Chiesa e Società

Papa Francesco: all'Angelus indica esempio due nuove beate Catanzaro "Mariantonia Samà e Gaetana Tolomeo" Video

CITTA DEL VATICANO, 03 OTT - Il Papa, all'Angelus, ha ricordato le due donne laiche che vengono beatificate oggi a Catanzaro: Mariantonia Samà e Gaetana Tolomeo. "Abbracciarono la croce della loro infermità trasformando il dolore in una lode al Signore", ha sottolineato il Papa.

"Oggi, a Catanzaro, vengono beatificate Maria Antonia Samà e Gaetana Tolomeo, due donne - ha ricordato Papa Francesco all'Angelus - costrette all'immobilità fisica per tutta la loro esistenza. Sostenute dalla grazia divina, abbracciarono la croce della loro infermità, trasformando il dolore in una lode al Signore. Il loro letto divenne punto di riferimento spirituale e luogo di preghiera e di crescita cristiana per tanta gente che vi trovava conforto e speranza. Un applauso alle nuove Beate!", è stato l'invito del Papa.

E' dunque un giorno di festa per l'arcidiocesi di Catanzaro-Squillace per la beatificazione delle due donne nella Basilica dell'Immacolata di Catanzaro; la celebrazione presieduta dal cardinale Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione delle cause dei santi. Le due beate sono "le prime in assoluto nella storia millenaria della arcidiocesi" sottolinea ad Avvenire il vice postulatore, padre Pasquale Pitari, religioso cappuccino.

Due donne che nella loro vita hanno molto sofferto e hanno dedicato la loro sofferenza alla salvezza delle anime. Con il cardinale Semeraro concelebra anche l'arcivescovo di Crotone-Santa Severina e amministratore apostolico di Catanzaro-Squillace, mons. Angelo Raffaele Panzetta. Colpita da ragazza da una grave malattia, Mariantonia Samà rimase paralizzata, per 60 anni. Il parroco di Sant'Andrea Jonio (Catanzaro) - dove è nata il 2 marzo 1875 e morta il 27 maggio 1953 - scrisse, sull'atto di morte, "morta in concetto di santità". Orfana di padre sin da piccolissima, visse una vita disagiata anche economicamente. A 22 anni fu colpita da una malattia artrosica, che la costrinse a rimanere a letto. Nel 1915 pronunciò privatamente i voti religiosi e divenne per tutti la "monachella di San Bruno".

La sua casa fu luogo di riferimento spirituale per gli abitanti del paese. E' originaria di Catanzaro l'altra beata, Gaetana "Nuccia" Tolomeo, nata il 19 aprile del 1936. Sin dalla nascita ebbe difficoltà motorie a causa di un male allora sconosciuto. Nuccia iniziò un percorso di fede che durò tutta la vita. Negli ultimi tre anni della vita, collaborò con Radio Maria, attraverso due trasmissioni; tante le persone che le telefonavano o le scrivevano da tutta Italia. Una folta corrispondenza la tenne con i detenuti fino alla morte, il 24 gennaio 1997. Le 122 parrocchie dell'arcidiocesi di Catanzaro-Squillace in questi giorni hanno ricevuto due teche con le reliquie delle nuove beate e due piccole teche per essere utilizzate nelle visite ai malati. A portare alla beatificazione Mariantonia Samà è stata la guarigione prodigiosa di Maria Vittoria Codispoti, originaria di San'Andrea Ionio (Catanzaro) e residente a Genova, da una grave forma degenerativa di artrosi alle ginocchia. Per Nuccia Tolomeo, Il miracolo che l'ha portata alla beatificazione riguarda Ida Carella, di Crotone, che ha portato avanti una gravidanza extrauterina il cui esito, secondo i medici, sarebbe stato infausto. Il giorno fissato per la memoria liturgica per la Tolomeo è il 19 aprile, giorno della nascita, mentre per Mariantonia Samà è il 27 maggio, giorno della morte.

