Ecco L’Ucraina ammasso di rottami e di armi in perenne richiesta di armamenti sempre più potenti.
La danza macabra di uno Stato sulla soglia del Baratro.
Dall’inizio della guerra su larga scala fra Ucraina e Russia (febbraio 2022) è stato registrato un numero impressionante e drammatico di armi persi o rubati: 491.426 in totale secondo il registro ufficiale del Ministero dell’Interno dell’Ucraina. Oltre 149.000 fucili d’assalto risultano spariti, fra cui circa 99.000 della famiglia AK-74 / Kalashnikov. Più di 135.000 fucili da caccia sono inclusi nella conta. Pistole e armi minori: più di 21.000 pistole Makarov, oltre a carabine, mitragliatrici, lanciagranate. Origine: il 58% circa delle armi mancanti sarebbe di fabbricazione estera, 17% nazionale e 25% di origine ignota. La crescita è stata rapida: Già nel settembre 2024 la cifra era di circa 270.900 unità, mentre un anno dopo il totale ha raggiunto circa 491.426 — quasi un raddoppio. Kyiv (città): 78.500 armi mancanti. Donetsk: 72.200.Mykolaiv: 50.100. Questo scenario non è solo una questione di numeri, ma presenta tre ordini di riflessioni cruciali: Nel Governo di Kyiv vi sono falle gravissime in ambito di sicurezza interna ed esterna. Armi che “scompaiono” — non tracciate, non controllate — rischiano di finire sul mercato nero, in mani di criminalità organizzata, gruppi terroristici o vendute clandestinamente ad altri Stati. Peraltro il Parlamento Europeo ha sollevato interrogativi sulle forniture occidentali: quali armi sono finite dove, e con quale controllo?Domande a cui ancora l’Ucraina non ha dato risposta. E con tale gravissima situazione di sicurezza l’Occidente intende ancora armare l’Ucraina? Non ci si pongono interrogativi sul rischio che tali armi possano finire a gruppi terroristici mediante il mercato nero? I Paesi dell’Occidente e alleati che forniscono armi — all’Ucraina o ad altri — devono interrogarsi: a che titolo forniscono strumenti letali senza garanzie solide sulla tracciabilità, sulla sicurezza della catena e sulla destinazione finale? Se fornire è legittimo, la responsabilità del dopo-fornitura diventa cruciale. In molti ordinamenti — incluso quello italiano — la dignità della persona, la tutela della vita e della sicurezza pubblica sono diritti fondamentali. L’invio di armamenti senza adeguate misure di verifica rischia di contraddire questi principi: la persona prima dell’arma, la vita prima della proprietà dell’arma, il controllo prima del quantitativo. Il principio fondamentale è espresso nell'Articolo 11 della Costituzione Italiana: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali..."Questo articolo, di ispirazione pacifista, è il criterio guida che deve orientare la politica estera e di difesa dell'Italia, e di conseguenza, le decisioni sull'esportazione di armi. Il commercio di armamenti non è un'attività economica come le altre, ma deve essere subordinato a criteri etici e al rispetto del principio del ripudio della guerra. La base normativa in Italia è saldamente ancorata alla Costituzione e specificamente disciplinata dalla Legge n. 185 del 1990 (Nuove norme per il controllo dell'esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento). La Legge 185/90 traduce il principio costituzionale in divieti concreti per l'esportazione e il transito di materiali di armamento (Art. 1, comma 6). In particolare, il divieto si applica verso:
- Paesi in stato di conflitto armato (salvi gli obblighi internazionali dell'Italia e le diverse deliberazioni del Consiglio dei Ministri, previo parere delle Camere). Questo è il punto chiave rispetto allo scenario Ucraina/Russia.
- Paesi la cui politica contrasti con l'Articolo 11 della Costituzione.
- Paesi nei cui confronti sia stato dichiarato l'embargo (totale o parziale) di forniture belliche dall'ONU o dall'UE.
- Paesi i cui governi sono responsabili di accertate gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani.
