L'Alfabeto della fede: Male e Martirio
Parola e Fede Lazio

L'Alfabeto della fede: Male e Martirio

venerdì 13 ottobre, 2017

Cari lettori, continua il nostro cammino di approfondimento con la rubrica "l'alfabeto della fede". Le parole che prenderemo in esame oggi sono: Male e Martirio. Inoltre, vi ricordo che potete leggere sempre su InfoOggi i numeri precedenti della InfoOggi i numeri precedenti della rubrica. [MORE]

MALE

Il male è ogni disobbedienza alla Legge di Dio. Per noi discepoli di Gesù, il male è porsi fuori della sua Parola. Uscire dalla Parola di Gesù, agendo non in conformità ad essa, è sempre un male in sé. Diviene peccato, se vi è la conoscenza della trasgressione e la volontà di trasgredire. Un tempo si insegnava che il peccato è il frutto della piena avvertenza, del deliberato consenso, della materia della trasgressione. Quest’ultima determinava la gravità o la venialità della colpa.

Oggi l’uomo si è separato con la Parola di Dio e di Cristo Gesù. Mancando la relazione con la Parola tutto è bene e tutto è male, a seconda che la volontà dell’uomo decida che una cosa sia bene oppure male. Anzi si giunge a codificare male per gli altri ciò che per noi è bene e bene per noi ciò che è male in sé. Tutti si stanno trasformando in professori nella conoscenza della volontà di Dio, ma senza alcun riferimento alla Parola. Ora non esiste una volontà di Dio senza la sua Parola. Parola è volontà di Dio coincidono in eterno. Ciò che Dio vuole è la sua Parola. La sua Parola è la sua volontà. La sua volontà è la sua Parola. È peccato gravissimo contro l’Ottavo Comandamento dire: “Lo vuole il Signore”, mentre il Signore non lo vuole, perché non lo ha detto. È anche grave peccato contro il Secondo Comandamento. Si nomina il nome di Dio invano e in modo calunnioso.

MARTIRIO

Il martirio è la testimonianza a Cristo, Signore, Redentore, Salvatore dell’uomo con il dono del proprio sangue. La vita è posta a sigillo della verità della fede nel Signore nostro Gesù Cristo. Non vi è testimonianza più alta dell’effusione del sangue per affermare che Gesù è il Signore.

Ma essi lo hanno vinto per mezzo del sangue dell'Agnello e grazie alla testimonianza del loro martirio, poiché hanno disprezzato la vita fino a morire (Ap 12, 11). E vidi che quella donna era ebbra del sangue dei santi e del sangue dei martiri di Gesù. Al vederla, fui preso da grande stupore (Ap 17, 6).
Nel Libro dell’apocalisse i martiri sono coloro che hanno lavato le loro vesti nel sangue dell’Agnello. Hanno unito il loro sangue al sangue di Gesù Signore.

Dopo questo vidi quattro angeli, che stavano ai quattro angoli della terra e trattenevano i quattro venti, perché non soffiasse vento sulla terra, né sul mare, né su alcuna pianta.

E vidi salire dall’oriente un altro angelo, con il sigillo del Dio vivente. E gridò a gran voce ai quattro angeli, ai quali era stato concesso di devastare la terra e il mare: «Non devastate la terra né il mare né le piante, finché non avremo impresso il sigillo sulla fronte dei servi del nostro Dio».

E udii il numero di coloro che furono segnati con il sigillo: centoquarantaquattromila segnati, provenienti da ogni tribù dei figli d’Israele: dalla tribù di Giuda, dodicimila segnati con il sigillo; dalla tribù di Ruben, dodicimila; dalla tribù di Gad, dodicimila; dalla tribù di Aser, dodicimila; dalla tribù di Nèftali, dodicimila; dalla tribù di Manasse, dodicimila; dalla tribù di Simeone, dodicimila; dalla tribù di Levi, dodicimila; dalla tribù di Ìssacar, dodicimila; dalla tribù di Zàbulon, dodicimila; dalla tribù di Giuseppe, dodicimila; dalla tribù di Beniamino, dodicimila segnati con il sigillo.

Dopo queste cose vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani. E gridavano a gran voce: «La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all’Agnello».

E tutti gli angeli stavano attorno al trono e agli anziani e ai quattro esseri viventi, e si inchinarono con la faccia a terra davanti al trono e adorarono Dio dicendo: «Amen! Lode, gloria, sapienza, azione di grazie, onore, potenza e forza al nostro Dio nei secoli dei secoli. Amen».

