.

Alle nostre latitudini, se la censura non è così applicabile, s’ interpreta in altra maniera, ovvero parlando d’altro, sviando il discorso. Come recitava la famosa canzone in cui la marchesa chiedeva al suo maggiordomo le notizie. Se queste erano scomode, Battista il maggiordomo rispondeva: “Tutto va ben, madama la marchesa”.

La notizia del raggiungimento del quorum ai referenda del 12 e 13 giugno ha gettato nello sconforto non solo il capo dell’esecutivo, che sembrava più che sicuro dell’astensione degli elettori, ma anche i mezzi d’informazione, o meglio, di disinformazione.

Mentre giornali (quasi tutti) e TV (solo RAI3 e La/) commentavano la débacle del governo alle amministrative prima e al quesito referendario dopo, sul primo canale della TV di Stato (pagata dai cittadini con l’obolo del canone) andava in onda Bruno Vespa che parlava di un tema interessante. Il risultato schiacciante dei Sì? Errore. Delitti e misteri. Un’arma di distrazione di massa. Pur di non parlare della sberla elettorale, così definita dal ministro Calderoli, i vertici della RAI hanno adottato al tecnica del parlar d’altro. Per non parlare delle date sbagliate in cui si votava o addirittura delle previsioni meteo in cui si diceva che domenica 12 sarebbe stata una bella giornata per andare al mare.

Nel salotto di “Porta a Porta”, quando non è occupato dalle ricostruzioni plastiche di luoghi del delitto di dubbio gusto, non sono nuovi a questi escamotage. Anni fa, quando Cesare Previti fu condannato per corruzione del giudice Squillante, Bruno Vespa si presentò in studio con il tema delle diete. Quando Marcello Dell’Utri si prese 9 anni di reclusione per associazione mafiosa, lo stesso Vespa glissò l’argomento e parlò dell’Isola dei Famosi.


Certo, sono tematiche che interessano sicuramente una buona parte della popolazione ed è anche giusto ogni tanto “cazzeggiare” (perdonate il francesismo), però che senso ha definirsi un programma di approfondimento delle tematiche attuali se, proprio nel momento clou, si cerca di evitare l’argomento, come uno studente impreparato al cospetto dell’insegnante?


Può davvero questa definirsi informazione o stiamo parlando di disinformazione? Il TG1, un tempo istituzionale, anche se filogovernativo, era il più seguito in termini di ascolto. Con la direzione di Augusto Minzolini, bravo giornalista ai tempi de La Stampa, ha perso sempre più ascolti e ha ricevuto numerosi richiami dall’AGCOM, che non è certamente un covo di bolscevichi, poiché il direttore è di nomina governativa. Il TG1 è diventato maestro supremo del parlar d’altro, trattando argomenti di per sé molto futili, come la prova costume, il vestito per il cane, e altri dello stesso tenore. Non è un caso che con la direzione di Minzolini molti mezzi busti storici, come Marialuisa Busi o recentemente Elisa Anzaldo abbiano deciso di non condurre più il telegiornale.


L’argomento è delicato e il problema esiste e di certo non si può pretendere di risolverlo con una nuova nomina a direttore di RAI e TG. Occorre un lavoro molto più profondo, in primis nel capire cosa si debba intendere per servizio pubblico che, in special modo per quanto riguarda l’informazione, dovrebbe essere il cane da guardia, e non da riporto o da compagnia del potere. E dovrebbe valere per i giornali e per i telegiornali.


Altrimenti si assisterà a una costante perdita di ascoltatori e lettori di giornali e telegiornali e si vedranno televisioni e giornali considerati di nicchia un tempo, come La7, aumentare i propri dati Auditel. E non è un caso che Michele Santoro sia in procinto di passare sulla rete controllata dalla Telecom.

Giovanni Dimita

 

 

 


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