Mons. Vincenzo Bertolone. "Cristo sfrattato: la religione non è cultura"
Chiesa e Società Calabria

Mons. Vincenzo Bertolone. "Cristo sfrattato: la religione non è cultura"

domenica 26 novembre, 2017

La riflessione domenicale del presidente della Cec, mons. Vincenzo Bertolone. "cristo sfrattato: la religione non è cultura"
CATANZARO, 26 NOVEMBRE - «Cristo gettò le basi dell'uguaglianza tra gli uomini e tra i popoli e noi dobbiamo essere buoni cristiani».
Perfino un socialista non proprio amico dei preti come Giuseppe Garibaldi non mancava di manifestare apertamente ammirazione e rispetto per il Messia, nel mezzo di un’epoca in cui per fare l’Italia non si esitava a disfare, più che lo Stato Pontificio, la Chiesa stessa ed i suoi valori. Eppure, l’«eroe dei Due Mondi» appare tutto sommato un chierichetto di fronte al dirigente di una scuola materna elementare di Palermo. [MORE]

Tanto legato ai principi di laicità ed uguaglianza da aver avvertito il dovere, quasi la necessità, di escludere con tanto di circolare la celebrazione di qualsiasi atto di culto, riti o celebrazioni religiose durante l’anno scolastico e finanche nel corso dell’ora di religione cattolica. In pratica, avveniva che prima di consumare la merenda i bimbi intonassero una preghiera di benedizione: d’ora in avanti non potranno più farlo. E neppure potranno più rivolgere lo sguardo alla foto del Papa o ritrovarsi davanti alla statuina della Madonna, entrambe rimosse d’autorità perché in contrasto, con la vocazione della scuola secondo l’illuminato dirigente, a suo esplicito dire culturale. E non essendo ritenuto Cristo ed il cristianesimo fenomeni a valenza anche culturale, va da sé che vadano inevitabilmente sfrattati senza avviso.

Tristi amenità dei tempi moderni, verrebbe da pensare, non fosse che quanto avviene a Palermo non è poi tanto diverso – idealmente – da quel che si verifica anche nel resto dell’Occidente cattolico, dove tanti cristiani non prendono sul serio il cristianesimo con le sue verità e le scelte che esige, non facendo alcuna fatica a negare la presenza dei presepi negli spazi pubblici o a chiedere la rimozione dei crocifissi e persino delle croci da mausolei e cimiteri. Il trionfo dell’ipocrisia: qualche opera buona, così come una vaga conoscenza dei Vangeli, non bastano a poter ritenere soddisfatta la richiesta, che Cristo offre, di adesione alla sua rivelazione di verità, di amore, di libertà. Le sue parole, se ridotte a dialogo di società, si spengono, perché esse in realtà hanno il fuoco dentro. Insomma, non si può solo lasciarlo parlare e poi irriderlo perché è esagerato. Né si può lasciare che venga messo al bando, qui da noi come in qualunque altra parte del mondo. Ma è esattamente questo il rischio che si corre nel grigiore della contemporaneità. Ed a generarlo non è né il fato né un coacervo di forze maligne: pur tra mille condizionamenti, al centro della storia c’è l'uomo con la sua libertà, la sua volontà, la sua ragione.

Nel giorno di Cristo Re, che segnala la chiusura dell’anno liturgico e l’avvio del cammino che porterà al Natale, è proprio Cristo la stella che s’accende nel cielo della vita a ricordare l'impegno a rendere visibile e leggibile l'annunzio e la testimonianza della fede in un orizzonte ormai secolarizzato, ma pur sempre assetato di una Parola che consoli e inquieti, che illumini e interroghi, spronando i cristiani in particolare a non lasciar cadere nel vuoto l'antico appello di san Pietro: «Siate sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi; ma questo sia fatto con dolcezza e rispetto».

 


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