Uno degli anziani allora si rivolse a me e disse: «Questi, che sono vestiti di bianco, chi sono e da dove vengono?». Gli risposi: «Signore mio, tu lo sai». E lui: «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello. Per questo stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte nel suo tempio; e Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro. Non avranno più fame né avranno più sete, non li colpirà il sole né arsura alcuna, perché l’Agnello, che sta in mezzo al trono, sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita. E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi» (Ap 7,1-17).

Gli Atti degli Apostoli raccontano il martirio di Stefano e anche quello di Giacomo, il fratello di Giovanni. Anche l’Antico Testamento conosce il martirio per la Legge. Il Secondo Libro dei Maccabei narra il martirio di Eleazaro e quello dei setti fratelli Maccabei con la loro madre. Vale la pena conoscere quanto è accaduto, in modo particolare merita ogni attenzione le loro risposte. Sono parole che mai perderanno il loro altissimo valore di fede e di verità.

Non molto tempo dopo, il re inviò un vecchio ateniese per costringere i Giudei ad allontanarsi dalle leggi dei padri e a non governarsi più secondo le leggi di Dio, e inoltre per profanare il tempio di Gerusalemme e dedicare questo a Giove Olimpio e quello sul Garizìm a Giove Ospitale, come si confaceva agli abitanti del luogo. Grave e intollerabile per tutti era il dilagare del male. Il tempio infatti era pieno delle dissolutezze e delle gozzoviglie dei pagani, che si divertivano con le prostitute ed entro i sacri portici si univano a donne, introducendovi pratiche sconvenienti. L’altare era colmo di cose detestabili, vietate dalle leggi. Non era più possibile né osservare il sabato né celebrare le feste dei padri né semplicemente dichiarare di essere giudeo. Si era trascinati con aspra violenza ogni mese, nel giorno natalizio del re, ad assistere al sacrificio e, quando giungevano le feste dionisiache, si era costretti a sfilare in onore di Diòniso coronati di edera.

Su istigazione dei cittadini di Tolemàide, fu poi emanato un decreto per le vicine città ellenistiche, perché anch’esse seguissero le stesse disposizioni contro i Giudei, li costringessero a mangiare le carni dei sacrifici e mettessero a morte quanti non accettavano di aderire alle usanze greche. Si poteva allora capire quale tribolazione incombesse. Furono denunciate, per esempio, due donne che avevano circonciso i figli: appesero i bambini alle loro mammelle, e dopo averle condotte in giro pubblicamente per la città, le precipitarono dalle mura. Altri che si erano raccolti insieme nelle vicine caverne per celebrare il sabato, denunciati a Filippo, vi furono bruciati dentro, perché essi avevano riluttanza a difendersi per il rispetto di quel giorno santissimo.

Io prego coloro che avranno in mano questo libro di non turbarsi per queste disgrazie e di pensare che i castighi non vengono per la distruzione, ma per la correzione del nostro popolo. Quindi è veramente segno di grande benevolenza il fatto che agli empi non è data libertà per molto tempo, ma subito incappano nei castighi. Poiché il Signore non si propone di agire con noi come fa con le altre nazioni, attendendo pazientemente il tempo di punirle, quando siano giunte al colmo dei loro peccati; e questo per non doverci punire alla fine, quando fossimo giunti all’estremo delle nostre colpe. Perciò egli non ci toglie mai la sua misericordia, ma, correggendoci con le sventure, non abbandona il suo popolo. Ciò sia detto da noi solo per ricordare questa verità. Dobbiamo ora tornare alla narrazione.

Un tale Eleàzaro, uno degli scribi più stimati, uomo già avanti negli anni e molto dignitoso nell’aspetto della persona, veniva costretto ad aprire la bocca e a ingoiare carne suina. Ma egli, preferendo una morte gloriosa a una vita ignominiosa, s’incamminò volontariamente al supplizio, sputando il boccone e comportandosi come conviene a coloro che sono pronti ad allontanarsi da quanto non è lecito gustare per attaccamento alla vita. Quelli che erano incaricati dell’illecito banchetto sacrificale, in nome della familiarità di antica data che avevano con quest’uomo, lo tirarono in disparte e lo pregarono di prendere la carne di cui era lecito cibarsi, preparata da lui stesso, e fingere di mangiare le carni sacrificate imposte dal re, perché, agendo a questo modo, sarebbe sfuggito alla morte e avrebbe trovato umanità in nome dell’antica amicizia che aveva con loro. Ma egli, facendo un nobile ragionamento, degno della sua età e del prestigio della vecchiaia, della raggiunta veneranda canizie e della condotta irreprensibile tenuta fin da fanciullo, ma specialmente delle sante leggi stabilite da Dio, rispose subito dicendo che lo mandassero pure alla morte.

