La strada della vita

Ecco i problemi degli adolescenti … e dei genitori

Sebbene il tempo cancelli, in parte, il ricordo di ciò che siamo stati, nessuna delle nuove esperienze vissute in età adulta è in grado di far dimenticare il turbinio delle emozioni provate negli anni dell’adolescenza.


Indelebile è quell’oscura paura – della vita, del mondo, di sé stessi – da cui confusamente ci si sente invasi, così come l’eccitante sensazione di poter sfidare o addirittura bruciare regole e convenzioni, limiti e confini, in misura tanto maggiore quanto più si sceglie di vivere intensamente e spregiudicatamente la propria esistenza. Indimenticabili sono la disperazione, profonda, viva, angosciante, ma anche la gioia incontenibile, spontanea, irresistibile nei sogni ad occhi aperti e nelle visioni di scenari futuri.
Quanto più questa stagione si allontana, tanto maggiormente il ricordo di essa sfuma, ma senza mai scomparire del tutto. Eppure puntualmente si rinnova, nei genitori che si ritrovano a gestire questa delicata fase di passaggio dei propri figli, lo sgomento di fronte a comportamenti spesso imperscrutabili, a reazioni governate dall’eccesso, insomma: alle difficoltà del crescere. Perché la transizione, in qualche misura sempre dolorosa e complicata, dall’età infantile a quella adulta, muta forma nel corso delle generazioni, e sembra peggiorare con il trascorrere dei decenni. Perché la tecnologia distrae e aliena i ragazzi, divenendo sempre più pervasiva e condizionando la capacità individuale di discernimento.


In realtà, sebbene se ne sia sempre detto tutto il male possibile, le nuove tecnologie hanno costantemente esercitato sulle persone un influsso ambivalente: se da un lato limitano l’indipendenza e la privacy, dall’altro favoriscono l’accesso alle informazioni, alla conoscenza, e facilitano la mobilità, consentendoci di formare i nostri giudizi non più sulla base di una mentalità ristretta di tipo familiare, locale, ma confrontandoci con un numero sempre più vasto di persone e culture.
Solo pochi secoli fa era estremamente probabile che un ragazzo o una ragazza, nati in un piccolo centro e appartenenti a una classe sociale non elevata, per tutta la loro vita non avessero altri criteri di riferimento se non quelli della loro famiglia e della loro comunità. Oggi, grazie a internet e agli smartphone, gli adolescenti nordafricani possono confrontare gli stili di vita della loro comunità con quelli dei loro coetanei europei. Solo pochi decenni fa, un giovane costretto per ragioni di studio o di lavoro ad allontanarsi dalla propria famiglia perdeva temporaneamente i contatti con essa, che rimaneva nell’inquietante e passiva attesa di una lettera o una notizia comunicata da un conoscente. 

Oggi, al contrario, le famiglie mantengono con i ragazzi lontani da casa un rassicurante e costante contatto, e sono in grado di aiutarli anche a distanza.
Ma, spesso, i genitori si dimenticano di questi enormi vantaggi e, presi dall’ansia, sono portati a vedere solo gli aspetti negativi della tecnologia digitale, come il rischio di essere costantemente monitorati dai gestori e quello, per i ragazzi, di avere accesso a ogni sorta di contenuti. Il mondo si trasforma, dobbiamo accettarlo: a ogni generazione la sua vita, e le sue regole. Forse, più semplicemente, ritrovarsi dall’altra parte della barricata muta la prospettiva, così che, a prescindere da quello che i genitori ricordano e razionalmente comprendono, rischiare di perdere il controllo sulla vita dei ragazzi significa per loro convivere con il terrore che i figli possano «farsi male», «imboccare brutte strade», diventare preda di «cattive amicizie»; in altre parole, che qualcuno o qualcosa possa ferirli profondamente e senza rimedio.

Consola, in parte, l’idea che sia così da sempre, che sia così ovunque… O almeno questo è ciò che, nel processo esistenziale cui ciascuno di noi sottopone sé stesso in età di bilancio, siamo portati a pensare.
In realtà l’adolescenza, «invenzione» dell’Occidente moderno se intesa come periodo dell’esistenza umana problematico e di transizione, rimane tuttora sconosciuta a molte società tradizionali, dove l’allontanamento dallo stato infantile non è considerato un processo che gradualmente, e attraverso strade tormentose, conduce all’ingresso nell’età adulta, bensì una sorta di salto, brusco e repentino, che dall’oggi al domani (seppure attraverso riti di iniziazione) trasporta l’individuo nella fase successiva della sua vita.