L’infanzia di Mariantonia Samà
Mariantonia Samà nacque a Sant’Andrea Jonio (Catanzaro) il 2 marzo 1875 da Bruno e Marianna Vivino. Il padre morì pochi giorni dopo averla concepita. Visse in condizioni economiche disagiate, in una casupola composta da un solo vano, priva di servizi e di luce solare.
Mariantonia da piccola contribuiva al suo mantenimento lavorando in campagna con la madre; accompagnava al mulino un asino carico di grano e lo riaccompagnava poi in paese con i sacchi di farina, ricevendo quale compenso una pagnotta a settimana.

La guarigione per intercessione di san Bruno da Colonia
Aveva undici anni quando, ritornando dalla campagna, dopo avere bevuto ad un acquitrino, Mariantonia accusò anomali disturbi non diagnosticati, dai quali riuscì a liberarsi solo quando fu condotta presso la Certosa di Serra San Bruno, nel giugno 1894. Qui il parroco di Amaroni iniziò un rito di esorcismo senza alcun effetto.
Solo dopo cinque ore di preghiera, guidata dal priore dei certosini davanti al busto-reliquiario di San Bruno, Mariantonia si sentì guarita e abbracciò il busto del Santo, come se lo vedesse di persona. In paese fu chiamata la malatina di San Bruno.

L’inizio delle sofferenze della “monachella di San Bruno”
Due anni dopo, colpita da malattia forse artrosica o neurologica, Mariantonia rimase per sempre immobile, in posizione supina, con le ginocchia alzate. Iniziò così il suo calvario, assistita dalla madre. Il parroco, i padri Redentoristi e le Suore Riparatrici del Sacro Cuore si prendevano cura della sua preparazione spirituale.
Verso il 1915 pronunciò privatamente i voti religiosi. Si coprì il capo con il velo nero e divenne per tutti la monachella di San Bruno. La sua casa fu luogo di riferimento spirituale per gli abitanti del paese. Garantendo a tutti le sue preghiere, invitava a riporre piena fiducia in Dio, accettando sempre la sua volontà.

La croce portata con fede e serenità
Dopo la morte della madre il 24 febbraio 1920, Mariantonia fu assistita in tutti i suoi bisogni da molte persone, specialmente dalle suore riparatrici e dal parroco. Le fu assicurata la costante presenza di una anziana donna perché badasse a lei. Gli abitanti di Sant’Andrea le portavano il cibo, che condivideva con i bisognosi.
Portò così la sua croce con fede e serenità, divenendo copia perfetta di quel Crocifisso che contemplava alla parete di fronte al suo letto. Poteva davvero affermare con San Paolo: «Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me» (Gal. 2,20).
Dalla santa Eucaristia, che le portava ogni giorno un sacerdote, e dalla recita del santo rosario tre volte al giorno con i visitatori, Mariantonia traeva la forza di sopportare le sue sofferenze, conformandosi con serenità al volere di Dio, sì da regalare a tutti un po’ di consolazione. Visse in povertà, in modo umile e semplice, “nascosta in Cristo”, riuscendo a trasformare la sua casa in un piccolo tempio e divenendo per tanti maestra di preghiera.

“Parafulmine” di un’intera comunità
Don Gerardo Mongiardo, di Sant’Andrea Jonio, nella biografia Mariantonia Samà, 60 anni di amore crocifisso ha scritto: «Era maestra e luce per tutti, faro di santità per un popolo che girava intorno a lei come a centro di vita spirituale. Le suore riparatrici del Sacro Cuore, di stanza nella casa donata loro dalla baronessa Scoppa (suor Clarice, suor Benita, madre Pia, suor Innocenza), a date fisse, ogni settimana, con squisito senso di carità curavano l’igiene intima di Mariantonia e la pettinatura dei capelli.
Fu fonte di speranza per anime in pena o lancinate dal dubbio, specie in tempi di guerra, circa la sorte dei soldati o il ritorno dai campi di guerra o di prigionia. Andare da Mariantonia era sentire, attraverso lei, il peso di Dio nelle vicende umane. Nelle famiglie andreolesi divenne punto programmatico obbligato passare da lei per sentire cosa diceva o come la pensava la monaca santa. Chi andava da Mariantonia era convinto che la sua era la voce di Dio. Intorno a lei si era formata una comunità sacra in cui il civico e il parrocchiale venivano a trovarsi fusi.
Chi scrive ricorda il giorno in cui la mamma lo condusse dalla Monachella di San Bruno, per assicurarsi che l’entrata in seminario era veramente chiamata di Dio. Uscendo fuori, la mamma, gioiosa, esplose: “Gerardino, il Signore ti vuole”. E così Gerardino entrò in seminario.
Mariantonia aveva un suo modo particolare di colloquiare. Ascoltava, poi seguiva una parentesi di silenzio; i suoi occhi si fissavano in alto o verso Gesù Crocifisso (come se tutto vedesse in Dio!); poi comunicava, quasi un responso! Faceva da monitor di Dio, da ricetrasmittente della verità delle/sulle cose. Chiunque andava da lei, tornava rasserenato. Faceva proprio ogni dispiacere del prossimo. Era sempre pronta a dare consigli: incoraggiava a sperare, ad avere fede nei momenti di sconforto e soprattutto a fare la volontà di Dio. Fu un parafulmine per tutta la Comunità andreolese».

