Catanzaro Omelia di Natale Arcivescovo Vincenzo Bertolone
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Catanzaro Omelia di Natale Arcivescovo Vincenzo Bertolone

domenica 25 dicembre, 2011

CATANZARO 25 DIC. 2011 - “Mentre un profondo silenzio avvolgeva tutte le cose, e la notte era a metà del suo corso la tua parola onnipotente scese dal cielo, dal suo trono regale” (Sap 18,14). Eccellenza carissima, diletti confratelli, cari fratelli e sorelle, la frase appena ascoltata è quella che riecheggia nella liturgia odierna: il silenzio è lo spazio della nascita di Dio; è lo spazio del Bambin Gesù. [MORE]


Il mistero del Natale che stiamo celebrando ci invita a riscoprire, tra il frastuono di luci e suoni della nostra civiltà, proprio la dimensione del silenzio nella quale agisce Dio. In esso risiedono la coscienza, ciò che è eterno in noi, la capacità di ascoltare Dio. Fare silenzio significa trovare un nuovo ordine e una nuova disposizione interiore; significa non mirare esclusivamente alle cose che si è capaci di rappresentare e di mostrare; vuol dire non rivolgere lo sguardo soltanto a ciò che ha valore tra gli uomini. Ciò comporta il recupero del senso religioso della vita, per sentire la voce di Dio che bussa alla porta di questo nostro mondo per donarci se stesso.


Bussa alla porta, il Bambino Gesù, anche alla ricerca di rifugio, poiché ha voluto diventare un essere che dipende da altri, che come primo gesto protende le mani cercando protezione. Il Dio che si fa piccolo per noi, infatti, non viene con potenza e grandiosità, ma come neonato bisognoso d’aiuto. Nient’altro vuole da noi se non il nostro amore, mediante il quale impariamo spontaneamente a sintonizzarci coi Suoi sentimenti, col Suo pensiero e con la Sua volontà Egli ci toglie la paura della sua grandezza. I veri e supremi valori si presentano così sotto l’insegna dell’umiltà e del nascondimento, perché Dio ha posto definitivamente il segno della piccolezza come distintivo essenziale della Sua presenza in questo mondo.


“Scese dal cielo”: Egli non è più lontano. Non è più sconosciuto. Non è più irraggiungibile. Si è fatto prossimo. Per noi si è fatto dono. Dio si è fatto piccolo affinché noi potessimo comprenderlo, accoglierlo, amarlo. La Parola eterna si è fatta piccola, così piccola da entrare in una mangiatoia ed essere alla portata di ogni uomo. Con la venuta in terra, Gesù ha voluto avere un inizio come tutte le sue creature, Lui che era eterno, proprio per condividere con l’uomo il tempo, la storia, la carne. E come tutti gli uomini ha scelto di avere una fine, una morte. Ha compiuto questo per deporre in tutte le nascite e in tutte le morti, con la Sua presenza, un seme divino, come ricorda Luigi Pozzoli scrivendo che «nell’incarnarsi di un Dio bambino, che poi prenderà le fattezze di un servo, avviene qualcosa che sommuove tutte le gerarchie umane: Dio viene a incrociare e a sentire come parte di se stesso tutti i piccoli della terra: i bambini, i malati, gli emarginati, gli impuri come i pubblicani, gli eretici come i samaritani, i senza patria, i senza nome, i senza voce».


Il Dio cristiano del Natale si nasconde proprio lì, nella carne degli ultimi della terra, al punto da indurre uno tra i filosofi più celebri, l’austriaco Ludwig Wittgenstein, ad affermare: «Il cristianesimo non è una dottrina, né una teoria sull'anima umana. È la descrizione di un evento reale nella vita dell’uomo».


Lasciamo che il nostro cuore, la nostra anima e la nostra mente siano toccati da ciò che stiamo vivendo anche quest’anno. Per questa via amoris Dio ci insegna a prediligere i piccoli, i deboli, ed orienta il nostro sguardo verso tutti i bambini sofferenti ed abusati nel mondo, quelli nati come quelli non nati. Verso i bambini-soldato impiegati in scenari di violenza e di guerra; verso i bambini che soffrono la miseria e la fame; verso i bambini che nessuno degna di affetto ed attenzioni. Preghiamo, in questo giorno solenne, affinché la tenerezza divina si faccia mano che accarezzi questi fanciulli, e chiediamo a Dio di aiutarci a fare la nostra parte perché sia rispettata la loro dignità e per essi sorga la luce dell’amore, di cui l’uomo ha bisogno assai più delle cose materiali di cui si serve per vivere.


Non si vive, infatti, di solo pane. C’è bisogno anche di nutrimento per l’anima, di un senso che riempia l’esistenza. Dove la famiglia si rompe, il matrimonio va a pezzi e l’armonia si frantuma; dove le difficoltà si sentono dure e ostili; dove i sentimenti non sono ricambiati; dove manca il lavoro; dove per ragioni economiche non si può mettere su famiglia; dove non è più garantita la dignità della persona, lì è la croce che ci interpella. Qualcuno ci dirà che essa va rimossa, in ossequio ad una cultura che pretende tutto e subito, che esclude il rispetto per gli altri, che usa la sopraffazione per affermarsi, che non è più sensibile alle tragedie che attraverso i mezzi di comunicazione arrivano direttamente dentro casa, che non ha cuore, che è una cultura che porta alla morte. Ma il Natale testimonia che non è così, e la mangiatoia degli animali in cui Gesù viene alla luce per dare luce è il simbolo dell’altare sul quale giace il Pane, che è Cristo stesso: il vero cibo per i nostri cuori.