«Poiché – egli diceva – non è affatto degno della nostra età fingere, con il pericolo che molti giovani, pensando che a novant’anni Eleàzaro sia passato alle usanze straniere, a loro volta, per colpa della mia finzione, per appena un po’ più di vita, si perdano per causa mia e io procuri così disonore e macchia alla mia vecchiaia. Infatti, anche se ora mi sottraessi al castigo degli uomini, non potrei sfuggire, né da vivo né da morto, alle mani dell’Onnipotente. Perciò, abbandonando ora da forte questa vita, mi mostrerò degno della mia età e lascerò ai giovani un nobile esempio, perché sappiano affrontare la morte prontamente e nobilmente per le sante e venerande leggi». Dette queste parole, si avviò prontamente al supplizio.

Quelli che ve lo trascinavano, cambiarono la benevolenza di poco prima in avversione, ritenendo che le parole da lui pronunciate fossero una pazzia. Mentre stava per morire sotto i colpi, disse tra i gemiti: «Il Signore, che possiede una santa scienza, sa bene che, potendo sfuggire alla morte, soffro nel corpo atroci dolori sotto i flagelli, ma nell’anima sopporto volentieri tutto questo per il timore di lui». In tal modo egli morì, lasciando la sua morte come esempio di nobiltà e ricordo di virtù non solo ai giovani, ma anche alla grande maggioranza della nazione (2Mac 6,1-31).

Il matrimonio è la formazione di una sola carne in modo stabile, fedele, indissolubile tra un uomo e una donna, un solo uomo e una sola donna per tutti i giorni della loro vita. L’accoglienza della donna come propria carne da parte dell’uomo e dell’uomo come propria carne da parte della donna deve avvenire in piena libertà, ma anche nella consapevolezza dei diritti e dei doveri che questa assunzione comporta. Diritti e doveri sono essenza del matrimonio.

Il matrimonio è di origine divina e non umana. Anzi possiamo affermare dal racconto del primo capitolo della Genesi, che già all’inizio l’uomo e la donna furono creati come coppia, alla quale il Signore ha affidato il governo di tutta la terra. Nel secondo capitolo della Genesi è rivelato come al di fuori del matrimonio, l’uomo è un essere che non trova nell’intera creazione un aiuto simile a lui o a lui corrispondente. Il matrimonio fa sì che l’uomo sia veramente uomo e la donna veramente donna, cioè padre e madre di vita. È nel matrimonio che si forma la sola carne generatrice della vita. La vita è frutto della sola carne. Altre vie non sono secondo Dio.

Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza: dòmini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla terra». E Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e Dio disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra» (Gen 1,26-28).

E il Signore Dio disse: «Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda». Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di animali selvatici e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. Così l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli animali selvatici, ma per l’uomo non trovò un aiuto che gli corrispondesse. Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio formò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. Allora l’uomo disse: «Questa volta è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne. La si chiamerà donna, perché dall’uomo è stata tolta». Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica carne (Gen 2,18-23).

Oggi il matrimonio è minacciato da ogni lato. Lo si vuole abbattere a qualsiasi costo, anche al costo di distruggere l’intera umanità. Un popolo, una nazione senza stabilità nel matrimonio è destinato a scomparire dalla faccia della terra. Non c’è futuro per la vita senza la stabilità del matrimonio. Così Dio ha creato l’uomo – maschio e femmina per formare una sola carne senza mai più dividere ciò che Dio ha congiunto – così deve rimanere in eterno. Nessuno può sfidare la legge del Signore. Può anche sfidarla, ma dalla sfida non nasce alcuna vita, ma solo morte. Che la morte stia ormai distruggendo i popoli e le nazioni che hanno distrutto il matrimonio, è sotto gli occhi di tutti. Solo chi è cieco non si accorge del disastro sociale e civile operato dalla devastazione della famiglia.

Don Francesco Cristofaro


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