Estero

Caso Iannelli-Siringo: che fine hanno fatto i soldi della cooperazione italo-afghana?

KABUL (AFGHANISTAN), 7 AGOSTO 2013 - Che fine hanno fatto i soldi della cooperazione occidentale in Afghanistan? Una parte di quei 290 miliardi – lo ha denunciato l'ex capogruppo in commissione Difesa Augusto Di Stanislao (qui l'intervista che ci ha rilasciato) – va a finire nelle tasche dei signori della guerra dell'una e dell'altra parte del fronte (come i soldi utilizzati dal governo italiano per “comprarsi” la pace con i talebani del distretto di Sarobi), un'altra parte – tra il 6 ed il 20 per cento della somma disponibile, secondo una stima dell'istituto di ricerca “CorpWatch” – si perde nei passaggi interni alle organizzazioni non governative coinvolte nei progetti di ricostruzione.[MORE]

Iendi Iannelli e Stefano Siringo lavoravano proprio per uno di questi progetti, il più importante della cooperazione italiana in Afghanistan: il cosiddetto “Programma Giustizia” al quale – tra il 2002 ed il 2010 - il nostro Paese ha destinato 81 milioni di dollari destinati alla riorganizzazione del sistema giudiziario afghano.
Tra queste organizzazioni c'è la International Development Law Organization (Idlo), agenzia intergovernativa riferibile alle Nazioni Unite, sede centrale in viale Vaticano 106 a Roma e uffici in Afghanistan, Kenya, Kirghizistan, Sud Sudan, Somalia e Tajikistan. La sua attività principale è aiutare i Paesi nella ricostruzione del sistema giuridico-giudiziario attraverso la fornitura di competenze legali, strumenti e professionisti, come i magistrati messicani Samuel Gonzalez Ruiz ed Edgardo Buscaglia, incaricati dall'organizzazione di formare i pubblici ministeri del nuovo Afghanistan. È dalle casse della Idlo che passa la maggior parte dei fondi della nostra cooperazione nel progetto. Con una parte del denaro ricevuto, la Idlo pagava i servizi – acquisti, sicurezza e logistica – dei quali non poteva occuparsi direttamente e che erano invece appaltati allo United Nation Office for Project Service (Unops), organizzazione che supporta le Nazioni Unite negli aspetti logistici di operazione umanitarie, di pace e di sviluppo anche attraverso la costruzione di strutture sanitarie o la collaborazione alla riforma dei sistemi giudiziari e di sicurezza.
Le decisioni, però, rimangono appannaggio degli uffici di Roma, tanto che – è lo stesso Buscaglia a raccontarlo nella sua deposizione del 28 maggio 2012 - negli uffici di Kabul non sanno neanche quanti soldi hanno realmente.

È proprio per la possibilità di accedere ai conti della Idlo che Iendi Iannelli scopre quello che poi sarà il movente dell'omicidio: un giro di false fatturazioni tra le due organizzazioni, uno dei sistemi più noti per creare fondi in “nero”, lasciando il progetto di formazione di giudici e procuratori paralizzato per un anno pur continuando a finanziarlo. Egdargo Buscaglia viene assunto proprio per individuare la destinazione del denaro – che dicerie sostenevano essere stato dirottato verso Sudan o Indonesia – e far ripartire concretamente il progetto di formazione.
Le indagini giudiziarie però non partono, perché la Idlo si trincera dietro l'immunità giurisdizionale, impedendo così di poter visionare la contabilità e facendo venir meno il fulcro delle accuse di Iendi. Tra i fondi dirottati anche una parte di quei 14 milioni destinati dal ministero per gli Affari Esteri al progetto “Strengthening the rule of Law in Afghanistan”, di cui 5 milioni arrivati a Kabul nel luglio 2005.
Dalla documentazione contabile della Idlo a cui Iendi, in quanto dipendente amministrativo, aveva accesso, si era reso conto che attraverso le false fatturazioni con l'ufficio di Dubai della Unops, erano stati fatti sparire un milione e mezzo di dollari (i sospetti sarebbero però su cifre più alte: circa 15 milioni di dollari, scomparsi e riapparsi dopo la morte dei due giovani).
È dall'Emirato che partivano materialmente gli acquisti, dopo che da Roma questi venivano autorizzati.

Non tutti gli acquisti erano però trattati allo stesso modo. Come si legge in un'intervista rilasciata nel settembre 2012 al quotidiano Repubblica da Antonella Deledda – all'epoca dei fatti vicedirettore dell'ufficio italiano di giustizia a Kabul - «c'era questo famoso protocollo nel quale Idlo passava a Unops del denaro per avere servizi che non erano collegati al progetto, cioè soldi ulteriori rispetto a quelli che già riceveva per gli acquisti per il Progetto giustizia». A cosa servissero questi pagamenti extra non è ancora possibile saperlo con certezza, anche perché fin da subito «c'era una volontà di non dire come stavano le cose». Quel che è certo è che Iendi Iannelli era rimasto particolarmente sconvolto da quel protocollo, così come Edgardo Buscaglia, che di Iendi era il capo e che teneva informata Antonella Deledda, la quale parla di due protocolli, rispettivamente di 900.000 e 400-500.000 dollari, utilizzati dall'Idlo per coprire le spese di viaggio attraverso Unops. Ogni singolo centesimo di quel denaro – essendo donazione del ministero – poteva essere speso senza certificazione e dunque senza comparire in alcun documento ufficiale.
Iendi, però, poteva essere stato sconvolto anche da un altro aspetto della vicenda. Tra i funzionari dell'ufficio di Dubai dell'Unops, infatti, c'era un nome che conosceva molto bene: quello di suo fratello Ivano.

