LONDRA, 13 DICEMBRE 2011 - Ieri abbiamo visto come uno dei nuovi strumenti coloniali che il Nord del mondo utilizza nei confronti del Sud sia il cosiddetto "land grabbing", cioè l'acquisto - o la locazione - di terre, in particolare nell'Africa sub-sahariana. In quest'ultima parte, invece, osserveremo come lavorano i "titoli tossici" e quei finanzieri che, grazie alle disgrazie altrui ed alla finanziarizzazione della quotidianità, si arricchiscono. Sarà, come vedremo, un'osservazione praticamente diretta, dato che i suoi risvolti arrivano fino al cuore del Belpaese. [MORE]
Piccoli Gordon Gekko crescono. 26 novembre 2009, Londra. L'Alta Corte di giustizia ha appena concesso alla Hamsah Investments ed alla Wall Capital Ltd, società finanziarie con sede nei Caraibi, la restituzione di tredici milioni di euro derivanti da un vecchio credito che la Chemical Bank statunitense – acquistata nel 2000 dalla J.P. Morgan Chase & Co. - aveva concesso nel 1978 all'allora governo della Repubblica di Liberia per il potenziamento di una raffineria. Denaro che però non era mai stato restituito.
Cosa c'entrano la Hamsa Investments e la Wall Capital Ltd? Funziona così: società di questo tipo acquistano, a prezzi decisamente convenienti, diritti di riscossione dei paesi in via di sviluppo da creditori - sia pubblici che privati - aspettando il momento migliore per riscuoterli – operazione che di solito viene attivata nel momento in cui il paese debitore ha meno possibilità di coprire il debito – chiedendo a quest'ultimo la somma iniziale aumentata di interessi, more e penali (nel caso della Liberia dieci milioni più tre). Qualora il paese debitore non abbia possibilità di pagare – e questo avviene nella quasi totalità dei casi – succede quello che avviene di solito quando non è possibile riscuotere un credito: si porta tutto in tribunale. Tribunali dei paesi sviluppati, ovviamente. Vittoria sicura e dettame di legge rispettato.
Per la cronaca: il governo liberiano, per pagare questo debito, dovrebbe rinunciare al piano nazionale per lo sviluppo dell'istruzione.
Dal 2007 al 2009, riporta la Banca mondiale sono stati avviati quarantasei contenziosi di questo tipo, per un totale di più di due miliardi di dollari. Dei 427 milioni di dollari “originari”, i creditori sono riusciti a ricavare circa un miliardo da paesi come il Camerun, la Repubblica democratica del Congo, il Nicaragua o l'Honduras.
Qualcuno potrebbe chiedersi se “legale” corrisponda anche ad “etico”. Qualche governo nazionale aveva anche provato ad arginare il problema dei titoli “tossici”. È in quel momento che si sono ricordati – o gli hanno fatto ricordare – che in un sistema “globalmente finanziarizzato” come quello in cui viviamo la tenuta di un governo sia legata più alla tenuta dei mercati internazionali – ed alla fiducia che quel paese ha sul mercato – che a fattori interni quali il consenso od il rispetto del programma politico. Sono stati poi proprio i titoli “tossici” – potevamo leggerlo sui nostri giornali fino a non molti giorni fa – a rallentare la crisi economica che sta attraversando i paesi del cosiddetto Primo mondo. Volete che non ci sia una qualche forma di ringraziamento per questo?
A guadagnarci, naturalmente, sono i Gekko della situazione. Nomi come quello di Peter Grossman, titolare della FG Capital Management Ltd che grazie a quei sotterfugi burocratici che questo tipo di mestiere ti fa apprendere mentre bevi ancora il latte dal biberon, è riuscito ad accaparrarsi cento milioni di dollari dalla Repubblica Democratica del Congo acquistandolo (illegalmente) attraverso il vulture fund denominato FG Hemisphere dall'ex premier bosniaco Nedžad Branković, che però non aveva il diritto di vendere un credito che apparteneva allo Stato. Dei cento milioni richiesti Grossman era riuscito a farsene riconoscere trenta, poi bloccati dall'introduzione dell'HIPC (Heavily indebted poor countries, cioè l'iniziativa per la cancellazione del debito). Al momento della creazione della legge, però, il legislatore si è dimenticato della piccola isola di Jersey, la più grande tra le isole del Canale della Manica che fa riferimento alla corona britannica e diventata un piccolo paradiso off-shore. Per la cronaca: secondo l'Unicef, quei cento milioni che la Repubblica Democratica del Congo dovrebbe dare a Grossmann potrebbero salvare la vita di 200mila bambini.
Se qualcuno sta pensando che queste siano storie lontane nel tempo e nello spazio, che riguardano “gli africani” e non certo i democratici e sviluppati italiani, è bene allora chiudere questo articolo tornando a casa nostra. L'avvoltoio che si sta avvicinando all'Italia – ed è un “signor” avvoltoio – è George Soros, l'uomo che con la vendita allo scoperto di dieci miliardi di sterline il 16 settembre 1992 costrinse i britannici ad uscire dal Sistema monetario europeo (Sme) e la Banca d'Italia, allora governata dal futuro presidente della Repubblica Ciampi, dovette intervenire con un'iniezione di 40 mila miliardi di lire per evitare che l'Italia facesse la stessa fine e che gli costò un'indagine per agiotaggio. Nelle settimane scorse Soros è tornato ad interessarsi al nostro paese acquistando circa due miliardi di dollari di titoli di Stato europei, formati in buona parte da titoli (i btp, cioè certificati di debito) italiani. Chissà se anche questo acquisto gli varrà una laurea honoris causa come quella che gli concesse l'ateneo di Bologna nel 1995. Allora ad omaggiarlo c'era Romano Prodi e a contestarlo i militanti di Alleanza Nazionale.
È interessante, peraltro, notare un altro “hobby” del finanziere ungherese (naturalizzato statunitense) come quello di “esportare la democrazia” nei paesi in cui sembra non esserci, attraverso l' “Open Society Institute” i cui interventi “umanitari” sono stati utilizzati per cambi di regime noti come “rivoluzioni colorate”, che spesso passano nel circuito mainstream come rivoluzioni create dal popolo “esasperato” che un giorno specifico – non si capisce bene per quale motivo abbia scelto proprio quel giorno – decide di scendere in piazza e, con non troppa difficoltà, riesce a far cadere il “regime”, portando a chiedersi a cosa servano i partiti se basta una manifestazione creata su facebook per cambiare un governo. E qui, dunque, l'ultima domanda: qual è stato in questi diciassette anni, il modo maggiormente usato per descrivere il governo Berlusconi da partiti e movimenti di sinistra? Ma qui rischiamo di entrare nella fanta-politica...
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Andrea Intonti