In "Mediocritas" stat Virtus. C'è sempre una misura nelle cose
Resilienze Lazio

In "Mediocritas" stat Virtus. C'è sempre una misura nelle cose

giovedì 18 agosto, 2016

ROMA, 18 AGOSTO - Zeno Cosini, è il personaggio del tratto sveviano, nella Coscienza di Zeno, di grande considerevole attenzione, in fin dei conti è un personaggio "accattivante" sebbene è acclarato che sia un incapace, un inetto con enormi complessi psicoanalitici, tale da non giustificare in alcun modo nessuna latente preferenza particolare per lui.

Ma è facile lasciarsi prendere da questo personaggio, in un’intrigante perversione bonaria, una sconsiderata predilezione, la stessa che si manifesta per le categorie degli “sfigati letterari” forieri di molteplici suggestioni, evocative di sottili ragionamenti, che non della loro pietosa, banale osservazione.

A ben pensarci i Mediocri come Zeno Cosini, sono in questo tempo infelice, acclamati a furor di popolo, loro esaltano e sublimano il comune disvalore della mediocrità, proiettandolo nel lungo scorcio della quotidianità, nella ormai imprescindibile rappresentazione della società contemporanea.

Ecco perché - con una serie di interventi- ci occuperemo di indagare il fenomeno, negli spazi di una rubrica, che per vocazione si occupa di Umane Resilienze.


In fondo in questo tempo avvilito, siamo tutti ricondotti a ricostituire la genealogia del fenotipo mediocre, forse per comprendere appieno la visione complessiva e magari il “talento esclusivo” di quanti non risultano (mai) impacciati, insicuri né esitanti; e sanno di poter contare sugli innumerevoli, indiscutibili vantaggi della propria natura di troppo banali uomini.

Rifuggendo perciò dall’inclinazione pigra e preconcetta, di considerare sconsiderato il tema, volerne studiarne invece tutto il valore e la flaccida funzione sociale della mediocrità, ci addentra con sorprendente facilità in essa.

Certamente la popolazione dei miserevoli mediocri, è folta è ben nutrita, ma non si fraintenda, non è bene alimentare tali “perverse” inclinazioni, al punto da invitare alla proliferazione della folta fetta di popolazione mondiale, che ben oltre ogni più fulgida aspettativa, sceglie di non utilizzare la propria intelligenza e sensibilità, per pura “economia ecologica” per non immolare né soggiogarle intelligenza pura, sagacia, spirito di comprensione, ovvero l’essere sempre disponibili a mettersi in discussione, aperti e pronti ad accogliere continue sfide di resistenza, che - sciagurati loro - non contemplano neanche, come opzione possibile dell’altrui diversità, oltre la naturale inclinazione della propria posizione prona.

L’intelligenza è difatti un patrimonio di natura, democratico e al tempo stesso "demoniaco"; che non perisce vittima di nefandezze, meschinità, che finiscono invece sempre per alimentare la più bieca bassa mediocrità sempre florida ed appagata.

Certamente i mediocri di questi tempi si avvantaggiano di indiscutibile popolarità, loro rivestono l’indispensabile funzione sociale di agevolare la comprensione profonda della natura infelice di loro stessi, omuncoli piccoli ed insignificanti, donnucole qualunque, senza qualità o il privilegio di sensibilità ed acume, alimentati invece come contraltare, ad adrenalina e passione civile.

I mediocri sì, sanno prendersi gioco della vita e del mondo, della giustizia, degli equilibri armoniosi, tra il perfettamente riuscito e quello venuto male, sanno beffeggiare il disarmonico risultato del prototipo umano di perfezione e l’umana disarmonicità di eventi paradigmatici; senza cui i mediocri dunque, non saprebbero considerare possibile il lato meschino delle virtù, nell’apoteosi del più bieco qualunquismo di cui si rendono testimonial.

La loro in fin dei conti è una presenza sociale “fustigatrice” serve paradossalmente, a rendere le differenze non impudiche, difronte ai limiti della ragionevolezza e appunto dell'intelligenza, forse per via dell’improvvisazione, dell'avido dono di natura, offerto inclementemente a beneficio solo di alcuni, da una natura veramente avida e decisamente “matrigna”.[MORE]

L'afflizione dalla malattia è fondamentalmente, l’inettitudine del mediocre, che corrisponde all'incapacità di vivere normalmente, cioè assecondando pazientemente, la propria diligente funzione cerebrale alimentata a libri e sane letture, che è trasformata invece in un dato incontrovertibile ed asfittico; ma dal momento che la natura ingrata, ha generato inconsistenza della stessa materia eterea, s’ingravida con la “virtù” molestatrice, che è l'elemento di maggiore attrazione della più ingrata immaginazione, quella cioè che renderebbe “buona” a parte dei comuni mortali che alla nascita, risultano ancora del tutto virginei, curiosi, intrepidi difronte alle sfide, delle temibili difficoltà e che col tempo rinunciano per scelta o solo per mera pigrizia, ai “ghirigori” o fronzoli dell’intelligenza, che come tali si abbandonano nel mastello dell'indifferenziata.

Il dato anagrafico poco conta, non è infatti commensurabile al dato morale, tanto da farne quel che si direbbe un’intrigante e per nulla banale interferenza dal comune sentire. Grandi o piccoli, i mediocri hanno popolato il globo acqueo terrestre, con certo notevole sconvolgimento disinvolto di gusti disinibiti.

Il fallito, il complessato, l’inetto, il mediocre appunto, che talvolta prova a sfuggire alla possibilità salvifica di guarire dalla sua propria inettitudine, e tal altra invece, vi rinuncia a priori, prova ad impegnarsi, salvo poi scoprire il limite della propria “ipocondria intellettiva ”diretta conseguenza della " vita attuale inquinata alle radici".

L’avere provato o l'essere giunto a rivelarsi la propria incapacità è certo il segno di una discutibile “igiene” nella quale tutti si trovano a sguazzare ignari, ma non esser certi della cura alla medesima malattia che dilaga imperante, sottace un gusto alquanto "goticheggiante" che secondo come si pensa diversamente, guadagna simpatie e inusitate ammirevoli considerazioni.

La natura infelice della mediocrità, è riuscita a fare “grazia” alla sconsiderata ragione di un male inevitabile della nostra epoca, quello di fugacità e notorietà, sintetizzate insieme, anche se pur a breve, medio e lungo termine, procrastinate tanto per esser escluse. Perché il colpo non si schiva comunque, sebbene per dirla con Flaviano quella è cioè “in odore di pubblicità”.

 

Angela Maria Spina

 


Autore
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