Arturo Mariani: La fede non è avere la bacchetta magica
Chiesa e Società Lazio

Arturo Mariani: La fede non è avere la bacchetta magica

mercoledì 16 maggio, 2018

 La testimonianza che vi propongo questa settimana è quella di Arturo Mariani giovane romano di 24 anni cresciuto in uno dei quartieri popolari della capitale, con sani principi morali e cristiani grazie alla sua famiglia, papà Stefano e mamma Gianna. Sogna di diventare un calciatore solo che è nato senza una gamba. Come si fa? Lui non molla. Lotta, crede, si impegna con tutte le sue forze ed oggi gioca come difensore nella Nazionale Italiana Amputati del Centro Sportivo Italiano. Conosciamo meglio Arturo che ha accettato di rispondere alle mie domande.[MORE]


D. Visita ginecologica. Mamma Gianna è stesa sul lettino. Procede tutto bene fino a quando la dottoressa nota qualcosa di strano, una sola gamba. Il referto è chiaro: “al bambino manca una gamba, la destra”. I medici dissero chiaramente ai tuoi genitori: “C’è la possibilità di…”. Tua mamma non fece finire la frase che disse no. Oggi che hai 24 anni pensando a questi si alla vita cosa provi?
Soprattutto gratitudine. Gratitudine a Dio che in quel momento, ha messo nel cuore dei miei genitori amore per la vita, poi a loro, per quanto ne hanno saputo dare a me. Tutto questo in un “semplice” SI… pieno di incognite è vero, ma con la certezza e la serenità che non erano soli nella scelta. Accogliere quel dono di Dio che già preannunciava una sofferenza fino ad allora sconosciuta, non ha messo limiti, ad aprire il cuore a qualcosa di ancora nascosto. Nel tempo, la fiducia assoluta che avevano riposto nel Signore ha mostrato l’altra faccia della medaglia. Quel SI è entrato a far parte del mio DNA, ha segnato la mia vita, ha generato un fiume di vita. Oggi a 24 anni, quel SI risponde a tutte le mie paure, alle mie sofferenze, ai miei dubbi e ad ogni ostacolo da superare che incontro sul mio cammino, ogni giorno.


D. Nel tuo libro “Nato così” tu dedichi delle pagine a tutti i componenti della tua famiglia e per ciascuno di loro usi parole meravigliose. Mi dici per ognuno di loro cosa hai preso di buono e hai fatto tuo per la tua vita?
E’ vero, ritengo che la mia famiglia, sia stato il segno con cui Dio si è rivelato nella mia vita. Tutto quello che ricevo e ho ricevuto da ognuno di loro, mi ha fatto sempre intravedere un Amore più grande.

Papà Stefano, mi ha trasmesso la sicurezza, la forza, la coerenza, il valore del rispetto, dell’onestà, della trasparenza e grazie a lui, anche l’amore e la passione per lo sport nella quale mi ha sempre sostenuto e incentivato a praticare, anche con sacrificio, ma sempre con gioia. Da grande vorrei poter somigliare a lui per tutto ciò che di positivo mi ha saputo trasmettere. Mamma Gianna, la mia “ombra” da sempre, mi ha seguito in ogni mio percorso ogni giorno facendomi sentire speciale in tutto ciò che facevo. La sua totale dedizione a sostenermi nei miei tanti momenti di difficoltà, mi ha insegnato che il valore di ogni persona non sta nel prestigio ma in quanto sa essere umile, in quanto sa farsi prossimo. Con lei, ho imparato a conoscere quel Gesù che sin da bambino dava risposte alle mie domande più grandi: “Perché sono nato così?” serenamente rispondevo:” Se Gesù mi ha voluto così un motivo ci sarà”.

Alessia, mia sorella uguale a: tenacia, vivacità, forza, simpatia e… coraggio. Ha sempre avuto nei miei confronti un amore smisurato, ancora oggi tra noi c’è un legame molto profondo che non ha bisogno di parole, ci capiamo con il solo sguardo. Alessandro, il mio fratellone. Abbiamo 8 anni di differenza ma, abbiamo condiviso tantissimi momenti di ordinaria quotidianità e nello stesso tempo di profonda comunione in tutto ciò che ci siamo trovati a vivere insieme. La sua estrema sensibilità, semplicità e umiltà, sono quelle virtù che lo rendono una persona speciale e di grande esempio per me che ho cercato sempre di imitare.


D. Un bambino nato senza una gamba in casa sua è al sicuro, lontano da occhi indiscreti e giudizi a volte taglienti. Tu parli dei tuoi compagni come amici che ritrovi anche oggi, molti di loro. Quanto è importante accettarsi nei propri limiti fin da subito.
Accettarsi. Quando si prende coscienza dei propri limiti, l’accettazione è il primo scalino che ci aiuta a capire che quel limite, quella sofferenza, se accolta, ovvero se lasciamo che entri nella nostra vita, senza doverla necessariamente combattere, troverebbe il suo senso, fino a diventare un’opportunità e a trasformare la nostra vita, fino a scoprire ciò che è ancora nascosto ai nostri occhi, per poi farlo diventare un punto di forza. Proprio come è successo a me, quando presi la decisione, alle superiori, intorno ai 18 anni, di abbandonare la protesi, che fino ad allora, avevo portato con grande sacrificio e tanta sofferenza fisica ma nello stesso tempo, si era anche trasformata in protesi mentale che limitava la percezione delle mie reali capacità. Anche quando in apparenza, mi rendeva quasi uguale gli altri, il mio modo di camminare richiamava sempre l’attenzione di sguardi indiscreti e al dolore fisico si aggiungeva il disagio di questa continua esposizione. Nel tempo mi resi conto sempre di più, di essere a mio agio e soprattutto me stesso, solo quando ero con la mia famiglia, gli amici con la quale vivevo la massima spontaneità e serenità la mia condizione. Oggi posso senza dubbio affermare che senza quel passaggio fondamentale di ripartire da me stesso, per quello che sono: con una gamba sola, non avrei mai potuto scoprire chi fosse veramente Arturo e cosa volesse dalla vita. Tante cose mi sono state più chiare tante altre… ho ancora tempo per scoprirle.


