A distanza di un quarto di secolo dall’approvazione della Legge 328/2000, la Calabria resta l’unica regione italiana che non ha ancora dato piena attuazione al sistema integrato di interventi e servizi sociali previsto dalla normativa nazionale. Una mancanza che pesa sulla qualità del welfare regionale e che continua a produrre disuguaglianze territoriali, frammentazione degli interventi e un cronico ritardo nella programmazione sociale.
La Legge 328/2000: cosa prevedeva e perché era rivoluzionaria La 328/2000, spesso definita la “legge quadro sul welfare”, rappresenta uno degli atti più significativi nel percorso di riforma dei servizi sociali in Italia. I suoi punti cardine erano: Creazione del sistema integrato di servizi sociali, fondato su collaborazione tra Comuni, ASP, terzo settore e famiglie; Piani di Zona obbligatori, strumenti di programmazione strategica e partecipata; Definizione dei livelli essenziali delle prestazioni sociali (LIVEAS); Valorizzazione del terzo settore come attore strutturale del welfare locale; Centralità della persona, con interventi personalizzati e non più frammentati.
Applicare correttamente la 328 significava garantire servizi sociali equi su tutto il territorio, superare la logica emergenziale e costruire un welfare moderno, preventivo e integrato.
La Calabria e la “legge mai nata” Nonostante i continui solleciti, la Calabria non ha mai adottato una legge regionale organica di recepimento della 328/2000. Il risultato è stato un welfare spesso lasciato alla buona volontà dei singoli amministratori, privo di una regia stabile e con: Piani di Zona intermittenti o mai realmente funzionanti; Assenza di definizione chiara dei Liveas regionali; Risorse gestite in modo episodico e non programmato; Scarsa integrazione tra sociale e sociosanitario; Differenze enormi tra zone urbane e aree interne.
In altre parole, ciò che in altre regioni è stato un processo strutturale – come Emilia-Romagna, Toscana, Veneto, Piemonte – in Calabria non si è mai trasformato in sistema. La “legge mai nata” è diventata simbolo di un’occasione persa che continua a produrre effetti negativi soprattutto per le fasce più fragili.
La riforma del Terzo Settore (Legge 117/2017): un’altra opportunità ancora inattuata
Nel 2017 lo Stato ha attuato la grande riforma del Terzo Settore con la Legge 117/2017 e i decreti attuativi, introducendo: il Registro Unico Nazionale del Terzo Settore (RUNTS); nuove forme di accreditamento e co-progettazione; un quadro trasparente per convenzioni, contributi e rapporti con gli enti pubblici; l’obbligo per le amministrazioni di utilizzare gli strumenti del Codice del Terzo Settore (in particolare gli artt. 55–57).
Il ruolo del terzo settore non è più opzionale: la legge stabilisce modalità chiare di partnership pubblico–privato sociale, superando il vecchio schema “appalto–fornitore”.
Il problema? Molti Comuni calabresi non l’hanno ancora recepita.
In Calabria: i processi di co-programmazione e co-progettazione sono ancora rari o solo simbolici; molti Comuni continuano a utilizzare procedure amministrative obsolete; mancano linee guida regionali solide;
Di fatto, il Codice del Terzo Settore, che dovrebbe rafforzare e modernizzare il welfare, non è ancora diventato prassi amministrativa.
Le conseguenze del doppio ritardo. La mancata piena attuazione della 328/2000 e il ritardo nella 117/2016 generano effetti concreti: progetti sociali episodici, spesso legati ai fondi europei ma non strutturati; assenza di continuità nei servizi (disabilità, minori, dipendenze, anziani, donne in difficoltà); perdita di risorse per incapacità progettuale o mancata partecipazione; impossibilità di costruire una rete stabile tra pubblico, privato sociale e comunità.
Nel frattempo, cittadini e famiglie restano gli unici a pagare il prezzo del ritardo.
Perché è ancora possibile recuperare. Nonostante gli anni persi, la Calabria ha oggi un contesto favorevole se decidesse di completare finalmente la riforma: Il quadro nazionale è stabile e consolidato. Il terzo settore calabrese è cresciuto in quantità e qualità. I fondi europei 2021–2027 e il PNRR rappresentano risorse senza precedenti.
Servono però:
- Una legge regionale organica sul welfare
- Linee guida regionali obbligatorie sulla coprogettazione e i rapporti con il Terzo Settore.
- Rafforzamento degli ambiti territoriali sociali, con competenze e risorse adeguate.
- Un sistema stabile di valutazione e monitoraggio dei servizi.
- Un ruolo attivo delle comunità e delle organizzazioni sociali nella costruzione dei Piani di Zona.
La Calabria non può più permettersi di rimanere indietro. La mancata attuazione della Legge 328/2000 e il ritardo nell’applicazione della 117/2017 non sono semplici “problemi tecnici”, ma ostacoli alla costruzione di un welfare equo, efficace e moderno. Ripartire da queste due leggi significa: trasformare la spesa sociale in investimento, non in emergenza
Il welfare non è un costo: è il primo indicatore di civiltà. E la Calabria merita finalmente di allinearsi al resto del Paese, mettendo al centro persone, comunità e diritti.
Di Graziella Catozza