La stessa concezione era diffusa nel mondo occidentale, dove per secoli si è considerato del tutto normale far svolgere ai bambini attività lavorative anche molto faticose, da «adulto», o eleggere al trono giovanissimi sovrani.
I cambiamenti socio-economici avvenuti in Europa sul finire del XIX secolo, soprattutto nella società borghese, hanno però sancito la fine di questo modo di guardare all’infanzia e alla sua conclusione: la necessità di dedicare un numero maggiore di anni all’istruzione, così come quella di approdare, in alcune scienze particolarmente avanzate, ad una formazione adeguata attraverso un apprendistato completo e di lunga durata, hanno gradualmente generato quella che potremmo definire una «età nuova», improduttiva e di passaggio, identificata poi con il termine adolescenza.

Finita l’epoca delle grandi e premature responsabilità, restituita ai bambini, in misura diversa a seconda del contesto sociale, lo spazio e il diritto di essere tali, è iniziato il tempo dell’attesa e del tumulto interiore.
L’attesa è quella dell’età adulta: gli adolescenti aspettano spasmodicamente di diventare grandi, di raggiungere una meta che coincide per loro con l’idea di libertà assoluta. Il tumulto è la tempesta che bisogna attraversare per afferrarla.

È tutto «previsto», ovvero necessario. Eppure il disagio dei ragazzi, che in questa fase si ritrovano a scoprire sé stessi e il mondo circostante vivendo intanto cambiamenti radicali, può diventare, e a volte diventa, insopportabile.
L’adolescenza è un’esperienza maturativa estremamente turbolenta, che ha in sé, per sua stessa natura, una componente potenzialmente patogena. Esiste dunque la possibilità che i cambiamenti profondi vissuti in questa fase e la mancata acquisizione, strada facendo, di strumenti atti a gestirli, conducano i ragazzi e le ragazze a debordare in stati patologici veri e propri, i quali, se non affrontati adeguatamente, possono ostacolarne in modo serio il regolare processo di crescita. Negli ultimi anni è stato segnalato un preoccupante aumento dei casi di depressione tra gli adolescenti, che si ritrovano sempre più spesso a combattere contro sensi di colpa, inadeguatezza, angoscia, profondissima insoddisfazione, intrappolati in una gabbia di sentimenti neri da cui pare non esistere via d’uscita. Le conseguenze di simili stati d’animo spaziano dagli insuccessi scolastici e dall’emarginazione all’abuso di alcol e sostanze stupefacenti, ai disturbi del comportamento alimentare, al bullismo e alla violenza, per sfociare talvolta, quando la fragilità non trova appigli, nell’atto estremo, che dice tutta l’oscurità da cui i ragazzi possono sentirsi avvolti. Una gamma impressionante di espressioni di disagio della quale le interviste raccolte nella prima parte del libro costituiscono una testimonianza solo parziale.

Impertinenza, arroganza, insolenza sono le manifestazioni più comuni di questo malessere che non trova parole e non sa chiedere aiuto, lo schermo che nasconde i demoni e confonde gli spettatori, portando spesso insegnanti e genitori a sottovalutare la portata del malessere di sottofondo di cui pure avvertono l’esistenza. Già nei primi anni Settanta del Novecento il premio Nobel Konrad Lorenz, nel suo libro L’altra faccia dello specchio, osservava: «…È un fenomeno del tutto normale […] che all’epoca della pubertà i giovani comincino a criticare e a mettere in dubbio tutti i valori tradizionali della cultura dei genitori, e che cerchino nuovi ideali cui ispirarsi. Questo comportamento è proprio anche dei ‘bravi’ ragazzi…».


