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Armenity, il genocidio armeno alla Biennale di Venezia 2015

VENEZIA, 5 MAGGIO 2015 – L’Esposizione Internazionale d’Arte festeggia 120 anni: la 56ª edizione, organizzata dalla Biennale di Venezia presieduta da Paolo Baratta, con la direzione di Okwui Enwezor, anticipa già dal titolo, All the World’s Futures, il tema del rapporto fra l’arte e il tempo, virato alla politica e alla visione del mondo, interrogandosi su “tutti i futuri del mondo” - aperta al pubblico dal 9 maggio al 22 novembre 2015 ai Giardini della Biennale, all’Arsenale e nel centro storico della Serenissima. Quanto ai numeri, 89 paesi partecipanti (presenti per la prima volta Grenada, Mauritius, Mongolia, Repubblica del Mozambico e Repubblica delle Seychelle); 136 artisti; 44 eventi collaterali.[MORE]

Per il Padiglione Italia, in Arsenale, la curatela è stata affidata quest’anno a Vincenzo Trione: tra i protagonisti del progetto Codice Italia, Jannis Kounellis, Mimmo Paladino, Nino Longobardi, Claudio Parmigiani, Nicola Saporì, Vanessa Beecroft e Francesco Barocco.

Sull’Isola di San Lazzaro degli Armeni (tra San Marco e il Lido), nel monastero mechitarista, mercoledì 6 maggio si alzerà il sipario sul Padiglione dedicato alla Repubblica d’Armenia, con la mostra Armenity. Artisti contemporanei della diaspora armena, a cura di Adelina Cüberyan v. Fürstenberg: «Nei suoi trecento anni di storia - spiega la curatrice - il monastero di San Lazzaro ha aiutato a preservare l’eredità culturale unica dell’Armenia, della quale gran parte sarebbe altrimenti andata perduta». Nel 1717, su tale isola veniva fondato l’ordine mechitarista dal monaco armeno Mekhitar; inoltre, tra le curiosità, nei primi anni del XIX sec. Lord Byron vi compì gli studi sulla lingua armena.

Il percorso espositivo suggerisce il valore della memoria, attraverso il ricordo del terribile genocidio armeno - compiuto dall'impero ottomano, sotto la guida del movimento nazionalista dei Giovani turchi -, che costò la vita a un milione e mezzo di persone tra il 1915 e il 1923, nel centesimo anniversario dal suo inizio (era il 24 aprile del 1915).

Per Adelina Cüberyan v. Fürstenberg, «Armenity è un progetto curatoriale che si interroga sul concetto di identità armena contemporanea come risultato delle connessioni storiche che hanno caratterizzato la cultura armena attraverso i millenni, dalle terre dell’Anatolia, al Caucaso e attraverso le successive tappe della diaspora. La ricchezza della mostra – espressa attraverso la diversità della creatività, della narrazione e della visione di ciascun artista e intellettuale coinvolto – è la diretta riflessione di un processo continuo di preservazione e arricchimento che ha permesso alla cultura armena di essere integrata ma non assimilata, a dispetto di ogni avversità storica».

«Il titolo - prosegue la curatrice -, ispirato alla parola francese Arménité, può essere considerato una specificità dei nipoti di coloro che sono sopravvissuti al Genocidio Armeno, il primo del ventesimo secolo: una generazione che esiste all'interno di un flusso costante, con un moderno e spesso soggettivo senso di essere-nel-mondo».

Il Padiglione armeno ospita «18 artisti significativi a livello internazionale e di generazioni differenti, un insieme “transnazionale” sotto l’insegna di un’identità frammentata»: Hrair Sarkissian (Siria/Inghilterra), Rene Gabri & Ayreen Anastas (Iran/Palestina/Stati Uniti), Aikaterini Gegisian (Grecia) e Aram Jibilian (Stati Uniti), per citare alcuni nomi; e ancora Silvina Der-Meguerditchian (Buenos Aires, 1967), con l’installazione omaggio alle 340 ricette mediche popolari tramandatele dalla nonna, ed Hera Büyüktaşçıyan (Istanbul, 1984), che proporrà Letters from Lost Paradise, un lavoro sulla lingua armena, “La lingua del paradiso perduto”, secondo la lectio del poeta Byron.

 

Domenico Carelli

(Foto: gallery, Courtesy Studio Lucia Crespi - Ufficio Stampa Art for The World; in evidenza, particolare di 11, 11b, 11c. Hrair Sarkissian, Unexposed, 2012 - Archival inkjet print 137.5 x 110 cm, Courtesy Kalfayan Galleries, Athens/Thessaloniki)