Tutti abbiamo dei segreti.
Uno studio di M. Slepian, appena pubblicato sul Journal of Personality and Social Psicology mostra che in media ognuno di noi serba 13 segreti, dei quali 5 mai raccontati a nessuno. Il segreto più comune (presente nel 50% delle persone) è il desiderio di tradire il partner. [MORE]
Ma cosa produce, a livello psicologico, il fatto di avere dei segreti?
Mantenere i propri segreti è faticoso, perché paradossalmente lo sforzo di non pensarli li rende più facilmente accessibili. Il risultato è che si affacciano alla nostra coscienza più frequentemente dei pensieri “non segreti” .
Uno studio di Daniel Wagner e Ralph Erber degli anni Novanta mostra come i segreti siano, per il nostro cervello, dei “pensieri irrisolti”, come fossero dei problemi in cerca di soluzione che ogni tanto riappaiono.
E qual è la soluzione a un segreto?
Ovvio, rivelarlo. Meno ovvio è a chi.
Mi vengono in mente, per esempio, le tante persone che dopo aver tradito il proprio partner vanno a confessarglielo per “liberarsi la coscienza”: in questo modo, sicuramente, si alleggeriscono di un peso, caricandolo però sul proprio amato (e spesso provocando la rottura della relazione).
Come fare dunque a gestire bene i segreti? Meglio non averne? O trattenerli per tutta la vita come casseforti chiuse?
Non avere segreti è la condizione tipica dei bambini, meno adatta a degli adulti. Avere segreti, anche solo per educazione o sopravvivenza, è inevitabile. Chi reputa saggio andare dal proprio capo a dirgli che il suo vestito nuovo gli sta veramente male o che il suo senso dell’umorismo fa profondamente schifo?
Il punto è avere dei confidenti a cui potersi mostrare proprio come si è, rivelando anche le proprie parti meno nobili e dunque, normalmente, segrete.
Non a caso, nel cristianesimo esiste il sacramento della confessione: perché confessare i segreti alleggerisce, toglie un peso, allenta tensione e stress.
A livello psicologico, rivelare a qualcuno un proprio segreto lo rende meno inaccettabile, ed è una parte molto importante nell’accettarsi per come si è.
Dimenticavo una cosa fondamentale: c’è una grande differenza tra desiderare e fare.
Desiderare non è un atto controllabile: ad esempio non posso decidere se provare o meno attrazione verso una persona. Posso, invece, di sicuro decidere se tradurre la mia attrazione in azioni o meno.
E sono le mie azioni a definire chi sono, non quello per cui provo o meno desiderio.
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