E ancora: «…probabilmente non è possibile che il distacco del giovane dalla famiglia avvenga senza che intervengano in qualche modo sentimenti di ostilità».
La difficoltà di distinguere i «normali» malumori adolescenziali dallo stato depressivo in cui a volte gli adolescenti precipitano è accresciuta dal fatto che ragazze e ragazzi non manifestano nello stesso modo questo disturbo psicologico. Le prime, infatti, esprimono il loro disagio attraverso una errata percezione del proprio corpo, che le porta in molti casi a non considerarsi all’altezza degli standard estetici imposti dalla società e di conseguenza a disprezzare sé stesse. Aggressività e ribellione sono invece le reazioni tipiche dei ragazzi che, ritrovandosi a fronteggiare un malessere troppo grande, mascherano la sofferenza con la rabbia e assumono comportamenti di sfida talvolta pericolosi.


Sempre nell’opera citata, Lorenz afferma: «Il ragazzo si ribella molto più violentemente contro suo padre di quanto faccia la ragazza contro il padre o la madre».
Il germe della depressione adolescenziale, tuttavia, non sempre è da cercare nella deriva della «normale» inquietudine di quest’età e nei tormenti che la caratterizzano. Nella maggior parte dei casi, anzi, esso si annida all’interno del nucleo familiare, e il disagio è generato, o se non altro acuito, dalla difficile convivenza tra genitori e figli. In questa fase i ragazzi, vivendo un rapporto di tipo conflittuale con i propri genitori, se ne distaccano alla ricerca di nuovi punti di riferimento e spesso di modelli da emulare. Solitamente questo «spazio emotivo» lasciato apparentemente libero dagli affetti intrafamiliari viene occupato dall’amico o dall’amica del cuore, con il quale l’adolescente instaura un rapporto esclusivo e viscerale, un legame che per la sua intensità appare quasi morboso.


Molto significative, a riguardo, sono ancora una volta le parole del famoso etologo che, sempre nel medesimo libro, descrive molto realisticamente tale legame: «Quando l’adolescente alla ricerca di nuovi ideali trova incarnate in un amico, in un maestro o in un gruppo tutte quelle caratteristiche che va cercando, può cadere preda di una venerazione assoluta i cui sintomi esteriori non sono molto diversi da quelli dell’innamoramento».
In realtà i genitori continuano a rappresentare delle figure imprescindibili, nelle quali i ragazzi, spesso inconsapevolmente, cercano un senso di rassicurazione. Questa necessità di sentirsi protetti, infatti, coesiste in loro con l’insopprimibile bisogno di libertà che li spinge a distaccarsi dal nucleo familiare e ad avventurarsi nel mondo esterno.  

Quasi sempre problematica, per i ragazzi la convivenza con i propri genitori diventa intollerabile quando si verificano casi di violenza domestica. Che si tratti di violenza fisica o meno, essi subiscono gravi danni psicologici anche quando gli atti violenti non sono diretti contro di loro ma riguardano unicamente gli adulti. Il semplice fatto di assistere ai litigi dei propri genitori, ad eventuali aggressioni fisiche o a scambi di insulti e turpiloqui è fonte di ansia e dolore. Lo sguardo di un figlio non è mai indifferente a quello che succede tra i genitori dentro le mura di casa, così come un genitore violento davanti ai figli provoca inevitabilmente danni alla loro crescita psichica ed emotiva. Gli adolescenti che si ritrovano a vivere situazioni di questo tipo crescono quasi sempre pieni di rabbia, accusano varie forme di malessere fisico, diventano aggressivi nei confronti dei loro coetanei. E soprattutto vengono invasi dalla paura, maturando una visione distorta dei rapporti interpersonali e di coppia che condizionerà negativamente lo sviluppo delle loro relazioni future.

Nel suo libro Bambini da salvare, Aldo Gombia parla dell’instaurarsi di «un circolo vizioso» attraverso il quale il senso di inadeguatezza e il ricorso a comportamenti violenti nel rapporto coniugale si trasmettono tra le generazioni. Egli scrive: «…In questo tipo di conflitto coniugale, spesso, dalle parole si passa ai fatti, per cui il bambino diventa spettatore di violenze fisiche, violenze che si riversano anche su di lui. È in questo clima che il bambino non sperimenta quegli aspetti positivi della vita come la comprensione, la fiducia, la stima di sé. Al contrario, vive nell’incapacità di ribellarsi, di far fronte agli eventi e alla violenza; non riesce nemmeno a difendere il genitore più debole, deve reprimere la sua ira, ‘mandarla giù’, cercando di non soffrire. Per non soffrire si costruisce, spesso, un suo mondo fatto di fantasie, di compagni irreali, un mondo dove il ‘rumore’ dei grandi non possa entrare. Il contatto con la realtà diventa difficile, poiché gli adulti gli vietano il suo modo di comunicare.

