Alighiero Boetti: quando rame diventa anagramma d'arme
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Alighiero Boetti: quando rame diventa anagramma d'arme

giovedì 24 marzo, 2011

24 marzo, InfoOggi (M) arte - Un titolo marziano per una rubrica marziana o artistica... che è poi la stessa cosa, considerando la famigerata aura che avvolge la figura dell'artista. A lungo è stata quasi sacrale: il genio, dicevano. Poi generazioni di artisti nel XX secolo si sono volutamente dissacrati, con gesti profanatori che oscillano dall’accumulo di una valanga di cianfrusaglie spacciate per opera d’arte, all’inscatolamento delle proprie feci; da duelli di sciabola con tele tagliate, ai maiali sgozzati in pubblico; dagli animali intrappolati in formaldeide, ai quadri di un solo colore. Che, a capo di questo elenco, sembrano i prodotti più normali! [MORE]

I prodotti più terrestri, diremo. Già, perché gli artisti sembrano “marziani”, lo sono diventati. Ma a chi volesse gabellare la scollatura tra il pubblico e l’artista come fenomeno del Novecento, andrebbe chiesto se davvero le Madonnine d’un Raffaello, le parabole d’un Giotto o le visioni drammatiche e ombrose d’un Caravaggio siano davvero compresi di là del loro valore di cartolina per giapponesi. L’arte resta, a molti, insondata; perché, ad altrettanti, non viene spiegata.

Né che un professore, a tavolino, possa svelare i trucchi del prestigiatore munito di tela e pennello. Piuttosto mancano i “divulgatori”, coloro che l’arte, più che spiegarla, la raccontino. La nostra scommessa? Riportare i marziani sul pianeta Terra. A partire da oggi, dove la presunta indecifrabilità di un artista come Alighiero Boetti è, inaspettatamente, collegata alla realtà presente.

Necessario conoscere Boetti per capire questa rubrica? Affatto. Un visitatore in un museo, spesso, incappa nell’opera per caso. E non conosce l’artista.

Se sfogliando un catalogo, oppure visitando una mostra, ci trovassimo di fronte a “12 forme a partire dal 10 giugno 1967” (1967-71; collezione privata, Roma) guarderemmo probabilmente ora sgomenti, ora confusi, ora indifferenti alle 12 lastre di rame, con piccole forme incise sulla superficie rossastra, che sembra il suolo del Pianeta Marte. Che roba è? Cosa ha a che fare con noi, con l’uomo, col tempo, con la storia?

Niente di così marziano, invece. In un articolo comparso su InfoOggi il 23 marzo 2011, il redattore Vincenzo Andraous, commentando i recenti avvenimenti bellici che vedono coinvolti la Libia ed il mondo occidentale nell'articolo "Sull'ingiustizia di tutte le guerre", scrive: “Scacchieri e pedine si muovono lentamente intorno a paesi dimenticati, città violentate, popolazioni abbandonate in confini inventati e frontiere frantumate”. E sceglie come immagine una mappa. Un filo invisibile lo lega a Boetti. Incredibile: un filo dalla Terra a Marte! O semplicemente, dalla Terra all’arte.

L’idea di Boetti è involontariamente echeggiata nelle parole dell’inconsapevole redattore: a riprova di come l'arte non sia poi così lontana da noi. La guerra striscia con inesorabilità, tra la carne viva delle ossa maciullate e la polvere sminuzzata delle macerie, mentre un gioco alternato di scartoffie di diplomatici in doppio petto e rombi di caccia ridisegnano, a un tempo, la realtà e le cartine. L’artista pensa per immagini: una mappa geografica di cui cambino i confini in pochi giorni esprime in maniera puramente formale, cela, meno aridamente di queanto si pensi, una realtà che si riplasma ogni momento e la cui visceralità è inevitabilmente decantata dall’informazione. Un paio di bombe, e cambia una cartina, una nuova forma è nata: una nuova opera potenziale.

Opera marziana, quella di Boetti? Mica tanto. Andate a dirlo a: chi combatte sui campi di battaglia; a chi legge con preoccupazione le notizie sui giornali; ai familiari di chi s’ingualdrappa con la tuta da pilota negli aerei da bombardamento. Le mappe di Boetti, nella provocatoria essenzialità di una forma troppo facilmente metamorfica, stipano la tensione epidermica del raid d’artiglieria; assorbono l’eco delle granate che arrivano attutite nei bunker; s’impregnano del sudore dei diplomatici che dissimulano fragili tranquillità nei negoziati. Umano, troppo umano. La Storia è più grande di noi: le mappe si ridisegnano in un istante sopra le nostre teste. O forse è piccolissima: come l'immagine incisa su di una lastra di rame. Quanto facilmente cambiano le cose, e spesso siamo solo i destinatari della notizia di avvenuto cambiamento.

Dalla “battaglia del Sinai”, scoppiata nel 1967 tra Egitto ed Israele, alla separazione del Bangladesh dal Pakistan nel 1971, la geografia politica – e con essa, le mappe del Medio Oriente – cambiarono ripetutamente. Ed i giornali erano lì, a raccontarlo, così come oggi inviati e militanti delle scrivanie aggiornano di ora in ora il bollettino delle operazioni militari in Libia. Spiegò Boetti: “Ho ripreso tale e quale la prima pagina de La Stampa che riproduceva questa carta, ma cancellando tutto il resto - tranne la data - e l’ho incisa su una lastra di rame. Avevo capito che ogni volta che si trova una forma sulla prima pagina di un giornale […] qualcosa di importante si era prodotto”.

Il racconto, si tratta di questo. I giornalisti hanno il proprio codice, gli artisti il loro. Ma i protagonisti, in filigrana – o in una forma che cambia – siamo sempre noi. Rigorosamente piantati sul pianeta Terra. Nella trincea dell'informazione, o sulle terre sotto assedio.

ANTONIO MAIORINO
 


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