Armi da fuoco e scena del crimine. Intervista al Balistico Paola Corsignano Carrieri
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Armi da fuoco e scena del crimine. Intervista al Balistico Paola Corsignano Carrieri

domenica 5 agosto, 2018

ROMA, 5 AGOSTO 2018 - La Dottoressa Paola Corsignano Carrieri, perito balistico e criminalista, nell’intervista che segue spiega ai lettori in cosa consiste la sua professione e quanto sia importante ai fini investigativi il ruolo del balistico, soprattutto in quelle scene del crimine in cui l’offender è un soggetto ignoto, da individuare e consegnare alle autorità.


Dottoressa Carrieri, di cosa si occupa un balistico?
“Credo sia propedeutico rispondere, tra svariate interpretazioni, fallaci e fantascientifiche, al quesito cosa sia effettivamente la balistica. E dunque, la ricostruzione degli accadimenti delittuosi, finalizzata alla identificazione del reo e della responsabilità penale connessa al suo agere, nonché, conseguentemente, al comminare la pena, costituisce una delle problematiche più ricorrenti nelle indagini forensi. La balistica, species del genus criminalistica, è una peculiare tecnica dell’investigazione criminale, probabilmente tra le più ardue delle scienze forensi. Complessa scienza che studia il fenomeno di grevi proiettati da macchine termo- meccaniche, in essa convergono discipline eterogenee: medicina legale, fisica, chimica, giurisprudenza, merceologia, etc. I tradizionalisti, opportunamente, la scompongono in balistica interna, esterna e terminale. Tradotto in soldoni, la balistica interna studia, analiticamente e praticamente, i fenomeni fisici, chimici e meccanici nonché ogni elemento che caratterizzi il ciclo dello sparo ed il moto del proietto all’interno dell’arma sino al suo fuoriuscire dal vivo di volata. Fenomeni che sono assoggettati a tempi brevissimi, un centesimo di secondo, gongolando tra pressioni e temperature elevatissimi. La balistica esterna si concentra su ciò che accade dal momento in cui il proietto abbandona il vivo di volata ed attinge il bersaglio. Tenendo ben a mente che il centro di gravità del proietto sia assoggettato ad “ostilità” imputabili a forza di gravità e resistenza dell’aria. E, infine, la terminale. Quale condotta e quali conseguenze riferibili al proietto che abbia attinto il bersaglio. L’evoluzione dei tempi ha comportato che, in ambito investigativo e, inevitabilmente, anche balistico, siano entrati in gioco software e tecnologie sempre più moderni, sempre più sofisticati, sempre più al passo con i tempi, sempre più scrutanti ciò che accade oltre i nostri confini nonché più approfondite competenze che si intrecciano con gli esiti di attività sperimentali in funzione della comprensione, interpretazione, ricostruzione dei fenomeni di interesse dell’autorità giudiziaria. L’attività investigativa criminalistico - balistica assume un ruolo più che determinante; interviene indagante e silente nei delicatissimi e primissimi momenti dell’immediato successivo alla commissione del reato, con l’onere di individuare la qualunque abbia potuto assumere un ruolo all’atto della commissione del fatto di reato e di garantire l’opportuna conservazione dei reperti al fine della successiva attività di indagine in laboratorio ed utilizzo in sede processuale”.

