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Caos Libia: scontri tra milizie armate causano 47 morti e 129 feriti
TRIPOLI, 3 SETTEMBRE – È totale stato di emergenza a Tripoli per gli scontri che si stanno verificando intorno alla Capitale. Le violenze nello Stato nordafricano sono iniziate la scorsa settimana, quando alcune milizie provenienti dal sud del Paese ed ostili al governo di accordo nazionale – quello guidato dal Primo Ministro Fayez al-Serraj ed appoggiato dall’ONU – hanno attaccato alcuni quartieri meridionali di Tripoli, provocando la reazione delle truppe governative e l’inizio degli scontri. [MORE]
Nelle sparatorie, che sono tuttora in corso, secondo il Ministero della Salute libico sarebbero perite almeno 47 persone, mentre altre 129 sarebbero rimaste ferite a causa delle varie esplosioni. Tra le vittime ed i degenti in ospedale vi sarebbero anche molti civili, alcuni dei quali coinvolti per errore dopo che un razzo ha colpito un accampamento di famiglie rifugiate, già costrette negli scorsi mesi ad abbandonare le proprie case sotto i bombardamenti che continuano a martoriare la periferia di Tripoli. I miliziani provenienti dal sud del Paese avrebbero inoltre distrutto alcune infrastrutture petrolifere e costretto il governo locale a chiudere l’aeroporto della Capitale. Inoltre, nel momento in cui l’epicentro degli scontri si è spostato nei pressi della prigione di Ain Zara, circa 400 detenuti hanno organizzato una rivolta assalendo le guardie del penitenziario e riuscendo ad evadere, unendosi poi alle milizie ribelli.
Il Consiglio Presidenziale del governo ufficiale di al-Serraj ha provato a correre ai ripari dichiarando ufficialmente lo stato di emergenza nella Capitale e nei suoi sobborghi, “a causa del pericolo della situazione attuale e nell’interesse pubblico, al fine di proteggere i civili, i possedimenti pubblici e privati e le istituzioni vitali”. La decisione del Consiglio potrebbe essere tuttavia tardiva, dato che le truppe ribelli continuano a guadagnare terreno e l’assalto al centro della città di Tripoli potrebbe essere ormai prossimo. Fortissimi, peraltro, appaiono il mordente e la determinazione dei miliziani giunti dal sud del Paese, come testimoniato dalle parole di Abdel Rahim al-Kani, capo di una delle brigate di combattenti, che alcuni reporter del “Lybia Observer” sono riusciti a raccogliere: “Vogliamo continuare ad avanzare, per conto di tutti quei cittadini che non hanno cibo né soldi”.
Nel frattempo, il governo di accordo nazionale descrive gli scontri come “un tentativo di far deragliare la pacifica transizione politica in atto nel Paese”, ma tutti i tentativi di negoziare una tregua tra le milizie appaiono miseramente falliti. Ad ogni modo, l’esecutivo con sede a Tripoli ha incassato il rinnovato appoggio politico delle Nazioni Unite, ma soprattutto potrà contare sull’ausilio militare dei commandi provenienti da Francia, Italia, Regno Unito e Stati Uniti, che sono già di stanza sul territorio dello Stato maghrebino. Per quanto riguarda i reparti dell’esercito italiano, in particolare, il Ministero della Difesa ha comunicato che i militari sono illesi ma pronti per un eventuale attacco, mentre l’ambasciata italiana rimarrà aperta nonostante gli scontri. Soltanto i tecnici impiegati nei terminali e nei pozzi dell’ENI sarebbero stati per precauzione evacuati, considerando anche i danni già provocati dalle esplosioni ad altre infrastrutture petrolifere della zona.
Il futuro del Paese africano appare a questo punto appeso ad un filo, dal momento che il caos provocato dalla guerra civile potrebbe avere conseguenze imprevedibili. A partire dal 2011, infatti, la Libia è attanagliata dal conflitto armato tra le varie fazioni in lotta per colmare il vuoto di potere che si aprì con l’uccisione dell’ex Presidente Mu’ammar Gheddafi. I diversi governi che si sono succeduti hanno tentato di imporre l’autorità del potere centrale sui vari gruppi di ribelli che gradualmente sono emersi, cercando di disarmarli o di integrarli nell’esercito nazionale, ma l’obiettivo è sostanzialmente fallito, in quanto le amministrazioni centrali si sono sempre dimostrate troppo deboli ed il parlamento troppo diviso; pertanto, fazioni diverse si dividono oggi il controllo del Paese.
La più agguerrita e maggiormente coinvolta negli scontri è la coalizione della cosiddetta “Operazione Dignità”, che raccoglie varie forze federaliste ancora fedeli a Gheddafi, cui si aggiungono ex soldati e generali dell’esercito nonché la “Guardia degli impianti petroliferi” (che controlla ancora alcuni giacimenti): tale forza ha fondato un governo alternativo con sede nella cittadina sudorientale di Tobruk e riceve appoggio politico e forti finanziamenti da Russia, Egitto ed Emirati Arabi Uniti. Le province sud-occidentali del Paese, invece, sono controllate dalla coalizione di “Alba Libica”, che comprende diversi gruppi etnici tribali come berberi, tuareg e tebu: essi si considerano unici eredi legittimi del controllo della Libia ed a loro volta hanno fondato un Parlamento autoproclamatosi continuazione di quello precedentemente guidato da Gheddafi. Al quadro degli schieramenti avversi, negli scorsi anni si sono aggiunti alcuni gruppi jihadisti affiliati all’ISIS, che non sono riusciti ad avanzare nell’interno del Paese ma sono ancora asserragliati in alcune roccaforti sulla costa settentrionale, come le città di Derna e Sirte. Nonostante la comunità internazionale sostenga il Primo Ministro di Tripoli Fayez al-Serraj, il governo di accordo nazionale controlla solo una minima porzione del Paese (tra cui la regione della Capitale) ed ha dimostrato di essere molto debole sia politicamente sia militarmente, sicuramente non in grado di imporre il proprio controllo su tutta la Libia.
Francesco Gagliardi
Fonte immagine: voicetv.co.th