D. Ci sono stati momenti in cui la tua disabilità l’hai considerata un peso ingombrante e faticoso da portare?
Si certo, ci sono stati tanti momenti durante la mia crescita, specialmente nella fase adolescenziale, dove cominci ad approcciare con tutto quello che ti circonda pensando che ti stai avviando verso un processo di autonomia e di libertà e immagini che tutto sarà bello e entusiasmante. Invece ti trovi a fare i conti con le prime prese di coscienza, come quella di non avere una gamba e di non essere come tutti, specialmente quando gli sguardi delle persone cominciano ad essere invadenti e spesso diffidenti. Allora cerchi di trovare delle risposte o soluzioni che ti rendano più forte e sicuro al confronto, ma poi ti rendi conto che le risposte vere, le puoi trovare solo in te stesso. Solo quando decidi di dire SI e di accogliere quel limite come parte di te, nello stesso tempo capisci che “siamo tutti diversamente uguali” e grazie a Dio, capisci che la diversità, non può che essere una ricchezza, per tutti.


D. Nella tua giovane vita in quanto a sport hai provato la qualunque ma la grande passione rimane il calcio. Giochi infatti nella Nazionale Italiana Amputati. Chi è Arturo con un pallone in mano?
Oggi Arturo è il difensore della Nazionale Italiana Amputati. Oggi Arturo con quel pallone davanti a quel suo unico “santo piede”, come dico spesso, è un ragazzo con tanti sogni ancora nel cassetto, che con la stessa passione di un bambino che vuole continuare a divertirsi, anche sotto la pioggia quando giocava a pallone nello “stadio” del terrazzo di casa, dalla quale ha imparato a guardare la vita con positività e oggi vuole provare a farne un capolavoro.


D. Che cos’è per te “Vita Nova”?
Vita Nova, il mio secondo libro ma soprattutto un messaggio di rinascita, a partire dalla mia esperienza personale e poi da quella di 13 personaggi famosi e non che ho incontrato. Insieme, abbiamo ripercorso quel momento X che ha segnato la svolta nella vita che ha determinato il cambiamento. Un messaggio a più voci, per dire che per tutti c’è la possibilità di trasformare la propria vita, ripartendo proprio da ciò che sembrava ne segnasse il declino, un saper guardare oltre, un saper cogliere quella opportunità come l’occasione per scoprire le risorse che sono dentro di noi, che ci renderanno capaci di una vita nuova.


D. Chi è per te Gesù e quanto è importante la fede nella tua vita?
La fede non è solo importante nella mia vita ma è fondamentale. La fede per me, è quell’esperienza di fiducia incondizionata in un Dio che ci fa sperimentare il Suo amore, nella forma più originale che si possa pensare, donandoci Suo Figlio, per farci accompagnare da Lui, a vivere la meravigliosa avventura della vita. Sin da quando ero bambino, con mia madre la sera prima di addormentarmi, eravamo soliti recitare insieme le preghiere e quindi leggere anche qualche passo del Vangelo che pian piano mi ha fatto scoprire e conoscere quel Gesù che non si limitava a restare chiuso in quelle pagine ma a farsi sempre più presente, nel quotidiano della mia vita. Attraverso le presenze più prossime, come la mia famiglia, dove in quella dimensione di accoglienza e di amore, sperimentavo il vero volto di quel Dio che si fa presente nelle ferite dell’uomo. O nel servizio di volontariato alla Mensa Caritas che frequento da circa dieci anni con il gruppo giovanile parrocchiale, servire un pasto ai poveri, parlare con loro diventa l ’INCONTRO. Un incontro che è PRESENZA e ti cambia il modo di guardare la realtà che ti circonda. La fede quindi non è avere la bacchetta magica che ti toglie ogni dolore e risolve ogni problema ma è una dimensione che trasforma la tua croce… in risurrezione.


D. A chi ti sta leggendo in questo momento, magari ad un giovane, cosa ti senti di dire?
Ai giovani dico che, essere protagonisti della propria vita, significa prendere consapevolezza di avere un dono unico e prezioso che tutti abbiamo dei talenti da far fruttificare e non lasciarli sepolti dentro di noi. La fiducia in sé stessi e nelle proprie capacità, la ricerca del bene per se e per gli altri sono i presupposti per far diventare la vita un vero capolavoro. Giovanni Paolo II, in una Gmg disse: “Voi siete il futuro del mondo”! Voi siete la speranza della Chiesa! Voi siete la mia speranza! Come non sentire la responsabilità di queste parole?

Don Francesco Cristofaro


Autore
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