E, più propriamente, di cosa si occupa la balistica forense?
“All’uopo, e cominciando più opportunamente a dissertare di balistica forense, che, oltretutto, assorbe la tradizionale tripartizione, nell’accezione di declinazione delle scienze forensi, rientrano quelle indagini finalizzate a comprendere tecnicamente e scientificamente il chi, cosa, quando, dove e perché dell’accadimento. È suddivisa in svariati ambiti: indagine identificativa di armi e matrice costruttiva delle stesse; indagine comparativa di parti compositive del munizionamento; identificazione di chi sia venuto in contatto con un’arma, attraverso il rilevamento delle GSR; valutazione della distanza dello sparo, mediante il rilevamento dei residui dello sparo; ricostruzione delle traiettorie; esame cadaverico dei fori di ingresso e di uscita nonché dei tramiti intracorporei; esame dei veicoli o danneggiamenti su strutture immobili; esplosivistica; oplologia; ricostruzione della dinamica. Orbene, traendo le somme da quanto esposto nel tentare di definire molto sinteticamente questa complessa disciplina scientifica, sarebbe corretto asserire che il balistico sia quel surreale esperto (auspicabilmente esperto, visti i troppi improvvisati tali in giro a far danni) in grado di condurre le indagini che rendano tale la balistica. Verifica della cosiddetta “catena della custodia” dei reperti balistici prelevati sulla scena del crimine, indagini comparative di laboratorio, identificazione di armi, di munizioni, prelievo ed analisi dei residui dello sparo, prove di sparo, ricostruzione delle traiettorie, simulazioni e sperimentazioni, determinazione della distanza di sparo, posizione tiratore e vittima, ordine del fuoco, accesso alla scena criminis, presenza in caso autopsia, ricostruzione degli accadimenti, elaborazione di dati scientificamente incontrovertibili e troppo altro. La figura del balistico, in questo momento storico, non è più subordinata, ma centrale. La molteplicità degli esiti di indagine cui addiviene l’esperto ha consentito l’ingresso del sapere specialistico anche balistico nel processo penale”.


Quali studi sono necessari per esercitare la professione?
“Imperativo categorico: qualificarsi! Non esiste, in Italia, un percorso “lineare” che renda l’aspirante un balistico puro. Esiste la volontà di diventarlo. È un po’ come affermare che la pazienza sia univocamente considerata la virtù dei forti o, meglio, di chi “quella cosa” la vuole per davvero. E, infatti, glissando in merito ad una assai gradita formazione accademica, è doveroso formarsi seguendo percorsi qualificanti (nelle differenti declinazioni di master, scuole, perfezionamenti) in fatto di criminalistica e, dunque, anche di balistica. Ma questo è solo l’incipit, che dovrebbe proseguire con l’iscrizione ad albi, sede degli esperti in armi e munizioni nonché dei periti e ctu, previo presentazione della documentazione che renderebbe degno l’istante di accedere l’esame per l’iscrizione e, ovviamente, il superamento dello stesso. Ma questo no, non rende ancora esperti. Tutt’altro. La porzione più ostica di questo voler essere balistici puri a tutti i costi è permeata da anni di tirocinio presso un qualche centro balistico che sia davvero operativo piuttosto che decorato da ragnatele sulle pareti e nel quale vi operi chi abbia vissuto la balistica come “vocazione” e non già il chicchessia che si sia definito tale, perché fa tanto figo; affiancando frequenze del poligono di tiro, sperimentazioni di propria sponte e fusione tra teoria e pratica, mentre decorrono gli anni. Tanto da comprendere che ogni macchina termo-balistica gode di una esclusiva personalità e, a volte, potrebbe decidere di nascondere aspetti del proprio carattere, al pari di quanto potrebbero decidere di fare alcuni di noi, quando ai primi appuntamenti si celino aspetti caratteriali che impedirebbero di apparire brillanti. Pertanto, sarebbe cosa assai gradita non farsi cogliere impreparati, sino ad acquisire la capacità di disassemblare e riassemblare l’arma, conoscerne i suoi organi, interpretarne le impronte, puntare, mirare e sparare quasi fosse un anti-stress, quasi fosse naturale così come è naturale il nostro respirare, affinando capacità di visione, perché, al pari di quanto sostenne Ottolenghi: “senza l’attenzione e senza la volontà di scrutare l’occhio guarda, ma non vede”. Ma non è finita. Si deve (dovere e non opzione, si badi bene) studiare sempre, costantemente ed in ogni santo giorno e non solo ciò che sia redatto in madrelingua; apprendere, comprendere, sperimentare, applicare: vita natural durante, atteso che questa scienza sia costantemente in evoluzione e la capacità di mettersi continuamente in discussione deve appartenere al criminalista”.