La legge impone inoltre requisiti di controllo e trasparenza sulle esportazioni, richiedendo l'autorizzazione governativa e la produzione di una dichiarazione sull'utilizzo finale (End-User Certificate), proprio per prevenire il rischio che le armi finiscano sul mercato nero o in mani non autorizzate, come evidenziato nel tuo articolo. A livello europeo, sebbene la politica di difesa e sicurezza rimanga di competenza esclusiva degli Stati membri (Articolo 346 del TFUE), esiste una cornice comune che mira a una convergenza delle politiche nazionali. Il principale strumento è la Posizione Comune 2008/944/PESC del Consiglio dell'Unione Europea, che definisce otto criteri vincolanti per le esportazioni di tecnologia e attrezzature militari. Questi criteri includono:
- Rispetto degli impegni internazionali (in particolare il diritto internazionale umanitario e i diritti umani) da parte del Paese acquirente.
- Mantenimento della pace, della sicurezza e della stabilità regionali.
- Rischio di deviazione (ossia che le armi vengano re-esportate o finiscano in mani non governative, il problema sollevato dal tuo articolo).
- Il criterio 3 vieta specificamente l'esportazione se vi è il rischio manifesto che le attrezzature militari siano utilizzate per commettere gravi violazioni del diritto internazionale umanitario.
La Posizione Comune, ispirata anche dalla legge italiana 185/90, spinge gli Stati membri a considerare l'impatto etico e di sicurezza delle loro decisioni, stabilendo che le licenze di esportazione dovrebbero essere negate se l'esportazione rischia di prolungare o aggravare un conflitto armato esistente o se può essere utilizzata per la repressione interna. La mancanza di tracciabilità e il rischio di deviazione (finire nel mercato nero, a gruppi terroristici) – evidenzia una potenziale violazione o un'elusione di fatto sia della Legge 185/90 che della Posizione Comune UE, in particolare del criterio sul rischio di deviazione e sulla garanzia dell'uso finale.La responsabilità non termina con la fornitura; i principi costituzionali (tutela della dignità, ripudio della guerra) e le norme di legge richiedono agli Stati fornitori di garantire, per quanto possibile, che i loro strumenti non si trasformino in una minaccia per la sicurezza globale e non concorrano a violazioni dei diritti umani. Il bilancio è allarmante: quasi mezzo milione di armi scomparse in un solo Paese in guerra. È un segnale forte non solo per l’Europa, ma per chiunque fornisca sostegno armato o politico in contesti di conflitto. Il principio cardine, sancito dall'Articolo 11 della Costituzione Italiana e dai criteri della Posizione Comune UE, non impone di rinunciare tout court all'aiuto a un Paese aggredito, esercizio legittimo di autodifesa (Art. 51 Carta ONU), ma di subordinare tale aiuto ai principi di pace, sicurezza umana e diritti fondamentali.E non solo è importante operare una limitazione delle forniture di armamenti bellici a quegli Stati che manifestano politiche aggressive o espansioniste finalizzate alla destabilizzazione internazionale. L'imperativo etico e giuridico impone di superare la logica del mero trasferimento di materiale bellico e di adottare un approccio basato sulla responsabilità del "dopo-fornitura". I Paesi fornitori devono garantire che le armi non diventino un boomerang per la sicurezza globale. Ciò significa non solo operare una rigorosa limitazione delle forniture verso Stati con politiche aggressive o espansioniste, ma anche esigere tracciabilità, controllo e trasparenza assolute sulle armi inviate. La persona, la sua dignità e la sua sicurezza pubblica (principii fondamentali dei nostri ordinamenti) devono venire prima dell'arma. La fornitura di armamenti, anche se a scopo difensivo, non può e non deve in alcun modo ridurre la protezione dei civili o alimentare il mercato nero. L'Occidente è costituzionalmente vincolato a fare in modo che i propri strumenti di difesa non si trasformino in nuove minacce nelle mani della criminalità organizzata o del terrorismo I leader europei sembrano ignorare il rischio che le armi destinate all’Ucraina possano, in futuro, essere rivolte contro l’Occidente — proprio come avvenne in Afghanistan, quando i mujaheddin, armati dagli americani per contrastare l’Unione Sovietica, finirono per usare quelle stesse armi contro l’Occidente. La compliance con i principi costituzionali e le norme internazionali non è un optional, ma la premessa ineludibile per ogni atto di sostegno militare.
Marco Rispoli (Davoli)