Fattori criminogeni minorili, intervista al Criminologo Clinico Saverio Fortunato 
Criminologia Calabria

Fattori criminogeni minorili, intervista al Criminologo Clinico Saverio Fortunato 

mercoledì 11 ottobre, 2017

VIBO VALENTIA, 11 OTTOBRE - Siamo il frutto di una società alla deriva o possiamo ancora porre le basi per arginare la piaga sociale della delinquenza giovanile?
Bullismo, cyber-bullismo, microcriminalità, condotte antisociali dei minori. Sono temi che sempre più frequentemente sconvolgono l’opinione pubblica e le coscienze. Ci si interroga spesso su quale sia il meccanismo criminogeno che faccia scattare nel bambino, o nell’adolescente, azioni aggressive e violente nei confronti di altri coetanei, animali, o persone.


Lo abbiamo chiesto al Professor Saverio Fortunato, Specialista in Criminologia Clinica, Preside del Corso di Laurea in Scienze della Mediazione Linguistica Indirizzo Criminologia & Intelligence all'Istituto Criminologia.it di Vibo Valentia.


Professor Fortunato, alcuni fatti di cronaca hanno come protagonisti minori violenti, aggressivi, distruttivi e non curanti delle conseguenze delle loro azioni. Fenomeno in crescita negli ultimi anni e frutto di una società con valori alterati?
“La violenza giovanile è sempre esistita e sempre esisterà. Quello che cambia è il contesto storico-sociale in cui si manifesta e poi il ruolo dei mass-media: a volte accendono il riflettore su un fenomeno criminale e lo amplificano per poi passare a un altro. In questo modo abbiamo la violenza a cicli: il ciclo del lancio dei sassi dei cavalcavia; poi quello degli stupri o delle botte agli insegnanti e così via. Aumentano la violenza giovanile e non, l’assunzione di droghe e di alcol. Tuttavia, parliamo di casi estremi perché la maggioranza dei giovani – per fortuna! - non è violenta”.

Le cause del comportamento deviante e antisociale del minore sono attribuibili alla società, alla predisposizione biologica e psicologica individuale o ad erronei stili di parenting?
“Sulla devianza ci sono diverse teorie più attendibili, quelle sociologiche e criminologiche che tentano di spiegarne le cause. Possiamo citare le più appropriate: la devianza deriva dall’eccesso o dalla mancanza di norme (Durkheim, 1897); oppure, deriva da rapporti sociali assenti, fragili o conflittuali (Scuola di Chicago, 1942); oppure, è il risultato del divario tra le mete di una cultura ed i mezzi approvati per raggiungerle (Merton, 1938); o è dovuta a conflitti tra norme culturali diverse (Sellin, 1938).
Secondo la teoria di Becker la devianza è la violazione di una norma; per cui, nasce nel momento in cui si pone in essere una norma. Il che spiega come mai un certo comportamento è considerato deviante dove c’è una norma che lo etichetta come tale (per esempio, al nord) e, invece, non lo è altrove (per esempio, al sud) dove non sussiste tale norma. Tutto ciò per dire che nessuno nasce deviante, ma contribuisce alla sua determinazione il contesto storico-sociale, l’area geografica e la personalità del soggetto che viene etichettato come deviante e quella di chi ama appiccicare etichette”.

 

Quanto incide la carenza di affetto, una disciplina rigida, proibitiva ed estremante punitiva?
“Sono tre fattori criminogeni che possono incidere moltissimo come concausa”.[MORE]


Disgregazione familiare. Il minore, a volte, può essere vittima di un processo di triangolazione: uno dei due genitori “usa” il figlio per punire o ricattare l’altro coniuge. Quali sono le conseguenze di questa forma di violenza?
“Questo avviene soprattutto nei casi di divorzio conflittuali, dove ciascun coniuge spesso tira fuori il peggio di sé. Usare il figlio per avere ragione nei confronti dell’altro coniuge, per piegarlo e punirlo. Il figlio, spesso, o è troppo piccolo per capire la manipolazione; oppure viene “manipolato” e quindi incapace di sottrarsi a tale morsa. In queste dinamiche distruttive di un genitore verso l’altro, spesso i figli vengono manipolati e spinti a fare anche false accuse di abusi sessuali; queste accuse possono svilupparsi a reticolo coinvolgendo più figli contro il singolo genitore preso di mira dalla manipolazione. Le conseguenze sono disastrose di tutto ciò”.

A Cagliari, di recente, uno studente ha preso a pugni una professoressa che lo avrebbe rimproverato per l’uso del cellulare. La scuola dovrebbe essere un luogo per la prevenzione della violenza e non dove gli insegnati o altri alunni possono essere a rischio. Perché si verifica ciò?
“La domanda non è semplice perché solleva un problema complesso. La scuola oggi, con le varie riforme (da quella Berlinguer in poi) è divenuta scuola-azienda, dove tutto si misura sul rendimento, anziché sull’impegno; sulla memorizzazione, anziché sull’intelligenza; sulle logiche dei costi/benefici anziché sull’educazione e l’istruzione; sul tecnicismo e l’economicismo, anziché sui sentimenti e sui rapporti umani.
In questo contesto criminogeno l’insegnante è divenuta una figura misconosciuta e sottopagata, costretta a fare sempre meno l’insegnante e sempre più il ragioniere di se stesso (aggiornare registro elettronico, registro di classe, relazioni trimestrali, annuali, ecc.), il badante dell’alunno, mentre assiste ai progetti su tutto, che invadono e abbassano il livello curriculare. In questo manicomio scolastico tutti sono contro tutti: insegnanti contro preside; genitori contro insegnanti: preside contro insegnanti; studenti contro insegnanti. E’ evidente che lo studente può pensare di colpire un insegnante in un contesto dove, appunto, l’insegnate è misconosciuto, privo di autorevolezza, ingabbiato dal sistema scolastico e quindi impotente. Colpisce perché non teme le conseguenze o perché dalle conseguenze riceve un consolidamento all’etichettamento che ha subito, a torto o ragione. E’ in tale dinamica aggressiva che consolida l’etichetta (di bullo) e costruisce la sua carriera deviante e criminale. La scuola però non è più in grado di gestire il disagio giovanile perché preferisce psichiatrizzarlo con diagnosi inventate dal nulla (i c.d. “disturbi dell’apprendimento”) e quindi a reprimerlo chiamando la polizia anziché con l’educazione e la prevenzione”.

Quale consiglio rivolgerebbe ai genitori di minori aggressivi, antisociali e violenti?
“Qualunque consiglio sarebbe pressoché inutile perché in genere il genitore del figlio violento o è anch’egli un violento (e quindi tende a giustificare in tutto la condotta deviante del figlio); oppure è impotente nei confronti del figlio aggressivo e allora lo subisce o tollera. In ogni caso, mi sento di dire che per “controllare” o “educare” il figlio a non delinquere, occorre che i genitori siano uniti in tale funzione e finalità. Se uno sostiene una cosa e l’altro il contrario, il figlio dà ragione ora a questo ora a quello per poter fare ciò che vuole e quindi la sua carriera deviante o criminale prende il via”.


Si ringrazia il Professor Saverio Fortunato

 

Luigi Cacciatori


Autore
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