Editoriale

Napolitano con Monti archivia il bipolarismo

ROMA, 14 NOVEMBRE - Il presidente Napolitano ha affermato che il mandato al Presidente della Bocconi Mario Monti non è in contraddizione con lo spirito della democrazia dell’alternanza costruita negli ultimi diciassette anni, ma è l’espressione di un’emergenza temporanea da superare con soluzioni di governo condivise. Cominciano ad affiorare, però, delle riserve attorno al ragionamento del Presidente della Repubblica. [MORE]

Innanzitutto, le consultazioni delle forze politiche rappresentate in Parlamento da parte del Capo dello Stato si sono sì svolte con grande celerità, in linea con la prassi seguita nelle investiture degli ultimi esecutivi emersi dalle urne elettorali. Impressionano, però, le consultazioni successive, quelle che lo stesso Monti sta sviluppando con partiti e micro partiti dello scenario politico italiano. Somigliano da vicino ai riti dilatatori della prima Repubblica e sembrano non in linea con lo spirito della democrazia maggioritaria. Colpiscono le parole di Napolitano che ha rimproverato i giornalisti di aver alimentato l’illusione che la crisi di governo avrebbe avuto un esito istantaneo. Ma il rimprovero del Presidente non coglie il segno. Non sono i giornalisti ad alimentare speranze eccessive, sono gli italiani che pretendono un governo autorevole in tempi utili. E sono gli italiani ad essersi affezionati alla democrazia dell’alternanza. Inoltre, il governo Monti nasce sotto gli auspici politici di una forza come quella del Terzo Polo che preme per il superamento della logica bipolare. E la pressione non è temporanea, né legata agli andamenti della Borsa. Si tratta di una sfida costituzionale che è discutibile possa essere raccolta solo dopo aver consentito ad un governo di transizione di operare per il bene del Paese. Ma è sul piano del contenuto dei provvedimenti che il governo italiano dovrà adottare che la riserva sulle parole di Napolitano, peraltro ineccepibile nella difesa dei bipolarismo fino ad oggi, si fa forte. Il governo sarà sì di transizione, ma il programma di governo, scolpito nei trentanove punti della lettera dell’Ue, è quanto di più strutturale e di lungo periodo abbiano mai affrontato le istituzioni italiane. Riforma delle pensioni e del mercato del lavoro, liberalizzazioni e dismissione del patrimonio pubblico, riforma della pubblica amministrazione e del Welfare. Non cose che in un Paese normale verrebbero affidate a governi di transizione.

Non risulta, d’altra parte, che un percorso analogo a quello italiano sia stato intrapreso in Spagna. Il premier Zapatero di fronte alla crisi strutturale del suo governo e alla pressione dei mercati finanziari non ha delegato la responsabilità politica della risposta alla crisi a un governo tecnico. Ha annunciato prontamente che ci sarebbe stato lo scioglimento del Parlamento con nuove elezioni. Questo non ha significato abbandonare il Paese senza un governo legittimo. Zapatero ha continuato a fare il suo lavoro, approvando provvedimenti bipartisan che hanno calmato i mercati. Il governo ha continuato ad essere un governo politico, seppure depotenziato dall’annuncio delle elezioni anticipate. Ma il pacchetto d’uscita della crisi spagnola comprende anche l’annuncio di elezioni anticipate, oltre all’annuncio di ritiro del premier. Non si può prendere solo una parte del pacchetto, l’uscita del premier, per adottare il modello spagnolo. Rimane sempre accessibile la strada greca. Lì effettivamente, il governo di Papandreu, dopo avere vagheggiato di un referendum sulle richieste europee, ha ceduto ai mercati internazionali, si è dimesso e ha lasciato campo a un governo tecnico, guidato da un uomo delle istituzioni europee, già vicepresidente della Banca Centrale Europea Papademos.

Ai lettori stabilire se l’Italia somiglia più alla Spagna o alla Grecia, cioè a un grande stato a democrazia evoluta oppure a un fragile paese a conclamata sovranità limitata.

 

Emiliano Colacchi