Come duemila anni fa la nascita di un Bambino ha illuminato il buio della storia;, così oggi nel canto di quella Vita si trasmette a noi un rinnovato vigore, perché anche questo luogo in cui viviamo possa rivestirsi di quella gioiosa speranza che libera dall’angoscia e dalla solitudine. Tra i tanti regali che compriamo e riceviamo non dimentichiamo l’unico necessario, importante ed essenziale: donarci a vicenda qualcosa di noi stessi, per esempio un po’ del nostro tempo. E ricordiamo nei banchetti festivi di questi giorni la parola del Signore: “Quando offri un banchetto, non invitare quanti ti inviteranno a loro volta, ma invita quanti non sono invitati da nessuno e non sono in grado di invitare te” (cfr Lc 14,12-14).


In questa terra creata come giardino da Dio, ma resa dura dall’egoismo dell’uomo, tutti dobbiamo tornare a Betlemme (Lc 2, 15), per trovare lì la nostra speranza, il nostro Salvatore, il Signore nostra luce e nostro Dio, affinché si realizzino anche per noi le parole che il profeta Michea rivolgeva a Israele: “Se sono caduta, mi rialzerò; se siedo nelle tenebre, il Signore sarà la mia luce (Mi 7, 8).


Come ha ricordato anche il Papa, è compito di tutti lavorare ed agire direttamente, ad ogni livello, nella costruzione dell’ordine temporale, guidati dalla luce del Vangelo e dell’amore cristiano. Nessun luogo deve essere dimenticato, ma in tutti deve risplendere la luce della Chiesa. Anche in quelli della disperazione, caratterizzati da disoccupazione, povertà, ingiustizia, soprusi, malattie, sofferenze fisiche e morali..


A tutti la Chiesa deve ricordare la via della giustizia: alle vittime, affinché gridino a Dio dolori e umiliazioni, protestando nella preghiera la via della giustizia più grande. Ai malvagi, perché si convertano dopo la loro ingiusta condotta, riconoscendo, se datori di lavoro, a ciascuno il giusto salario, il diritto al lavoro, la propria dignità, il rispetto, la stima.
Ma il pentimento, la conversione e la giustizia non si comprano in contanti né con carta di credito, ma si accendono di novità per la carica di umanità che sappiamo immettervi. E così, a loro volta, trasformano il 25 d’ogni dicembre in un giorno diverso non perché così dica il calendario dei negozi, ma perché l’uomo si mostra capace di guardare se stesso e gli altri con occhio diverso, con uno sguardo predisposto a scorgere il bene nascosto. Ecco, perché, malgrado tutto, vi esorto ad essere ottimisti e fiduciosi come lo era Papa Luciani quando scriveva: “L’umile successore di san Pietro non è ancora stato tentato dallo scoraggiamento. Ci sentiamo forti nella fede e con Gesù al nostro fianco possiamo attraversare non solo il piccolo mare di Galilea, ma tutti i mari del mondo”.
È il Natale. È tenerezza per il passato, coraggio per il presente, speranza per il futuro. Come ricordava madre Teresa di Calcutta, esso vive «ogni volta che sorridi a un fratello e gli tendi la mano, ogni volta che riconosci con umiltà i tuoi limiti e la tua debolezza, ogni volta che permetti al Signore di rinascere per donarlo agli altri». E solo con una conversione efficace e un cuore riconciliato potremo varcarne la soglia santa così da incontrare quel Dio che ha scelto di non essere soltanto con noi, ma di essere uno di noi.
Guidati dalla fede, accostiamoci allora alla capanna di Betlemme e chiediamo a Dio quella semplicità di cuore che purifica l’anima dall’orgoglio intellettuale e la rende idonea ad accettare il paradosso del Natale. Oggi, abbiamo tutti bisogno di umiltà! Abbiamo tutti bisogno di metterci alla scuola del Bambino di Betlemme: a tanti uomini del nostro tempo, che con orgoglio e autosufficienza sembrano voler fare a meno di Dio, che nella loro stolta arroganza vorrebbero sostituirsi a Dio e diventare come Lui, Dio risponde con la sua umiltà nel farsi uomo.
Lasciamoci anche noi avvolgere dalla luce che risplende in questo giorno e chiediamo al Signore di renderci come i pastori di Betlemme, sempre pronti ad accogliere il suo invito e ad incontrarLo nei sentieri della nostra vita. La gioia grande che invade all’improvviso il cuore di questi pastori, la stupenda visione dei cori angelici che li riempie di stupore, la grande pace suscitata nell’intimo dalle parole dell’angelo, costituiscono un incoraggiamento a rivivere questa bellissima esperienza con lo stesso atteggiamento interiore.
Questa gioia, questo stupore, questa pace sono il segno di un cuore visitato dal Signore e sono riservati – già su questa terra - a chiunque sia capace di cercarLo con tutto se stesso ed abbia il coraggio di metterLo al centro della propria vita. Schiudiamo allora i cuori al mistero di questo giorno: riconoscendo Dio come il vero dono per la nostra vita, potremo diventare anche noi portatori della luce di Betlemme
«che … non ha l’eguale…» che dà senso alla nostra vita e ci salva.
A voi tutti auguro un Natale buono ed un anno nuovo che ci faccia umili compagni di viaggio dei poveri, dei piccoli, degli umili e dei cercatori di Dio.
Invoco pertanto su di voi la benedizione del Signore invitandovi a pregare pieni di fiducia: “Adveniat regnum tuum”. Venga il tuo regno, venga la tua luce, venga la tua gioia e la tua pace. Amen.
+ Vincenzo Bertolone


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