La sua piena accettazione del dolore, in dialogo col «bel Gesù»
La monachella non poteva operare fisicamente, ma poteva ascoltare e parlare; aveva la capacità di tessere delle relazioni di pensiero, di sentimenti e di azione con quel piccolo mondo che la circondava. La sua limitazione fisica non era certo limitazione del suo spirito. Si era accettata pienamente nella sua immobilità con le gambe chiuse su sé stesse e cementate nelle articolazioni, cosciente che proprio il Signore aveva voluto che fosse così.
Non recriminava col Signore, ma viveva con lui un rapporto dialogale, fiduciale, continuo: la sua giornata era diventata una preghiera contemplativa costante, anzi la sua stessa persona con il suo corpo immobile e lo sguardo fisso sul suo bel Gesù era diventata preghiera.

La grandezza della sua vita spirituale
La grandezza della vita spirituale di Mariantonia sta proprio in questo: il suo spirito non si era isterilito dalla tragedia di dover vivere immobilizzata sul letto, come in croce. Impotente a operare in modo diverso, Mariantonia elevò a missione la sua sofferenza. Soffrì con serenità di spirito e offrì le sue sofferenze per riparare le offese al Sacro Cuore di Gesù, per rendere fecondo l’apostolato dei sacerdoti, per ottenere grazie a persone vicine e lontane che ricorrevano con fede alla sua mediazione presso Dio.
In Gesù Mariantonia ha dato senso alle sue giornate tutte uguali, per il bene del mondo e della Chiesa. Sembrava fuori della storia, ma in realtà incarnava in sé tutto il travaglio della storia. Umanamente poteva essere vista come una nullità, un fallimento, eppure in lei si celava un abisso di umanità risorta e santificata dalla grazia. Cristo era il suo sposo e il senso della sua vita. Lo Spirito Santo era la sua luce e la sua forza. La Parola di Dio era il suo nutrimento, i sofferenti erano i suoi amici.
Il cammino di Mariantonia fu un miracolo della grazia. In questo cammino fu sempre accompagnata da Maria. Fiat e Alleluja furono le coordinate della sua vita spirituale. Per questa sua testimonianza i fedeli la ritenevano “santa” ancora in vita.

La morte e la fama di santità
Quando morì, senza alcuna piaga di decubito, il 27 maggio 1953, all’età di 78 anni, guardando il Crocifisso e pronunciando il santo nome di Gesù e di Maria, il parroco dell’epoca, don Andrea Samà, a margine dell’atto di morte annotò: «morta in concetto di santità». Le sue esequie furono come una processione. Sulla sua tomba fu scritto: «Visse solo per amore, dolorò per sessant’anni per amore, si purificò nell’amore, ora dal cielo addita a tutti la via dell’amore».
Il 3 agosto 2003 i resti mortali di Mariantonia furono traslati dal Cimitero alla Chiesa parrocchiale alla presenza di monsignor Antonio Cantisani, del clero della Vicaria e di tanti fedeli.

