Elezioni, promettere di ridurre le tasse: la regola che conferma l'eccezione (utopia)

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MILANO, 08 FEBBRAIO 2013 – Con la campagna elettorale agli sgoccioli, per i diversi politici, si fa sempre più pressante l’esigenza di convincere gli elettori ad esprimersi - al momento delle votazioni - a favore dei rispettivi schieramenti. A causa di ciò, mentre i programmi elettorali risultano essere alquanto fumosi, la “battaglia” per accaparrarsi i voti si combatte su un “campo” sensibile per ciascuno degli aventi diritto al voto: gli esborsi economici collegati alle tasse. Così, comincia il valzer - da parte degl'interessati – concernente la riduzione, eliminazione o restituzione delle varie imposte.

Atteggiamento, quest’ultimo, che trova spazio e spiegazione nella cosiddetta teoria del ciclo politico-economico (political business cyclepolit), formulata verso la metà degli anni Settanta (inizialmente dall’economista William D. Nordhaus (1975), anche se la prima formulazione - risalente al 1943 - viene attribuita a Kalecki). Tale teoria, partendo dall’obiettivo principale che i politici in carica perseguono – ovverosia quello di essere rieletti - sostiene che quest’ultimi agiranno in modo tale da indirizzare l’economia al fine di massimizzare i voti attesi. [MORE]

Ciò è dovuto - sempre secondo le ipotesi assunte dalla citata teoria – al fatto che gli elettori sono influenzati nelle proprie decisioni di voto dall’andamento dell’economia al momento delle elezioni e, in particolar modo, dal tasso di disoccupazione e da quello dell’inflazione esistenti. Nello specifico, gli elettori - privi di memoria storica - attribuirebbero un peso maggiore alle performance del periodo più vicino alla tornata elettorale, dimostrando – allo stesso tempo – di essere miopi riguardo alle conseguenze nel lungo periodo di eventuali decisioni poste in essere in campagna elettorale[1].

Tornando all’Italia, uno degli esempi lampanti di una certa flessibilità dei nostri policy makers nell’introdurre le tasse, a cui si contrappone – successivamente - una pari rigidità nell’eliminarle, ci viene offerto dalle accise. Mai termine adottato per individuare un' imposta (che, nel caso specifico, va a gravare non sul valore, ma sulla quantità di prodotti messi in vendita dal produttore), balzello o tassa, fu più appropriato visto che, in dialetto napoletano[2], "accise" significa “uccise”, (e continuano ad uccidere) le povere tasche dei contribuenti.

Giusto per rigirare il coltello nella piaga, ecco l'elenco completo delle accise vigenti nel nostro territorio:

- 1,90 lire (0,000981 euro) per il finanziamento della guerra di Etiopia del 1935-1936;
- 14 lire (0,00723 euro) per il finanziamento della crisi di Suez del 1956;
- 10 lire (0,00516 euro) per la ricostruzione dopo il disastro del Vajont del 1963;
- 10 lire (0,00516 euro) per la ricostruzione dopo l'alluvione di Firenze del 1966;
- 10 lire (0,00516 euro) per la ricostruzione dopo il terremoto del Belice del 1968;
- 99 lire (0,0511 euro) per la ricostruzione dopo il terremoto del Friuli del 1976;
- 75 lire (0,0387 euro) per la ricostruzione dopo il terremoto dell'Irpinia del 1980;
- 205 lire (0,106 euro) per il finanziamento della guerra del Libano del 1983;
- 22 lire (0,0114 euro) per il finanziamento della missione in Bosnia del 1996;
- 0,02 euro per il rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri del 2004;
- 0,005 euro per l’acquisto di autobus ecologici nel 2005;
- da 0,0071 a 0,0055 euro per il finanziamento alla cultura nel 2011;
- 0,04 euro per far fronte all'arrivo di immigrati dopo la crisi libica del 2011;
- 0,0089 euro per far fronte all'alluvione che ha colpito la Liguria e la Toscana nel novembre 2011;
- 0,082 euro per il decreto "Salva Italia" nel dicembre 2011;
- 0,02 euro per il decreto "Terremoto" nel maggio 2012.

Il totale è di circa 0,41 euro (0,50 euro iva inclusa).

Alla luce di quanto affermato, gli elettori dovrebbero recuperare la loro memoria storia ed essere meno miopi rispetto a certi tipi di promesse “populiste” fatte in campagna elettorale, a prescindere dallo schieramento politico da cui queste provengono.

 

Fonte: [1] Acocella Nicola, Politica economica e strategia aziendali, Carocci editori, 2008, 678 pp.

[2] In riferimento alle origini del termine “Accise” adottato dal vernacolo napoletano, questo si fa risalire alla lingua francese: Assisa f. "calmiere, prezzo imposto dal magistrato municipale ai commestibili di comune uso" (1510, Passero, Rocco 1891;D'Ambra 1873; Andreoli 1887); (fig.) "taccia, sorta di biasimo"(1752, Pagano, D'Ambra 1873).

FRAS.: mettere l'assisa a le cetrole "valutare male, giudicare senza competenze" (ante 1632, Basile, D'Ambra 1873). COMP.: contrassisa f. "contravvenzione alle consuetudini" (1761,Capasso, D'Ambra 1873); "contravvenzione al calmiere' (D'Ambra 1873).

Dal fr. accise f. "impôte, taille" (1170 ca., TLF III 705), comp. di AD e CAEDERE "tagliare".; cfr . cfr. it.a. assisa (ante 1348, G.Villani,GDLI; DEI I 333 s.v. assisa2) e it. accisa "tassa, tributo indiretto a carico del produttore, che grava sulla produzione di determinati beni". Nel significato del napoletano la voce è attestata in numerosi dialetti merdionali, cfr. abr.-mol. assísë DAM, cal. assisa NDC, salent. assisiVDS.

 

Rosy Merola

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Scritto da Rosy Merola

Giornalista di InfoOggi

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