Economia

Geopolitica del petrolio: 1973, l'esordio dell''oro nero' come arma (1)

MILANO, 24 NOVEMBRE 2012 – "L'assetto economico è sempre stato decisivo nel contribuire a determinare il grado di conflittualità delle relazioni internazionali, sia per via dei conflitti che riguardano l'accaparramento di risorse strategiche (petrolio, acqua, terra) sia per le acute tensioni che si possono generare nelle relazioni tra creditori e debitori, all'interno del mercato internazionale. Centrale appare a riguardo il tema delle risorse naturali ed energetiche. Negli ultimi anni, la disponibilità di risorse è divenuto il fattore scatenante di nuovi conflitti internazionali e interni”, questo è quanto si legge nel ‘Conflict Barometer 2011’, rapporto annuale elaborato dal Political Science Department of the Heidelberg Institute for International Conflict Research (HIIK).

Alla luce di tutto ciò, non si può non tener conto delle implicazioni economico-finanziarie sottese all’escalation di violenza a cui si è assistito in Medio Oriente, nei giorni scorsi, a seguito del conflitto tra Israele e Hamas. Interessi che si intrecciano alla presenza del cosiddetto “oro nero” (basti pensare agli Stati produttori di petrolio presenti nell’area: Arabia Saudita, Emirati Arabi, Bahrein, Qatar, Kuwait, Oman, Libia e Algeria; a cui si aggiungono i grandi gruppi finanziari come, il gruppo saudita d’investimento Kingdom Holding, azionista di Citibank).

Tuttavia, con lo sviluppo di strumenti finanziari sempre più sofisticati, frutto dell’ingegneria finanziaria, le cause-effetto collegate al petrolio, da economico-geopolitico (sottolineiamo che, tre delle cinque recessioni globali del passato, sono scaturite da uno shock geopolitico in Medio Oriente), si sono fatte sempre più di matrice finanziaria. Come evidenzia il ‘Conflict Barometer’, è la "finanziarizzazione del mercato delle commodities", ovverosia l’azione dagli speculatori e dai mercati finanziari mondiali ad influenzare le politiche fiscali delle potenze mondiali. [MORE]

Una prova in merito a quanto affermato fino a questo momento, rapportato al conflitto sulla Striscia di Gaza, è l’andamento attuale dell’indice Brent (che esprime il prezzo di riferimento per la vendita del petrolio): il prezzo del petrolio, il 16 novembre 2012 (nel vivo del conflitto) a New York registrava un aumento dell'1,4%, mentre i futures sul crude in scadenza dicembre segnava, sul circuito elettronico del Nymex, un progresso di oltre 1 punto percentuale oscillando intorno a quota 86,86 dollari. E se è comprensibile che i venti di guerra, spingano in alto il prezzo dell'oro nero, a causa delle preoccupazioni legate ad un calo della fornitura, qualche perplessità sorge in merito all’andamento dei contratti futures sul Brent (perché, in esso, oltre ad avvertire l’azione della longa manus degli speculatori, si percepisce il loro cinismo riguardo all’escalation di violenza collegata al suddetto conflitto).

Tuttavia, questo è solo l’ultimo episodio, in ordine di tempo, in cui il petrolio fa da sfondo (seppure in modo indiretto) ad un conflitto. In particolare, secondo Leonard L. Coburn, presidente del Coburn International Energy di Washington, in passato direttore dell’Office of Russian/Eurasian Affairs, US Departement of Energy: “La sicurezza energetica nell’era moderna probabilmente inizia con la decisione di Winston Churchill prima che inizi la guerra mondiale a cambiare il carburante della flotta dal carbone al petrolio. Per assicurarsi una stabile fonte di petrolio il Governo intervenne in Iran”.

Tuttavia, la conversione dell’economia mondiale al petrolio avvenne in maniera graduale, in corrispondenza di due importanti episodi internazionali: l’irrigidirsi dei rapporti est-ovest e la guerra di Corea (dal 1950 al 1953). In particolare, alla fine del secondo conflitto mondiale, il mondo industrializzato utilizzava, principalmente, il carbone. Nel 1950, il petrolio e il gas naturale coprivano, rispettivamente, il 28,9 e 8,9% del consumo mondiale di energia, per raggiungere il 64,4% alla vigilia della guerra del Kippur(1).

Con il passare del tempo, per le potenze mondiali, il dominio della fonte energetica più rilevante per il futuro delle società industriali diventò un obiettivo fondamentale. A causa di ciò, le Nazioni iniziarono a sviluppare politiche estere petrolifere sempre più aggressive, a colpi di strategie e negoziati, essenzialmente poggianti sulle “royalties”. Tra questi, ricordiamo un accordo stipulato il 30 dicembre 1950, tra un consorzio di società americane in Arabia Saudita (l’Aramco) e il governo saudita, con cui venne stabilito che gli utili sarebbero stati distribuiti alla pari (fifty-fifty). Così, i grandi compromessi petroliferi posti in essere negli anni Cinquanta, riuscirono a sopravvivere per circa vent’anni, fino al precipitare della situazione in Medio Oriente, con lo scoppio della guerra dello Yom Kippur (1973).

(Segue seconda e terza parte)

(Fonte:1) ROMANO, SERGIO, Cinquant’anni di storia mondiale, Longanesi & C, Milano, 1995, 13 Edizione, p. 149. )

Rosy Merola