La causa di beatificazione fino al decreto sulle virtù eroiche
Il 9 febbraio 2007 l’arcivescovo di Catanzaro, monsignor Antonio Ciliberti, constatata la continua e genuina fama di santità, perdurata dopo 54 anni dalla morte di Mariantonia, costituì il Tribunale e la Commissione storica. La Causa di beatificazione ebbe bisogno di una Inchiesta suppletiva, ordinata da monsignor Vincenzo Bertolone, che si concluse il 31 gennaio 2012.
Nel luglio 2014 è stata depositata la Positio super vita, virtutibus et fama sanctitatis presso la Congregazione delle cause dei Santi.
Discussa e approvata la Positio dai teologi e dal Congresso dei Cardinali e dei Vescovi, il Sommo Pontefice, Papa Francesco, il 18 dicembre 2017 ha ordinato la pubblicazione del Decreto di venerabilità, riconoscendo l’esercizio delle virtù in modo straordinario da parte di Mariantonia.

Il miracolo per la beatificazione
Per intercessione della Venerabile Mariantonia Samà, è avvenuto un miracolo, che la Chiesa ha riconosciuto. Riguarda la guarigione istantanea, perfetta, completa e duratura delle ginocchia artrosici di Maria Vittoria Codispoti, dal 13 dicembre 2004 fino alla morte, avvenuta il 24 aprile 2016.
La signora Codispoti era nata a Sant’Andrea Apostolo sullo Ionio, paese della Venerabile, ma risiedeva a Genova con il fratello Vincenzo. La sua patologia nella sua forma acuta risaliva al 2002. Accusava «dolori insopportabili» (sue parole). Il medico curante ha riconosciuto che la signora «da anni era affetta da grave malattia degenerativa alle articolazioni delle ginocchia». Le risonanze magnetiche attestavano la presenza di una «patologia osteoarticolare ben evidente» alle ginocchia, con referto: «Gonartrosi tricompartimentale e segni di condropatia».
Per il medico curante la risposta risolutiva al caso clinico della grave malattia degenerativa della signora Codispoti era quella chirurgica. Ma la paziente non ne voleva sapere, giacché doveva curare il fratello, colpito da ischemia cerebrale, ed allettato. Accettava solo la terapia antidolorifica a base di Paracetamolo e Codeina (dosi massime). Scrive la Codispoti: «Mi rassegnai a vivere in quello stato di atroce sofferenza, continuando a ricorrere con maggiore frequenza ad antidolorifici sempre più forti».
La sera del 12 dicembre 2004 era sofferente più del solito, al punto di non alzarsi neppure per attivare l’ossigeno al fratello ansimante. In questa circostanza estrema, invocò Dio attraverso l’intercessione di Mariantonia. «Al risveglio - ella racconta - iniziai a muovere le gambe con molta cautela, come facevo sempre per evitare i soliti dolori lancinanti, ma capii subito che quella mattina del 13 dicembre era diversa, perché riuscii a scendere dal letto senza alcun male e, addirittura, mi ritrovai in piedi, alta e dritta, vedendo così nello specchio un’immagine diversa da quella degli ultimi mesi».
La signora riacquistò autonomia e indipendenza per uscire di casa, senza avvertire più alcun dolore, facendo senz’alcuna difficoltà le scale (abitando al terzo piano). Da quel giorno il medico curante non prescrisse più alcuna terapia antidolorifica. La “miracolata” era divenuta completamente autonoma nelle attività domestiche, camminava liberamente ed ha potuto assistere il fratello Vincenzo novantenne. Nel 2013, a ottantanove anni, la signora è entrata in una casa di cura, dove, pur non avendo più dolore alle ginocchia, ha iniziato a camminare per prudenza con l’aiuto del girello fino al giorno della morte, dovuta ad un ictus.
La malattia artrosica è una affezione degenerativa che tende a progredire e non certo a regredire. Appare difficilmente spiegabile sia la scomparsa improvvisa e totale dei dolori accusati per vari anni, sia la scomparsa dell’impotenza funzionale che accompagnava la sintomatologia dolorosa. Ciò che meraviglia, è l’assenza totale (non parziale) del dolore alle ginocchia, dal fatidico 13 dicembre 2004 fino alla morte (2016), cioè, per ben 12 anni, benché le ginocchia fossero affette da grave gonoartrosi.

