La Torre Ravaschiera di Satriano Marina: un viaggio tra storia, abbandono e speranza
C'è un angolo della Calabria che sembra voler parlare, anche se il tempo gli ha tolto la voce. È lì, nascosta tra gli alberi e i silenzi della valle dell’Ancinale, che si erge la Torre Ravaschiera, anticamente chiamata anche Torre Ancinale o Torre Cavallara. Un nome, quest’ultimo, che evoca i cavalieri a cavallo che un tempo vegliavano su queste terre, pronti a lanciarsi lungo la costa per dare l’allarme in caso di pericolo.
L’ho vista per la prima volta in una mattina d’estate, mentre il sole appena sorto accarezzava i mattoni scoloriti e le crepe profonde come rughe su un volto antico. La torre si mostra maestosa e fragile, testimone solitaria di una storia lunga secoli.
La nascita sotto l’impero di Carlo V
Correva il XVI secolo quando, sotto l’impero di Carlo V, il viceré Pedro di Toledo fece costruire una lunga catena di torri difensive lungo le coste del Regno di Napoli. Ne furono edificate ben 337, tutte con un unico obiettivo: proteggere il territorio dalle incursioni dei pirati saraceni. La Torre Ravaschiera era una di queste, costruita in posizione strategica, a ridosso del fiume Ancinale — che all’epoca era ancora navigabile — collegando così il mare alle Serre Calabre.
La sua struttura quadrata, realizzata in pietra e mattoni, si ergeva solida, con i suoi angoli rinforzati da contrafforti a scarpa, pronta a resistere agli attacchi. Il portale d’ingresso, rialzato da una scalinata e protetto da un ponte retrattile, rendeva la torre un vero e proprio baluardo.
Nel 1571 si ha notizia della sua completa operatività: un documento ufficiale ne certifica l’attivazione e la nomina del Sovracavallaro, il responsabile del presidio.
Un casolare, un frantoio e il lento declino
Accanto alla torre, immerso nel silenzio, c’è un casolare più recente, risalente al XIX secolo. Una parte era usata come abitazione, l’altra come frantoio ad acqua, come dimostrano i resti della macchina lignea e i muri di canalizzazione. Un tempo brulicante di vita e operosità, oggi appare spoglio e abbandonato, con le travi marcite e i muri crepati.
Camminando tra queste pietre, mi sono chiesto quante generazioni abbiano vissuto qui, quante mani abbiano lavorato l’olio, raccolto l’acqua, costruito storie quotidiane oggi dimenticate.
Il presente fragile e il grido di aiuto
Purtroppo, la Torre Ravaschiera è oggi in condizioni drammatiche. La struttura è instabile, i piani interni crollati, l’accesso vietato per motivi di sicurezza. Secondo l’associazione Italia Nostra, il rischio di collasso totale è reale. Alcune scalette in pietra sono frantumate, le finestre si affacciano sul vuoto e il pavimento interno è un mosaico di macerie.
Eppure, da lassù, il panorama è mozzafiato: la costa ionica si apre come un libro di luce e sale, e sembra voler ricordare al visitatore che questa torre di avvistamento non era solo un luogo militare, ma anche un ponte tra passato e presente.
Un patrimonio da salvare
La Torre Ravaschiera non è solo un monumento: è una voce antica che chiede ascolto. È un simbolo di identità territoriale, l’ultima torre rimasta in piedi tra Satriano e Soverato, una traccia visibile di una Calabria che ha ancora tanto da raccontare.
Oggi, molti cittadini e studiosi si interrogano: che ne sarà di questo tesoro dimenticato? Alcuni propongono di trasformare l’area in un parco culturale, magari recuperando il frantoio per farne un museo del lavoro contadino. Altri sognano una rinascita turistica, con itinerari storici lungo il fiume Ancinale e laboratori didattici per le scuole.
Conclusione: un futuro possibile
Mentre mi allontanavo dalla torre, voltandomi un’ultima volta, ho pensato che la bellezza ha bisogno di cura, e che ogni pietra racconta una storia solo se qualcuno è disposto ad ascoltarla.
La Torre Ravaschiera di Satriano Marina è un patrimonio che rischia di scomparire. Ma forse, con la volontà e la partecipazione di tutti, potrà tornare a vivere, illuminata dal sole e non dall’oblio.
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