Resilienze

Covid-19. Parla lo psicologo: le paure di un nemico senza volto

Oggi, la comparsa del Corona Virus, sta mettendo a nudo tutte le debolezze dell’uomo. La sostanza intangibile di un nemico, l’assenza di un corpo entro il quale identificarlo, l’inconsistenza di un oggetto statico da assumere come bersaglio, non solo minano le nostre certezze ma amplificano le nostre paure contemporanee. Un po’ come quando, citando Freud, l’Io scopre di non essere padrone nemmeno in casa propria ma, addirittura, ha poche notizie su ciò che accade inconsciamente nella sua psiche. Vince il senso di impotenza che allarma e può rendere vulnerabili nel corpo e nella psiche.

Dunque, sembra che, in questo tempo sospeso, lo sguardo si posi su una questione fondamentale. La possibilità di pensare le proprie emozioni, di ri-pensarsi, di fermarsi rispetto all’irrefrenabile corsa verso l’autorealizzazione, all’individualismo, allo spirito di continua (e quotidiana) competizione, alla ricerca di consensi in mondi virtuali dove non emerge il sé reale della persona. 

Quando però così non è, l’emozionalità viene agita, viene esasperata. Pensiamo alle coppie conflittuali costrette a convivere e con-dividere in poco spazio e in un tempo che sembra infinito. Agli adolescenti, il cui sano e fisiologico senso di onnipotenza si scontra con l’impotenza, con l’impossibilità di controllare e scontrarsi con un nemico tangibile. Così, i genitori in maniera ancora più pervasiva, diventano contenitori di incertezze ma anche di rabbia, sfoghi, aggressioni. Ancora di più se sono presenti situazioni di disagio psichico all’interno della famiglia. Viene alla mente il caso dell’omicidio a Roma, quartiere Laurentino, notizia di questi giorni. O ancora alle donne vittime di violenza costrette in casa col loro aguzzino. 

E ancora si esasperano le dinamiche emozionali amico-nemico, dentro-fuori, in cui è amico chi resta, nemico chi scappa, chi fa una passeggiata. Forse così, se mi scontro contro qualcuno che ha un volto, il virus diventa più concreto, reale. Allora il nemico non è più lo straniero ma diventa il vicino di casa, il calabrese che rientra in “patria”. Non ci sono più confini perché in fondo non c’è differenza tra un treno e un barcone, se il motivo che spinge a partire è la paura. 

Quando i riflettori si spegneranno sull’emergenza virus, noi professionisti della salute mentale, probabilmente faremo i conti con contesti familiari e sociali ancora più provati. Certi che ognuno di noi ha toccato con mano ancora di più la paura, la rabbia, il dolore, consapevoli che gli agiti rappresentano inevitabilmente richieste di aiuto disfunzionali, a noi il compito di coglierle, ridefinirle e dare loro un senso.

Valentina Pirrò

Psicologa, Psicoterapeuta, Criminologa
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