Il decreto sul miracolo
Il 7 luglio 2020 il Collegio dei Cardinali e Vescovi consultori ha espresso il voto favorevole sul miracolo ottenuto per intercessione di Mariantonia Samà.
Il 10 luglio 2020 Papa Francesco ha autorizzato la Congregazione a promulgare il Decreto riguardante il miracolo, che porta la Venerabile alla Beatificazione.
Domenica, 3 ottobre 2021, alle ore 16 nella Basilica dell’Immacolata Sua Eminenza Cardinale Marcello Semeraro, Prefetto della Congregazione dei Santi, a nome di Papa Francesco, proclama il Decreto di beatificazione di Mariantonia Samà.
Il giorno del culto liturgico alla neo Beata è stato stabilito dalla Congregazione per il culto divino il 27 maggio, giorno della morte di Mariantonia.

Preghiera
O Trinità Santissima, non cesseremo mai di ringraziarti
per aver donato a queste terre la dolce ed umile creatura
che a te si consacrò e donò il suo cuore.
Rimase immobile in un letto per oltre sessant’anni senza un lamento, una lacrima, un moto di sconforto.
Ella trovò nella preghiera e nell’Eucaristia la forza per sorridere agli altri
che ricorrevano a lei per essere consolati.
Pregando Te e la Beata Vergine divise il pane che le veniva dato
con i tanti indigenti del vicinato.
Così visse e morì, fissando dal giaciglio il quadro di Gesù “suo bello”.
Volle offrire il suo lungo dolore a riparar le offese al Sacro Cuore
e rendere più santi i sacerdoti.
Gioiosi di saperla beata tra i beati,
per la sua intercessione,
concedici la grazia che ti imploriamo. Amen.


Infanzia e famiglia di "Nuccia" Tolomeo,
Gaetana Tolomeo, detta Nuccia, è nata il 19 aprile 1936 a Catanzaro Sala da Salvatore e da Carmela Palermo. Sul certificato di battesimo, celebrato il 12 luglio 1936, risulta che la data effettiva di nascita fu il 10 aprile, venerdì santo. Papà Salvatore gestiva un’impresa di autotrasporti ed economicamente stava bene.  La mamma, casalinga, piena di fede, buona, paziente, si dedicò con amore e dedizione alla figlia.
Quando cominciò a muovere i primi passi, Nuccia si reggeva con difficoltà in piedi: un male oscuro, allora pressoché sconosciuto, l’aveva colpita inesorabilmente. Il padre, non accettando la malattia dell’unica figlia, si ubriacava, bestemmiava e diventava violento.
Nacque un fratellino, Giacinto, che morì a quattro anni, mentre Nuccia stava ad Asti, durante la guerra, ospite di una zia. A nove anni si accostò alla prima comunione e nello stesso giorno, presumibilmente, ricevette la cresima.
Frequentò la scuola primaria fino alla quarta elementare. Crebbe in casa, attorniata dall’amore e dall’affetto delle cugine Anna, Ida, Teresa e Silvana Chiefari.

L’inizio del suo percorso spirituale
Aiutata e sostenuta dalla mamma, dalle suore, dai sacerdoti, contemplando il Crocefisso, Nuccia iniziò un percorso di sequela Christi che durò tutta la vita. Percorso duro, che comportò momenti di angoscia e di mestizia (sono parole sue), perfino momenti di disperazione, ma anche di luce e di liberazione, che raggiunse il culmine negli ultimi anni della vita con il Testamento spirituale e i messaggi: C’è anche gioia nella sofferenza e La sofferenza è il trionfo dell’amore.
Quel rosario, costantemente legato alle mani di Nuccia, come si vede in tutte le foto, era il segreto del suo cammino verso Gesù, che considerava suo sposo. La sua indole docile, remissiva e affabile, la portava a fare sogni, anche romantici.  
Personalità forte e decisa, amava la musica, il ricamo, il lavoro a maglia, leggeva volentieri. Molte persone venivano a trovarla e le suore paoline le portavano libri di spiritualità. Aveva circa 15 anni quando andò a Lourdes con il “treno bianco”. Al passaggio di Gesù Eucaristia, scrisse: «Mi offrii vittima e pregai per la conversione dei peccatori».

