Editoriale

Disoccupazione: tre giovani su dieci non hanno un lavoro

Dopo la “generazione mille euro” è il momento della generazione zero euro, una generazione senza lavoro e senza risorse. E’ il ritratto dei giovani al di sotto dei 24 anni, per i quali sembra davvero difficile riuscire a trovare un posto di lavoro: secondo le stime rese note dall’Istat il 28,9 % di loro risulta infatti disoccupato.

In Italia la media nazionale della disoccupazione è del 8,7% (dato di ottobre 2010), inferiore rispetto alla media europea, che è del 10,1%, ma superiore rispetto a nazioni più virtuose come la Germania, che ha un tasso di disoccupazione del 6,7%, e l’Olanda con il 4,4%.[MORE]
I 2 milioni e 175 mila cittadini italiani in cerca di occupazione si concentrano maggiormente nella fascia di età 15-24 anni e prevalentemente al sud.

Tutte le sigle sindacali esprimono profonda preoccupazione per questo dato e sollecitano un rapido intervento del Governo. Il ministro Sacconi ha annunciato un incontro con i ministri Gelmini e Meloni per mettere a punto un piano nazionale per l’occupabilità, di cui dovrebbero beneficiare prevalentemente i giovani, e nuovi interventi per promuovere l’apprendistato nei lavori artigianali e tradizionali e iniziative volte a prevenire la dispersione scolastica.

Sempre secondo i dati Istat soltanto il 5% dei giovani in cerca di lavoro riesce a trovarlo tramite le Agenzie per il lavoro o i Centri per l’impiego. Oltre il 55% infatti lo trova grazie alla filosofia del “mi manda Picone”: essere segnalati da parenti e amici è di gran lunga la possibilità più concreta di trovare un’occupazione.

Ma quali sono le cause di questi dati così allarmanti? E quali le possibili risposte?

Sappiamo che il nostro Paese non investe risorse adeguate in programmi di ricerca e sviluppo, ma gli ambiti di intervento possibili sono almeno due: le politiche del lavoro e le politiche dell’occupazione, con una migliore definizione e articolazione degli strumenti offerti dal quadro normativo, tra cui l’apprendistato.

Certamente è necessario agevolare l’ingresso dei giovani al mercato lavorativo e professionale, regolandone l’accesso su base meritocratica, in modo da garantire a tutti opportunità vere di mobilità sociale.
Ma è anche altrettanto necessario rivedere radicalmente il sistema formativo universitario e professionale, affinché sia in grado di dialogare con il mondo del lavoro e mettere in relazione domanda e offerta a partire dalle reali necessità delle aziende.

Inoltre sarebbe opportuno promuovere il lavoro autonomo sotto il profilo contributivo e fiscale affinché chi non riesce a trovare il tanto agognato lavoro fisso, magari statale, possa capitalizzare le proprie competenze e intraprendere un percorso professionale che gli consenta di mettere a reddito il proprio sapere.

Senza interventi radicali che offrano ai giovani possibilità lavorative concrete, il nostro paese, dopo la fuga dei cervelli, rischia la fuga delle speranze.