I fratelli Iannelli erano contatti l'uno per l'altro all'interno delle organizzazioni. Il capo di Ivano Iannelli era lo statunitense Gary K. Helseth che, secondo quanto scriveva il Washington Post nel 2009 – basandosi su un'indagine interna alle Nazioni Unite - nei quattro anni (2002-2006) passati come capo delle operazioni afghane di Unops avrebbe considerato l'organizzazione come il suo conto in banca personale, prelevando circa mezzo milione di dollari dai fondi destinati dall'Agenzia statunitense per lo Sviluppo Internazionale (UsAid) per cene di lusso, viaggi da Dubai a Las Vegas, New York o Firenze e ristrutturazioni che poco avevano a che fare con l'Afghanistan. Dal canto suo, naturalmente, Helseth ha sempre smentito ogni accusa, considerando queste come "spese di rappresentanza".

È in quegli uffici, tra Roma e Dubai, dove si prendono le decisioni sui flussi di denaro, che probabilmente matura l'omicidio. «I meri sospetti di Iendi Iannelli» - ha scritto il gip Liso - «possono certamente, proprio perché manifestati pochi giorni prima della morte, aver determinato la necessità nei possibili accusati di “mettere a tacere eventuali voci”», esattamente come succede con la Task Force formata dalle Nazioni Unite per indagare sul caso-Helseth, che viene sciolta ufficialmente il 31 dicembre 2009 attraverso quello che appare come un vero e proprio cavillo: l'assenza di donne o candidati non americani nella lista per il ruolo di capo del gruppo investigativo, per il quale il nome più forte sembrava essere quello dell'ex pubblico ministero del Connecticut Robert M. Appleton – nel 2005 membro della commissione Volcker che ha indagato sullo scandalo “Oil for food” - che ha citato in giudizio il Segretario generale dell'Onu, Ban Ki-Moon, per discriminazione sul luogo di lavoro. Nei primi 18 mesi di attività, il gruppo di 19 investigatori internazionali guidati da Appleton era riuscito ad individuare dieci casi di frode e corruzione – su 63 contratti ispezionati – relativi a forniture per un totale di 610 milioni di dollari relative a missioni in Somalia, Haiti, Congo, Sudan, Liberia e Timor Est e 25 milioni di fondi indebitamente appropriati.

Nel corso degli anni, inoltre, sono venute alla luce altri due casi di "malacooperazione". Il primo riguarda la diversa destinazione di circa il 40% degli 890 milioni di dollari destinati alla strada tra Bamiyan e Kabul, la cui tratta Bamiyan-Maidan Shar è stata finanziata con oltre 110 milioni della cooperazione italiana dal 2003. Il secondo riguarda invece il milione e 600.000 euro che la Guardia di Finanza ha individuato nell'ambito dell'operazione “Mi certifico italiano” fatti passare come “indennità di missione” attraverso false fatturazioni ai danni della Cooperazione allo Sviluppo del ministero degli Esteri tra il 2005 ed il 2012.

A Kabul, intanto, Iendi Iannelli sta portando avanti le sue indagini, parlando della pericolosità delle sue scoperte: ne parlò con Stefano – che sembra essersi trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato – con Samuel Gonzalez Ruiz che ha riferito di aver visto il famoso protocollo e con i suoi superiori: Antonella Deledda ed Edgardo Buscaglia, il quale ha un'ulteriore conferma della fondatezza delle indagini di Iannelli lavorando con il successore di quest'ultimo, Rustam Ergashev il quale viene minacciato – lo dichiara la Deledda – direttamente da Ivano Iannelli.

Gonzalez Ruiz; Deledda; Buscaglia; Ergashev. Tutte persone che avrebbero potuto fornire elementi importanti per indirizzare sulla strada giusta la giustizia. Se solo fossero stati ascoltati. È emblematico quanto avviene proprio a Gonzalez Ruiz, che il 18 febbraio 2006 – cioè due giorni dopo il ritrovamento dei corpi – scrive una mail al pubblico ministero, Luca Palamara, dichiarando se stesso ed il collega Buscaglia «a totale e completa disposizione per qualsiasi tipo di necessità o di informazione», lasciando anche i recapiti telefonici afghani di entrambi. L'audizione avverrà solo 1798 giorni dopo l'omicidio, come ha denunciato sulla pagina dedicata al caso su Facebook Barbara Siringo. D'altronde ce ne sono voluti 1.555 per arrivare alla prima udienza davanti al giudice per le indagini preliminari. Più di 2000, invece, i giorni necessari per scrivere quella verità: uccisi perché sapevano troppo.

[3 - Continua domani]

Già pubblicati:
[1 - "Voglio la verità sull'omicidio di Iendi Iannelli e Stefano". Intervista a Barbara Siringo; 5 agosto];
[2 - Distrazione di fondi dalla cooperazione italo-afghana: Iannelli e Siringo uccisi per averlo scoperto; 6 agosto]

(foto: afghanistan.cooperazione.esteri.it)
(Articolo di Andrea Intonti) [http://senorbabylon.blogspot.it/