Il suo senso di appartenenza alla Chiesa
Fino a 30 anni la domenica partecipò sempre alla Santa Messa nella vicina chiesa del Rosario, portata sulle braccia. Era anche iscritta all’Azione cattolica. Amava il Papa, i Vescovi e i Sacerdoti. Si sentiva parte viva della Chiesa, la difendeva e ad essa orientava tutti.
Aveva 31 anni quando scrisse una lettera a un sacerdote in crisi: «Non faccio altro che pregare e offrire per voi […]. Sto seduta su una poltrona a rotelle e starei per altri 50 anni per aiutare le anime, per aiutare voi. Andate a Gesù, piangete ai suoi piedi; le vostre lacrime sembreranno perle, sembreranno rugiada che cade nel deserto del mondo e lo fa rifiorire». In quella circostanza si offrì ancora una volta vittima per la santificazione dei sacerdoti.

Tra difficoltà e consolazioni
Il 1966 fu un anno duro per Nuccia: il padre ebbe un crac finanziario e lei rischiò la cancrena alle gambe. Scrisse: «Voglio abbandonarmi completamente a Gesù».
Negli anni ’70 la sua casa ricevette due ospiti illustri: Padre Mariano di Torino e Natuzza Evolo. Con Padre Mariano spesso si intratteneva in lunghe telefonate spirituali. Anche con Natuzza si sentiva spesso. Questa le diede un’emografia eucaristica, che la rafforzò nella convinzione che Gesù la voleva vittima con Lui sulla croce per la redenzione degli uomini.
Il 1976 nacque il gruppo folk «Dei due mari – Città di Catanzaro» e la casa di Nuccia diventò il cuore pulsante di tutto il gruppo, di cui divenne la guida spirituale. In quegli anni, in cui era di moda l’adesione alle idee rivoluzionarie di Mao, Nuccia con la sua dolcezza parlò a lungo con tante teste calde, e seppe indurle a pregare e a confrontarsi con il Vangelo. Attraverso le forme dell’arte stimolava i giovani a cantare la vita e lodare Dio.

«Crocifissa per amore»
Verso il 1980 Nuccia scrisse: «Alla vista della mia vita stroncata, di una vita che non doveva più essere per me che sorgente di amare delusioni, sono stata turbata di abbandonarmi a pensieri spaventosi! Nel mio prepotente bisogno di amore e di protezione, mi sono rivolta al Crocefisso. Vicino a Te, Gesù, ringrazio l’Amore di avermi crocifissa per amore».
Intanto le sue carni compresse sul lato sinistro avevano creato una piaga emaciata, che Nuccia sopporterà nel silenzio per alcuni decenni fino alla morte. Scrisse: «In me vive e soffre Gesù, sono il suo tabernacolo vivente».

Lutti in famiglia e la visita dell’arcivescovo
Il 30 dicembre 1980 il padre di Nuccia, già ammalato e sofferente di prostata, morì dopo tante preghiere e suppliche della figlia per la salvezza della sua anima. Povertà, dignità e sobrietà s’intrecciarono e Nuccia diventò il perno su cui tutto girava in quella casa. Si prese particolarmente cura dei due figli della cugina Anna: Cristina e Gabriele.
Nell’aprile 1989 l’arcivescovo di Catanzaro, monsignor Antonio Cantisani, nell’ambito della visita pastorale in parrocchia, andò a trovare Nuccia, la quale gli rivelò che da quando era venuto a Catanzaro, aveva pregato ogni giorno per lui. Il 20 novembre 1993 morì la madre e Nuccia ne soffrì tantissimo.

