Narrazioni da sud all'Unistrasi tra cinema e letteratura: intervista alla Prof.ssa Daniela Brogi
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Narrazioni da sud all'Unistrasi tra cinema e letteratura: intervista alla Prof.ssa Daniela Brogi

martedì 28 marzo, 2017

Antonietta De Lillo, Gomorra, Elena Ferrante, ma anche Ortese, Palermo Shooting, Sciascia, Germi, il teatro, la musica: Narrazioni da sud, convegno organizzato dall’Università per Stranieri di Siena, articolerà tra il 29 ed il 30 marzo un racconto suggestivo sulle narrazioni che hanno contribuito a formare ed esportare l’immaginario meridionale. “Interdisciplinari, polifoniche e trasversali”, come spiega dal comitato organizzatore la Prof.ssa Daniela Brogi, queste narrazioni incarnano lo spirito del format #inaltreitalie, progetto a cura dell’Ateneo, che si pone l’obiettivo di “rimettere in circolo contenuti e saperi facendo rete, creando comunità e condivisione attraverso la cultura”.

Del Comitato Scientifico anche gli studiosi Pietro Cataldi, Tiziana De Rogatis e Massimo Palermo. Noi abbiamo parlato proprio con la Prof.ssa Brogi, che si occupa, tra le altre cose, di critica sia letteraria che cinematografica. L’intervista si avvale del contributo della giornalista - rigorosamente meridionale - Annamaria Norvetto: un’intervista a quattro mani per un evento a più voci.
 

ANNAMARIA NORVETTO: il convegno Narrazioni da sud esplorerà il mondo culturale meridionale partendo da due capoluoghi straordinari: Palermo e Napoli. La città campana è sicuramente una delle più citate, nel bene e talvolta nel male, da autori e poeti italiani, partendo da Bocaccio, Giuseppe Maria Galanti, Leopardi fino ad arrivare al recente successo editoriale di Roberto Saviano.
Come mai secondo lei?

PROF.SSA DANIELA BROGI: credo che Napoli sia stata, da sempre, una delle città più presenti e riconfigurate, anche in letteratura, almeno per due motivi, intanto. Se è vero che le città sono il risultato della creazione sociale dello spazio, inteso quale campo materiale e simbolico di azione e rappresentazione della vita umana, ecco che Napoli è uno degli spazi più importanti d’Italia, per la sua storia come per la sua geografia, che l’hanno messa al centro di tanti scambi e incontri; per il suo tessuto artistico e urbanistico, per la cultura e la ricchezza di esperienze che Napoli ha prodotto nei secoli nell’atto stesso di costruirsi e rappresentarsi come spazio; e, non ultimo, anche per la sua bellezza ambientale – non possiamo lasciare la bellezza solo agli slogan turistici: è tempo di non segregarci più, quando facciamo cultura, nella paura di sembrare retorici o poco impegnati se si nomina la bellezza.
In un certo senso unica metropoli italiana, Napoli, in più, torna così spesso perché è un serbatoio continuo di narratività e di creatività. Non assumo, con questa definizione, lo sguardo incantato e pittoresco da turista del Grand Tour con cui spesso si continua a guardare e raccontare Napoli, riproducendo luoghi comuni anche violenti. Intendo dire, piuttosto, che esiste una rete simbolica, tematica, culturale che corrisponde, anche a lungo raggio, a una “galassia Napoli” che è innegabile, anche se non siamo così abituati a riconoscerla. Un piccolo esempio personale di cui io stessa, vivendolo, mi sono stupita, ma che mi pare efficace: lo scorso Natale, prima di partire per un viaggio a Berlino, sono passata in libreria, per acquistare dei romanzi e dei racconti italiani da donare a un’amica tedesca che parla e legge molto bene l’italiano. Non ci avevo ragionato prima; non ci avevo fatto caso fino ad allora, fatto sta che quando sono arrivata a pagare avevo in mano libri di Rea, Ortese, Starnone, Ferrante, Ramondino, Striano, Montesano, Parrella. Napoli e la Campania sono spesso rappresentate da mappe e definizioni riduttiveche più altro fanno vedere i luoghi comuni, quando invece il loro territorio, reale e simbolico, è una zona da cui, in passato come adesso, si è saputo raccontare meglio Italia. Anche senza accorgercene, come ho fatto io in libreria, noi andiamo continuamente verso queste storie, ma non sempre sappiamo riconoscerne il valore e l’importanza. [MORE]

ANTONIO MAIORINO: il Sud esplorato da questi incontri, meglio, come punto di partenza di esplorazioni, in rapporto all’identità nazionale le appare più come “ombelico d’Italia” o come una periferia in qualche modo marginalizzata?

Entrambe le cose; ma, soprattutto mi pare che il Sud, in epoca globale, possa anche rappresentare qualcosa di molto vicino alla definizione che lo studioso Bhabha, nell’opera I luoghi della cultura, ha definito come «terzo spazio» possibile dell’espressione, vale a dire uno spazio di spossessamento, situato in interstizi che, nel tempo, sono diventati spazi apparentemente periferici, dislocati, ma importantissimi, invece, perché è lì che si articolano le differenze, i racconti di confine, le occasioni di ripensamento dell’identità. Un esempio su di un film campano: Indivisibili, di Edoardo de Angelis, reduce dai premi ai David di Donatello. Il film è ambientato a Castel Volturno, nella Terra dei Fuochi, nelle zone già raccontate in parte da Perez, film precedente di De Angelis. Racconta le storie di disperazione sprigionate da questi luoghi risemantizzando lo spazio, anche in senso caricaturale, per liberarlo dal pregiudizio per cui i luoghi più decentrati sarebbero zone, per così dire, premoderne, e quasi quasi pittoresche, caratteristiche – quante narrazioni del sud, e non soltanto, sguazzano ancora in questi clichés. Ma questi posti, questi non luoghi, al contrario, sono, in molti casi, aree che anziché vivere innocentemente ai bordi della modernità, esprimono, invece, tutte le contraddizioni della postmodernità – come già aveva raccontato Garrone in Reality (2012). Anche questo è il Sud, ed è lì che alcune delle narrazioni italiane più interessanti stanno andando a cercare storie capaci di raccontare mondi interi.

