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Antimafia: cosche avvicinano calciatori per truccare match

ROMA, 14 DICEMBRE - I rapporti con i giocatori possono essere sfruttati a fini illeciti, attraverso il cosiddetto match fixing, cioe' l'alterazione del risultato sportivo al fine di conseguire illeciti guadagni attraverso il sistema delle scommesse. E' quanto si legge nella relazione finale del IX Comitato Mafia e manifestazioni sportive, coordinato dal deputato Marco Di Lello,i cui relatori sono la presidente della Commissione Antimafia, Rosy Bindi e Marco Di Lello. [MORE]

"La possibilita' di avere libero accesso agli ambienti societari e, ancor di piu', la frequentazione di un calciatore importante della squadra locale per un soggetto mafioso ha una duplice valenza. Innanzitutto - si legge nella Relazione - essa e' certamente motivo di rafforzamento della propria immagine e del proprio prestigio personale all'interno del sodalizio mafioso e diventa, dunque, seppure in molti casi in maniera anche ingenua o inconsapevole da parte del calciatore, un veicolo di affermazione nel mondo della stessa malavita organizzata. 


Inoltre, l'avvicinamento al mondo del calcio da parte delle organizzazioni criminali, che e' spesso dettato da questioni di carattere essenzialmente economico e di reimpiego di capitali illeciti, assume importanza fondamentale per accreditarsi a livello sociale, sia come immagine nell'opinione pubblica, sia per i rapporti che si riescono a instaurare con il mondo imprenditoriale, amministrativo e politico locale. In genere cio' avviene naturalmente attraverso soggetti contigui alle organizzazioni criminali o per il tramite di prestanome , soprattutto nelle serie minori, in particolare nel settore dilettantistico . Non sempre, pero' - si spiega - i calciatori sono inconsapevoli dei rapporti ambigui che stanno intrattenendo. In alcuni casi, il rapporto con il soggetto mafioso e' anche coltivato, perche' per lo stesso calciatore il poter contare sull' amicizia di un mafioso puo' essere utile ad affermare la propria figura a livello sociale, nel senso di incutere rispetto attraverso un ' intimidazione "mediata ", o a risolvere con metodi poco ortodossi, le proprie questioni personali, spesso di carattere economico, con soggetti terzi. 

Un caso emblematico in questo senso e' quello del calciatore Fabrizio Miccoli, condannato dal tribunale di Palermo il 20 ottobre 2017 a tre anni e sei mesi per estorsione, con le aggravanti di aver commesso il fatto, avvenuto a Palermo nel settembre - ottobre 2010, avvalendosi del metodo mafioso e della violenza e minaccia commessa da piu' persone".