Stabile di Catania: prosegue alla Sala Musco il cartellone "L'isola del Teatro"
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Stabile di Catania: prosegue alla Sala Musco il cartellone "L'isola del Teatro"

giovedì 18 dicembre, 2014

CATANIA, 18 DICEMBRE 2014 - Riceviamo e pubblichiamo. C’è una croce stilizzata al centro del palcoscenico ed è il perno di tutta l’opera, omaggio al “tormento” religioso di Giovanni Testori, uno dei maggiori intellettuali italiani del Novecento. [MORE]

Attorno a quel simbolo ruota una storia di sofferenza, solitudine e disperata ricerca d’amore, messa in scena a due voci dalla monaca Felicita e da un narratore, incarnati da Maddalena e Giovanni Crippa, fratelli d’arte che non hanno certo bisogno di presentazioni. Dal 19 al 21 dicembre il sipario della sala Musco si aprirà su “Passione”, un dramma intenso che Daniela Nicosia ha tratto appunto dal romanzo “Passio Laetitiae et Felicitatis” di Testori, fecondo drammaturgo, scrittore, storico dell’arte e critico letterario.

Un’altra scommessa, quella del Teatro Stabile di Catania, guidato dal direttore Giuseppe Dipasquale che anche questa volta rivolge lo sguardo ad una forte drammaturgia tutta contemporanea, frutto di un’importante coproduzione targata “Tib Teatro”, “I Teatri del Sacro” e “Fondazione Teatri delle Dolomiti”. Per trasporre lo struggente lavoro di Testori, Daniela Nicosia- ideatrice del progetto, di cui firma la drammaturgia e la sapiente regia - ha voluto un raffinato tandem, ovvero i fratelli Crippa, Maddalena e Giovanni, prestigiosi interpreti del panorama teatrale nazionale. Si erano incrociati, ma senza scene in comune, dieci anni fa a Siracusa, per la “Medea” diretta da Peter Stein - marito di Maddalena che la scelse come protagonista; di fatto è la prima volta in cui interagiscono in palcoscenico dopo gli spettacoli amatoriali interpretati da ragazzi sotto la direzione del padre.

“Passione” è dunque un’occasione da non perdere per questa copia che condivide con Testori le medesime origini, radicate nel paesaggio e nello spirito della Brianza. Gaetano Ricci ha disegnato le scene, Silvia Bisconti i costumi, Stefano Mazzanti le luci, Laura Zago ha curato gli elementi coreografici.
«In qualunque rapporto d’amore c’è una tristezza sconfinata, tuttavia, se questa tristezza viene accettata e accolta con carità, in primis come parte della coscienza di sé, allora diventa dramma, e può offrire qualcosa agli altri». Così pensava Giovanni Testori. L’inferno della solitudine e il paradiso della Duità, tra questi due poli si dispiega la storia di Felicita, la “disaccentuata”, e della sua disperata ricerca d’amore.

Un’esistenza intessuta di dolore, sconvolta dalla morte improvvisa del fratello, amato così tanto da sfiorare l’incesto, dalla violenza sessuale subita, dall’innamoramento per il Cristo, col conseguente prendere il velo, e infine dall’amore per la giovane Letizia, grazie al quale Felicita conosce la felicità solo per un attimo, destinato a tradursi in tragedia. La via crucis della vita, una vicenda blasfema e carnalmente mistica, in cui il rapporto religioso può apparire dissacrato, mentre racchiude, insieme all’invettiva, tutto lo strazio e l’umiltà della preghiera, in un costante dialogo con Cristo. Sullo sfondo il paesaggio umano di una Brianza di struggimenti e di miseria.

Spiega la regista: «In “Passio Laetitiae et Felicitatis”, titolo che parafrasa un testo della martirologia cristiana, ecco che romanzo, teatro e poesia, come scrisse Giovanni Raboni, "si fondono al calore di un plurilinguismo totale”, che nell'idioletto di Felicita, misto di latino, francesismi, lombardo e lingua del Seicento, unisce il colto al popolare, dando vita ad un prorompente impasto linguistico, che dona corpo, spessore e straordinaria forza comunicativa alla parola. Parola che è essa stessa corpo, con le lacerazioni e il sangue ad esso connesso. Parola-corpo - che contiene l'urgenza di essere pronunciata, che già sulla pagina è grido - che, oltre ai profondi interrogativi testoriani sul senso ultimo dell'esistenza, ha fatto nascere in me, come negli interpreti, la necessità di metterla in scena, di declinarla col linguaggio del teatro, che è voce e corpo insieme».

Un’esperienza totalizzante, un fuoco inestinguibile. «Una parola – evidenza ancora Daniela Nicosia – che comprende e abbraccia il dolore, una parola che è “passio”, passione nel suo significato originario di travaglio, pena, sofferenza, sia nell'atto dell'essere scritta che in quello dell'essere proferita. Questo rapporto tra colui che scrive e colei che è scritta, mi ha guidata nella scelta di due interpreti, che, a prescindere dai generi, incarnino quella parola, dandole voce. Maddalena e Giovanni Crippa, fratelli nella vita, entrambi uniti dall'unicità di quella lingua, che è sia di Felicita che del narratore, ci raccontano così, in una scena scarnificata, sezionata dai tagli di luce, su cui sola riverbera il segno di una croce, questa storia di fraterne intimità, di languori, di amori irregolari e visionari, generando un singolare corto circuito tra teatro e vita”».

Fonte: Ufficio Stampa Teatro Stabile di Catania


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