Lei è una donna molto bella e affascinante. Quanto è stato difficile farsi strada in un ambiente prevalentemente maschile?
“Questa domanda mi viene rivolta in ogni intervista. Mi fa sorridere. E non già perché sia infondata. Tutt’altro. Al principio, nessuno si aspettava di trovarsi di fronte un Balistico (ed infatti discorrevano del Carrieri e non della Carrieri) in “tacchi a spillo”. E non nascondo che il “quid” mi divertiva e mi diverte ancora adesso. Mi diverte l’idea che l’involucro per taluni sia un deterrente. Per costoro, una donna che si occupa di armi non potrebbe e non dovrebbe capir nulla, oppure “ottiene” perché “qualcuno simpatizza”, oppure è semplicemente la portaborse di chicchessia. Tutto estremamente cassabile. Esprimendomi in maniera spicciola, al fine di rendere meglio il concetto, mi lusinga l’idea di essere stata inclusa di recente da un giornalista tra le donne che contribuiscono in maniera determinante a sfatare o meglio ad eliminare pregiudizi e retro-pensieri ottocenteschi. Dunque, ricapitoliamo: sono una giovane donna e curo il mio aspetto, non c’è davvero nulla di sbagliato nell’esser femminile. E faccio il balistico. Questo non ha nulla a che vedere con la mia vita professionale, che, per definizione, dovrebbe essere asessuata! Ho incontrato, certamente, chi ha guardato l’involucro ed ha dedotto che potesse osare, ipotizzare, sottovalutare. Non negli ambienti “sacri”, sia ben chiaro. E non nascondo che è stato alquanto divertente ed eccitante sferrare colpi a chi gironzola ormai tronfio di pregiudizi.
 Non voglio, ad ogni buon conto, prestare il fianco alle doglianze di quelle donne che hanno rinunciato al qualsivoglia paventando l’alibi del siamo donne ed è tutto più difficile. Ok, lo è. Ma in fondo, che c’è di semplice nel mondo del lavoro per ciascuno di noi? La mia adorata nonna mi ripeteva, mentre mi impartiva una educazione quasi militare, che “chi si ferma è perduto”. E’ faticoso operare in un contesto nel quale l’indagine balistica spesso è considerata superflua. E ciò prescinde dal sesso e dall’involucro più o meno appariscente; lo reputo di gran lunga più grave di chiunque si fermi a badare all’aspetto fisico. Quasi che le competenze di un balistico possano essere surrogate da chi millanti conoscenze apprese da Google o leggendo Tex Willer, verosimilmente nemmeno con attenzione. Ed invece, la mia attività professionale postula pratica costante ed una formazione decennale. Anzi, ad onor del vero, un criminalista non smette mai di formarsi, attraverso l’attività sperimentale, attraverso l’aggiornamento, spingendosi ben al di là del confine italiano. La balistica, molto spesso, assolve ad una funzione dirimente nel corso delle indagini ed in seno alla giustizia penale. All’atto del conferimento dell’incarico, vien chiesto di accertare qualunque cosa sia utile ai fini della giustizia. Ed allora, classificare giuridicamente un’arma, dichiarando che sia antica piuttosto che identificandola come dispositivo di segnalazione acustica alterato fa la sua sostanziale differenza al fine del capo di imputazione. Stabilire che le impronte di classe ed individuali riconosciute sui bossoli repertati sulla scena del crimine siano giustapponibili o meno, comparabili o meno, identici o meno, quasi ad evocare un codice a barre, con quelle invece intercettate sui bossoli “spenti” ricavati testando l’arma in giudiziale sequestro, in sede di comparativa, dirige le indagini in un senso piuttosto che in un altro”.