A.M: all’esempio campano, se ne potrebbe aggiungere uno “siciliano”…

A parte I promessi sposi, scritto del resto prima dell’Unità d’Italia, quasi tutti i romanzi storici che ci hanno raccontato l’Italia sono stati scritti da autori siciliani, quasi che l’extralocalità simbolica, l’estraneità alla storia ufficiale così tante volte esperita e messa in scena dalle narrazioni siciliane – a tutti i livelli: linguistici, narrativi – fosse riuscita a elaborare la riflessione artistica più raffinata nonché più profonda sulla storia d’Italia. Vale la pena di un sintetico elenco, perché se la riguardiamo è una sequenza di opere impressionante: I Malavoglia, I vecchi e i giovani, Il gattopardo, Il sorriso dell’ignoto marinaio, L’arte della gioia, e, ancora, i libri di Sciascia, di Camilleri, di Vasta – e ho citato solo i primi.

A.N: noi siamo gli altri. È questa la prospettiva da cui prende forma il progetto #inaltreitalie, di cui Narrazioni da sud è la prima costruzione in cantiere. L’Italia è la nazione in cui le alterità sembrano convivere da secoli tra di loro, a volte solcando distanze profonde, ma ancor più spesso innescando comunioni perfette.  Come si impara a guardare all’altro come a noi stessi?

Guardandolo come altro, come straniero, ma senza esotismo. E guardandoci attraverso gli occhi dell’altro. In questo senso, di nuovo, il Sud può diventare una grande metafora dello straniamento.

A.M: Narrazioni da sud sono quelle che “hanno esportato l’immaginario meridionale nell’intera Penisola e nel mondo”. Ritiene che i tratti caratterizzanti dell’immaginario meridionale vengano da lontano, oppure che siano stati in una certa misura riplasmati, sovvertiti, amplificati dagli ultimi trent’anni di cinema?

Entrambe le cose: provo a sintetizzare. Penso che i tratti caratterizzanti dell’immaginario meridionale siano degli stereotipi; ma penso anche che gli stereotipi non siano storie false: sono storie incomplete, che se guardate con attenzione possono raccontare molto. L’importanza della famiglia, o della madre, per esempio, non è uno stereotipo e basta. Questi tratti forti hanno attraversato paesi, continenti, oceani; in America del Nord, per esempio, hanno avuto una fortuna enorme, ma, attenzione: non solo come stereotipi, ma anche come strutture profonde. Pensiamo all’importanza così piena, nel senso testuale e simbolico, dell’amicizia in tante narrazioni cinematografiche italoamericane: non è passata soltanto la pizza, o la ricetta della pasta con le melanzane. L’Italia, emigrando, ha portato cultura, strutture del sentire, e del narrare, sguardi, suoni. In conclusione del convegno Narrazioni da Sud proietteremo il film di Michele Cinque Sicily Jass, che racconta la storia del primo disco di musica Jazz registrato in America: quel Nick La Rocca, emigrato siciliano, fondatore dell'Original Dixieland Jazz Band nel 1911.

A.M: Dal romanzo Il resto di niente di Enzo Striano è tratto il film di Antonietta De Lillo, di cui si parlerà nel convegno. A simile trasmigrazione di codici, dalla pagina allo schermo, sembra destinato L’amica geniale di Elena Ferrante, prossimo, pare, a diventare una serie tv (Fandango con RaiFiction). Crede che il respiro intergenerazionale dei romanzi in questione si presti al piccolo schermo? Cosa si dovrà fare per evitare l’effetto “era-meglio-il-libro”?

La questione dell’adattamento cinematografico di un’opera letteraria è complessa. Nel senso che un riadattamento che funziona, come il capolavoro di Antonietta De Lillo, non è mai una semplice trasposizione, ma una forma di reinvenzione creativa dell’energia di un testo. Perché il fatto è che certe belle storie, quando funzionano, riescono a camminare anche oltre l’opera di partenza: paradossalmente, nella traduzione e nella trasposizione si può tradire per amore; Gomorra, di Garrone, è un bel film non perché è fedele al libro di Saviano, ma perché ha saputo trovare un’altra casa per quelle storie. Per questa ragione sono fiduciosa nel riadattamento dell’Amica geniale, anche perché credo che quando si parla di letteratura, o di cinema, e quando lo si fa, magari, per costruire comunità con persone più giovani, con studenti, trasmettere fiducia anziché sospetto preventivo faccia bene alla letteratura e al cinema.

A.N: gli italiani vivono una dimensione linguistica sospesa tra plurilinguismo, dialetto e lingua nazionale. La letteratura italiana degli ultimi anni ha dato spazio alle diversità culturali e linguistiche spesso poste ai margini della ribalta. Penso alla scrittura narrativa di Carmine Abate o a Nicola Pugliese col romanzo Malacqua, a lungo circolato a Napoli in fotocopie, prima di essere ristampato. Cosa ne pensa di questa tendenza letteraria volta al rispetto del multilinguismo?

Penso che sia molto interessante, in senso letterario. Certo, poi in senso culturale, o didattico, credo che sia importante mettere queste opere in prospettiva, cioè guardarle, portarle in una classe, per esempio, come testi che ci parlano di un’alterità. Di altre Italie, per l’appunto.

Altre info sul sito dell'Ateneo (clicca)

 


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