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"L'evocazione" di James Wan, a lezione di esorcismo vecchia scuola

L'evocazione - The Conjuring di James Wan, la recensione. Sono marito e moglie. E ghostbusters. Tengono lezioni all’università, hanno una casa con una stanza-museo che mette in mostra i souvenir degli esorcismi. Qualcuno li chiama svitati. Ma il diavolo esiste: e i coniugi Warren – Ed (Patrick Wilson) e Lorraine (Vera Farmiga) – ne avranno conferma, in un corpo a corpo, di nervi ed abrasioni, quando si troveranno alle prese col demone Batsheba, che tormenta la famiglia Perron infestando la casetta nella prateria con le cinque figlie.[MORE]

E' QUI LA (IN)FESTA(ZIONE) - Dopo L’evocazione – The Conjuring, magari a qualcuno verrà la voglia di andare a rivedere l’ottimo Insidious di James Wan, malese di origine, noto soprattutto per quel Saw – L’enigmista (2004) seguito da una progenie di sei capitoli non all’altezza. Eleganza stilistica, mestiere consumato, gestione dei ritmi e dei toni sono i punti di forza di un autore che sa rielaborare i cliché e che, certo, preferisce un sano lavoro sporco da drizzapeli all’ostinata ricerca dell’originalità. Così, L’evocazione si gioca in tre tempi tutte le demoniache carte della partita del terrore: infestazione, oppressione, possessione. Col risultato, sufficientemente inquietante, di attraversare senza cali di tensione i territori di genere graditi allo spettatore: la casa infestata, le mezzenotti di fuoco e zolfo in cantina e camera da letto con il team degli acchiappafantasmi ad indagare con diavolerie elettroniche, l’esorcismo.

Ed è specie nella prima parte che si avverte l’abile manipolazione dello sguardo da parte di Wan, grazie ad un montaggio con pochi stacchi, che lascia scivolare la paura su infinite zoomate in avanti ed ininterrotti valzer in piano sequenza della macchina da presa come su nenie infernali. Lo spettatore si trasferisce fisicamente nella casa maledetta insieme ai Perron, si perde nei cunicoli, esperisce il lamento degli scricchiolii, s’ipnotizza in soggettiva a guardare sotto ai letti o negli angoli dietro le porte. Sembra poco: ma non ricadere in ridicolaggini stile The Grudge o tanti altri bidoni più o meno recenti, è già considerevole. Le apparizioni non sono a buon mercato, e quando dopo quasi un’ora di film il primo volto semi-putrefatto appare in cima ad un armadio, a seguito di tanta puzza di cimitero, capisci il perfetto timing narrativo. Negli ultimi anni solo The Others dello spagnolo Alejandro Amenabàr e La casa muda dell’uruguayano Gustavo Hernandez erano riusciti a produrre, con freschezza, la sensazione di un ambiente infestato.

RITORNO AL PRESENTE - Se i trapassi interni funzionano, è anche perché i traghettatori sono credibili. Su tutti, Vera Farmiga impersona magnificamente Lorraine, chiaroveggente d’infinita dolcezza e determinazione, in bilico tra la fragilità di un dono pericoloso e tutta la forza femminile dell’essere madre. Patrick Wilson – già in Insidious – la coadiuva a meraviglia, da marito apprensivo eppure sempre col polso della situazione. In questo senso, il film di James Wan riesce ad attingere ad una profondità drammatica e ad un’intensità emotiva sconosciuta a tanti piattissimi esemplari del filone: i due professionisti sono prima di tutto genitori intenzionati ad aiutare altri genitori, essi stessi alle prese con le insidie di Batsheba alla loro figlioletta (così artigianale, così ben strutturata la scena della sedia a dondolo che fa venire la pelle d’oca alla piccola dei Wilson nella stanza serrata); l’indagine paranormale, simile a quella recentemente vista – ma non in Italia – in Emergo – Apartment 143, non è una ricostruzione cerebrale, ma avviene in tempo reale, attraverso le percezioni di Lorraine e gli episodi di poltergeist; l’esorcismo, infine, regala una delle sequenze più angoscianti dell’ultimo decennio di film horror, con l’apertura graduale del lenzuolo a disvelare il volto disfatto della posseduta.

SPECCHIETTI SENZA ALLODOLE - Sottigliezza psicologica del dramma, suspense del thriller e raccapriccio dell’horror assecondano un climax vibrante, in un prodotto che non pretende d’innovare, quanto di calare, con un soffio gelido di terrore, in un presente di due ore, in un sta-succedendo e sta-per-succedere che trasforma la visione in esperienza.
Meglio questo controllo dei mezzi, dunque, che le profusioni gore o le ruffianerie purulente, specchietti per allodole. La trovata della bambola o quella del carillon sono tutt’altro che originali – quella delle bambole, in particolare, è un’ossessione del regista, non solo in Saw, ma anche in Dead silence (2007). Ma, come nelle scene in cui si aspetta la fine della melodia del carillon per la comparsa del bambino fantasma nello specchietto, il meccanismo funziona senza intoppi: sappiamo che la paura è a orologeria, e non c’è vero effetto sorpresa – eppure le corde dello spavento sono quelle: un'attesa stop and go. E vanno solo fatte risuonare.

Con L’evocazione – The Conjuring, James Wan ri-evoca, tra esorcismi e case maledette, i luoghi, fisici e narrativi, di tanto horror, ma con un soffio di freschissima aria cimiteriale e con un controllo stilistico in grado di tenere lo spettatore col fiato sospeso, per una vicenda dallo spessore emotivo superiore alla parete di truciolato di un banale teatrino dell’orrore.

Titolo originale: The Conjuring
Regia: James Wan
Interpreti: Vera Farmiga, Patrick Wilson, Mackenzie Foy, Ron Livingston, Lili Taylor, Hayley McFarland, Shanley Caswell, Joey King, Sterling Jerins, Shannon Kook, John Brotherton
Distribuzione: Warner Bros. Italia
Durata: 112’
Origine: USA, 2013

Antonio Maiorino

Critico d'arte e di cinema
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