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Quali sono le prime operazioni che compie sulla scena del crimine se ci sono state vittime per armi da fuoco?
“Per rispondere in maniera esaustiva, servirebbe un limite temporale imprecisato, quello al quale in genere assoggetto i miei allievi, per formarli mediante un training tra pratica e teoria. La scena criminis è sacra. E l’osservazione resta di gran lunga l’operazione preventiva che richiede la “spendita” di un quantitativo di tempo non standardizzato. Pregiudicarne la genuinità, contaminare ciò che potrebbe essere oggetto di repertazione e successive indagini di laboratorio, alterare le tracce biologiche, il posizionamento del cadavere, dei bossoli, dell’arma e di quanto altro eventualmente presente, rendere una superficiale cristallizzazione della stessa conduce inevitabilmente ad una ricostruzione della dinamica omicidiaria non attendibile. Qualora si procedesse in questa maniera, l’ipotetico nuovo caso sarebbe solo già da includere nel novero degli errori giudiziari italiani. L’operatore va doverosamente immunizzato ed “entra in scena” criminis tenendo ben chiaro nella mente il principio di Locard: ‘se una persona viene in contatto con un oggetto o con un’altra persona vi è uno scambio, lascerà qualcosa e porterà su di sé qualcosa di quel contatto’. L’accesso sulla scena richiede il rispetto di metodologie standardizzate. I rilievi fotografici (dallo sguardo d’insieme all’esame dettagliato, dal generale al particolare, da destra a sinistra, dal basso verso l’alto), dimensionali, planimetrici, descrittivi, dattiloscopici non devono surclassare alcunché. Si devono evitare omissioni, poiché tutto ciò che ad un primo acchito potrebbe sembrare irrilevante, in un secondo momento potrebbe risultare di primaria importanza. La repertazione va fatta con il DNA free, al fine di pregiudicare le eventuali e successive indagini genetiche. Ma prima di tutto, prima di ogni cosa, prima di accedere, occorre, ripeto, osservare. Per il resto, chiunque può contattarmi ed entriamo nello specifico formativo”.


Il caso che le ha dato maggiori soddisfazioni?
“È una domanda la cui risposta è abbastanza ardua. Tutti i casi di cui mi sono occupata e, ritengo, di cui ancora mi occuperò sono e saranno interessanti. Dato che ognuno è differente dall’altro. Nulla è reiterato. Nulla si ripete. Per via dell’approccio e dell’attività d’indagine svolta, per la dinamica, per ciò che in fondo al cuore resta quando, ormai depositata la perizia o consulenza, ci si può permettere di essere ‘umani’. Cercando, ad ogni modo, di paventare una risposta, so per certo che ci si aspetterebbe che l’accadimento delittuoso più interessante sia quello elevato agli onori della cronaca. Nell’ambito dell’indagine balistica, ribadisco, ogni caso è satisfattivo, poiché è sempre differente da quello che lo ha preceduto. Reputo, comunque, di dover menzionare due casi, fondamentali per ciò che hanno significato per me. Il primo incarico importante che ricordo in ogni santo giorno lavorativo. Ha cambiato la visione di ogni cosa. Un giovane uomo nel posto giusto, ma al momento sbagliato, attinto da diversi colpi d’arma da fuoco. Era lì. Faceva ciò che quotidianamente facciamo in tanti. Andava a lavoro. Probabilmente pensava al figlio nato da poco. O semplicemente a sbrigarsi per evitare il disappunto del suo datore per un paio di minuti di ritardo. Lo ricordo in sala autoptica. Il suo viso irrealmente sereno. Ogni foro d’ingresso ed ogni foro d’uscita. Ricordo l’indagine svolta in ogni singolo istante. Tra bossoli da comparare e ricostruzione della dinamica omicidiaria intesa in senso lato. Ricordo il momento esatto nel quale apposi la mia firma al temine del mio operato. Aveva gli occhi chiari, lui. Nella descrizione di questo primo caso, non ho inserito volutamente niente di tecnico. Ciò che vorrei emergesse è il dato umano. Essere un balistico non comporta necessariamente il plauso di una platea mal abituata a CSI, né i riflettori puntati sul trucco e parrucco intonso dell’investigatore che, dinanzi alle telecamere narra dell’indagine in corso, ammesso che sia nella condizione di poterlo fare. La realtà è ben diversa. Ci si confronta spesso con il dolore di famiglie lacerate da un evento imprevisto. Ed allora si comprende che il “ti amo”, il “ti voglio bene”, il condividere il tempo con chi è fondamentale non va rinviato a domani, ma fatto oggi.
Il secondo caso è stato memorabile, perché la sua risoluzione è stata successiva, in maniera assai casuale, ad una mia attività di ricerca e sperimentazione. Ho sostenuto, nelle mie attività sperimentali, che fossero comparabili le impronte a caldo e le impronte a freddo. O meglio, le impronte presenti su bossoli spenti e quelle ritrovate su munizioni camerate (giocate nell’arma) senza essere assoggettate al ciclo dello sparo. Ed è così, che, qualche tempo dopo, nel corso della mia esperienza professionale, ho dovuto ricorrere alla mia tesi per la risoluzione di un rompicapo. Avevo a disposizione i bossoli repertati sulla scena del crimine ed un serbatoio arrugginito con un paio di munizioni. Fatto ritrovare “chissà come”, “chissà dove”, “chissà perché”. Nessuna arma. Non potevo produrmi i “test”, ovvero non avrei potuto comparare, a seguito dei test a fuoco, i bossoli spenti dell’arma adoperata per l’evento omicidiario con quelli repertati nel teatro del crimine. Notti insonni al microscopio comparatore per esitare l’assoluta identità tra le impronte sui bossoli repertati e quelle sulle munizioni “giocate” e lasciate nel serbatoio. A voi, ogni valutazione in merito a quando una indagine balistica possa direzionare il corso delle indagini e a quanto sia imprescindibile la costante attività sperimentale e di ricerca”.


