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Arizona, pena di morte: condannato muore dopo due lunghe ore di agonia

 WASHINGTON, 24 LUGLIO 2014 – È morto, in Arizona, dopo due lunghe ore di agonia Joseph Rudolph Wood, il condannato alla pena capitale che nel 1989 aveva ucciso a colpi di pistola la fidanzata Debbie Dietz e suo padre. Qualcosa forse non è andata come doveva e quella che doveva essere un’agonia di pochi minuti è invece durata 1 ora e 57. L’iniezione fatale infatti è stata somministrata a Wood alle 13.52 e il decesso è stato registrato alle 15.49, lo si è appreso dall’ufficio del procuratore generale dell’Arizona, Tom Horne.

Il condannato fino a un’ora e 10 dopo che l’iniezione era stata somministrata ancora respirava e si muoveva ansimando e rantolando. Una vera e propria tortura, ed è per questo che nel corso dell’esecuzione i legali di Wood hanno presentato un appello d'emergenza dopo aver visto il loro assistito in quelle condizioni. L’ottavo emendamento della Costituzione americana proibisce infatti l’uso di punizioni “crudeli e inusuali”, come viene considerata questa, dagli avvocati, per l’eccessivo grado di sofferenza provocato al condannato.[MORE]

Wood nelle sue ultime 24 ore di vita aveva avanzato numerosi ricorsi contro la mancata trasparenza circa i farmaci utilizzati e contro l’incapacità del personale addetto alla somministrazione dell’iniezione letale. In seguito a tali richieste una Corte d’Appello aveva sospeso l’esecuzione, ma è stata poi la Corte Suprema a far iniziare la procedura.

Questo caso è destinato ad alimentare ancora il dibattito contro la pena di morte negli Stati Uniti. La condanna a morte di Wood è la prima di quest’anno in Arizona e la 26esima degli Stati Uniti. Più volte, nell’arco del 2014, è successo che i condannati hanno presentato ricorsi per conoscere i farmaci letali utilizzati, si pensi al caso dello scorso aprile in Oklaoma e quello di quasi due mesi dopo in Georgia. Tutte le storie hanno un finale comune: ricorso respinto ed esecuzione portata a termine. Gli stati in cui viene applicata la pena capitale non vogliono far conoscere i medicinali con cui è preparata l’iniezione.

Michela Franzone