- 07 MARZO 2012 - (SECONDA PARTE) Dopo il recente crollo del palco a Reggio Calabria, che ha causato la morte di un operaio, è tornato d’attualità un tema scomodo, quello delle morti bianche. Solo nel 2011 si è parlato di 1173 morti di cui ben 663 sui luoghi di lavoro. Un aumento del +11,6% rispetto al 2010. “Matteo Armellini è morto a Reggio Calabria mentre collaborava all’allestimento del palco per un concerto. Come lui, ogni giorno, muoiono almeno tre persone, in quella che continua ad essere una strage senza fine. Siamo sicuri che tutti i tg vorranno non solo dedicare le loro aperture a questa tragedia, ma soprattutto vorranno farci conoscere le cause di queste e di altre morti che tutto sono tranne che Bianche”. Questa la linea di Articolo 21, che attraverso il suo portavoce, Giuseppe Giulietti, analizza la tragedia dell’operaio morto mentre allestiva il palco per il concerto di Laura Pausini a Reggio Calabria. Ci auguriamo infine - conclude la nota - che il governo voglia levare dal decreto sulle semplificazioni qualsiasi norma che anche lontanamente possa contribuire ad abbassare il livello, già insufficiente della vigilanza, della prevenzione, della repressione”.[MORE]
I dati parlano chiaro, nel solo 2011 sono morte più di 1170 persone in tutta Italia per incedenti legati al lavoro, di cui 663 sui luoghi di lavoro, un +11,6% rispetto al 2010 che lascia interdetti. Sono cifre vicine a un bollettino di guerra quelle delle morti bianche in Italia, nel solo 2012 ben 82 lavoratori già morti in pochi mesi sui luoghi di lavoro. L’operaio morto a Reggio Calabria mentre montava il palco per il concerto di Laura Pausini è solo l’ultimo di una lunga serie, un’autentica strage di lavoratori giovani e vecchi, esperti e inesperti, precari e non precari. Sabato 2 Marzo era avvenuto un altro incidente mortale, questa volta al termovalorizzatore di Torino Gerbido, quando Antonio Carpini, caposquadra della Società Edil Due, è caduto nel vuoto da oltre trenta metri, perdendo tragicamente la vita. L’ennesima morte caduta nel silenzio, l’ennesima “vittima bianca”, ma per loro non c’è nessuna onoreficenza, resta solo la disperazione dei familiari, abbandonati da uno Stato che considera i lavoratori come numeri non come individui.
Le morti bianche sembrano non far più scalpore, considerate quasi una fatalità, un corso naturale del destino. Ma le morti bianche nel 90% dei casi si possono evitare, e non può essere causale che nell’ultimo anno, in concomitanza con la crisi economica, i casi di morti sul lavoro siano aumentate dell’11%. In Piemonte, regione del Nord che per questo dovrebbe essere di buon esempio, secondo le cifre diffuse dall’Osservatorio Indipendente di Bologna sulle morti sul lavoro dall’inizio dell’anno avrebbero già perso la vita ben 5 persone. I mesi invernali sono, statisticamente, i meno pericolosi a causa della riduzione dell’attività cantieristica ed agricola, ma nella stagione migliore sono proprio i lavori "outdoor" (agricoltura ed edilizia) a far registrare la maggiore incidentalità. Soprattutto nelle regioni del Sud, dove per vari motivi le misure di sicurezza sono ancora più precarie, le cifre sono peggiori.
In momenti di crisi come questo a pagare sono spesso i lavoratori che accettano di continuare a prestare la propria opera magari in condizioni di sicurezza precarie pur di portare a casa a fine mese lo stipendio. Spesso si tratta di errori umani o di tragiche fatalità ma la sensazione è che degli investimenti cospicui nella sicurezza potrebbero prevenire certe tragedie. Ormai andare al lavoro per molti operai vuol dire andare in guerra: combattere tutti i giorni nei cantieri e nelle sedi di lavoro, senza protestare, muniti di poche armi con cui proteggersi e difendersi.
Caterina Stabile
(foto da: www.ilritaglio.it )