In linee generali, la scelta di un determinato tipo di arma da fuoco riflette i tratti di personalità?
“Direi proprio di no.
Se dovessimo far riferimento all’arma adoperata da chi possa essere, nelle sedi a ciò deputate, riconosciuto come reo di un crimine, è pacifico che la stessa, di provenienza indiscutibilmente illecita, sia la più “comoda” da adoperare, perché quella a disposizione.
Qualora, invece, facessimo riferimento a tiratori “per passione”, la cernita tra le armi da impugnare viene in genere operata tra diversi fattori, tutti strettamente connessi al comodo maneggio ed all’utilizzo efficiente connessa all’attività sportiva. Personalmente, ho adoperato qualsiasi tipo di arma mi sia capitata a tiro. L’alternativa, dunque è secca: o i tratti della mia personalità sono confus,i ovvero i tratti di personalità influenzano ben poco la scelta dell’arma con sui andare in puntamento”.


Il dilagare di serie tv sul crimine può contribuire a rendere più abili i soggetti che delinquono e a depistare l’attività investigativa?
“Io farei piuttosto un distinguo e raddrizzerei il tiro del quesito, attenzionando anche gli effetti delle serie tv su soggetti non avvezzi ad attività delinquenziali. Questi ultimi potrebbero dividersi in semplici appassionati di questo tipo di cinematografia, i quali elaborano visioni alterate della conduzione di indagini tra mito e realtà. Nel corso della mia carriera da criminalista, il reo, talvolta, è stato identificato in un soggetto che non ispirava la propria vita ad attività delinquenziali. Di certo, l’agere posto in essere non potrebbe essere “suggerito” da quanto appreso in tv e l’attività di depistaggio non potrebbe essere una conseguenza di quanto “suggerito” nei telefilm, ammesso che l’indiscutibile stato di alterazione possa consentire una attività ineccepibile di depistaggio.
Diverso è il discorso che va elaborato per coloro che, invece, siano “professionisti del crimine”. Sovente “affetti” da perspicacia delinquenziale, tranne per qualche caso fantozziano, difficilmente siano immaginabili seduti al divano con secchiello di pop corn per seguire un telefilm di quel genere ed ispirarsi. La relativa abilità ed eventuale attività di depistaggio è semplicemente il frutto di anni di vita da criminali. Atteso che l’arma adoperata “passa di mano”. Pertanto, ciò che oggi abbia “cantato” su una data scena del crimine nel cui ambito io sia intervenuta in veste di investigatrice, potremmo risentirla “cantare” tra qualche tempo in un altro teatro del crimine e con attori diversi.
Ovviamente, il criminalista non segue il serial, bensì elabora anch’egli tecniche che i nostri antagonisti speculari possano poi adoperare nelle future entrate in scena”.

Si ringrazia la Dottoressa Paola Corsignano Carrieri

Luigi Cacciatori


Autore
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