Allora egli adopera altri tipi di messaggi: reazioni aggressive o al contrario, depressive, che vengono messe in atto specialmente al di fuori della famiglia, quasi sempre nel contesto scolastico. E se anche in questo non trova chi riesce a comprenderlo, ad aiutarlo, allora si determina in lui un vero e proprio processo di cronicizzazione, cioè sintomi sempre più frequenti e disturbanti».
È chiaro che, se la metamorfosi adolescenziale deve compiersi sulla base di questi presupposti, il passaggio da un individuo-bambino a un individuo-adulto non può portare allo sviluppo di un giovane equilibrato, attrezzato per affrontare la vita e farsi accettare facilmente dagli altri. 

Al contrario, le alterazioni caratteriali dello stadio infantile non potranno che aggravarsi quando il ragazzo o la ragazza dovranno confrontarsi con un improvviso sconvolgimento dei loro paradigmi di riferimento.

L’adolescenza, tuttavia, non è solo questo.
Nella sua essenza più profonda essa è, piuttosto, una stagione d’amore. Laddove per amore si intende un sentimento assoluto, incondizionato, che non conosce confini di sesso o colore, e non conosce ragioni.
Più precisamente l’adolescenza è la fase della vita in cui si scopre l’amore. I primi amori, fatti di idealizzazione e speranza, vengono vissuti con grande intensità, alternando momenti di indicibile felicità ad altri di sofferenza disperata. Ad essere fonte di dolore, in questi casi, non sono solo i sentimenti non corrisposti o traditi, bensì anche la confusione, la scoperta di orizzonti imprevisti, il fatto di ritrovarsi a provare attrazione per qualcuno del proprio sesso.


E tuttavia, omosessuale o etero che sia, gli «effetti» dell’amore sono soprattutto positivi: a questa età, in particolare, esso favorisce la conoscenza di sé e degli altri, consentendo di sviluppare le relazioni interpersonali. 

Nella fase dell’innamoramento, l’adolescente sperimenta le sue capacità affettive all’interno del rapporto di coppia, iniziando a sperimentare un gioco fino a quel momento sconosciuto. Il partner diventa un punto di riferimento, il centro attorno a cui ruota ogni pensiero, ogni interesse; una via d’uscita da quel senso di solitudine che spesso intrappola i ragazzi in una morsa che toglie loro il respiro. Molto spesso gli adulti sottovalutano i sentimenti degli adolescenti, che invece vivono con grande fatica e profonda intensità le prime esperienze di innamoramento, preparandosi così ad affrontare la vita. Sono infatti i primi amori, con l’entusiasmo e la sofferenza che li caratterizzano, ad influenzare la capacità di formare una coppia stabile in età adulta, segnando dunque in maniera indelebile il futuro sentimentale dell’adolescente.

Dolce, complicata, dolorosa, l’adolescenza è in fin dei conti un ponte sulla strada della vita, un fondamentale momento di passaggio dallo stupore dell’infanzia alla consapevolezza dell’età adulta; essa è anche, tuttavia, un viaggio avventuroso e affascinante durante il quale si inizia a scoprire il mondo e si vivono amori indimenticabili, mentre si scruta curiosi il futuro e ci si prepara alla vita che verrà.
Preziosi, a riguardo, i suggerimenti che Vittorino Andreoli offre ai genitori di figli adolescenti, ma anche alla scuola e agli insegnanti che ogni giorno, nel tentativo di aiutare i ragazzi nel loro percorso di vita, si ritrovano a fronteggiare situazioni complesse e piene di difficoltà; un decalogo di consigli che si propongono di facilitare, per quanto possibile, un compito d’amore e di educazione tra i più gravosi. Perché una crescita armoniosa dell’essere umano e la formazione di individui consapevoli, equilibrati, felici sono obiettivi cui l’intera società, se interessata a migliorare sé stessa, dovrebbe saper tendere.

Antonia Caprella