I suoi messaggi su Radio Maria
I primi mesi del 1994 incontrò Federico Quaglini e iniziò con lui un’intensissima azione missionaria a Radio Maria. I suoi messaggi letti da lei nel programma “Il fratello” e nella rubrica “Beati gli ultimi” sono colmi di umanità e di sapienza, una piccola biblioteca di spiritualità, nata dal suo animo pieno d’amore per gli ultimi, i poveri, i sofferenti, i giovani.
Tantissime erano le persone che le telefonavano o le scrivevano da tutta Italia. Soprattutto con i fratelli ristretti (i carcerati) ebbe una intensa corrispondenza.

Il Testamento spirituale
Il suo Testamento spirituale (novembre 1995), è un inno di grazie, un magnificat per tutto quello che il Signore le aveva dato: la fede, la sapienza della croce, le meraviglie della natura, la gioia, la vita, la mamma, gli amici. Ringrazia il Signore per aver fatto di lei il suo corpo, la sua dimora, l’oggetto prezioso del suo amore compassionevole.
Raggiunge l’apice quando dice: «Voglio ringraziarti in modo particolare per il dono dell’immobilità, che è stato per me una vera scuola di abbandono, di umiltà, di pazienza e di gratitudine... State lieti nel Signore... Siate custodi dei vostri fratelli e insegnate loro l’amore con la vostra stessa condotta. Siate saldi in tutto, coerenti al Vangelo, pieni di zelo e d’amore per tutti. Ricordate che dall’amore riconosceranno che siete di Cristo; solo dalle opere buone molti saranno indotti a credere in Dio Amore. Solo l’amore salva... Sorridete sempre. Ogni volta che sorriderete, io sorriderò con voi».

La morte e l’ultima preghiera
Sorella morte la colse venerdì 24 gennaio 1997. Tutti piansero la sua dipartita, ma anche ringraziarono Dio per le meraviglie operate dalla grazia nella sua serva fedele.
La sera delle sue esequie Federico Quaglini lesse a Radio Maria il suo Testamento e l’ultima preghiera che Nuccia gli aveva mandato: «O mio Signore, non mi hai chiesto di fare grandi cose, ma di amare e di soffrire per Te, con Te, in Te. […] Voglio pregare, pregare molto e soffrire per tutti loro (i peccatori), perché sono sicura che, mentre io prego e soffro, Tu li guarisci e li liberi; mentre io li amo, Tu, o Dio, manifesti il tuo amore nei loro cuori. Sono sicura che ogni barriera, ogni resistenza crolla per lasciare posto a Te, che sei il liberatore, il salvatore, per lasciare posto alla conversione, alla gioia che non hanno mai provato, alla fiducia che non hanno mai avuto, alla speranza, alla luce, che prima non poteva entrare. Grazie, Signore, perché il fratello era morto ed è risuscitato, era perduto ed è stato ritrovato».
Nel Testamento e in questa preghiera è sintetizzata tutta la spiritualità di Nuccia, chiamata ad essere in Gesù e in Maria «vittima d’amore per l’umanità sofferente» con tutta la gioia del suo cuore.

La Causa di beatificazione fino al decreto sulle virtù eroiche
La Causa di beatificazione, iniziata il 31 luglio 2009 dopo quattro convegni diocesani, sulla base di una solida fama di santità in vita, in morte e dopo morte, è stata conclusa il 24 gennaio 2010.
Il 1° novembre 2010 i resti mortali di Nuccia sono stati collocati nella cappella del Crocifisso della Chiesa del Monte in Catanzaro, dove tanti fedeli si ritrovano per pregarla e invocare grazie.
Il 2012 è stata depositata presso la Congregazione delle cause dei Santi la Positio super vita, virtutibus et fama sanctitatis. Il 6 aprile 2019 Papa Francesco ha riconosciuto le virtù eroiche di Gaetana Tolomeo, proclamandola Venerabile.

Il miracolo per la beatificazione
Il miracolo che ha portato Nuccia Tolomeo alla beatificazione riguarda la situazione della signora Ida Carella, di Crotone, protagonista di una gravidanza extrauterina, allocata in sede istmica (cervice dell’utero), il cui esito sarebbe stato infausto, secondo la scienza medica. L’11 febbraio 2014, dopo che la signora aveva invocato Nuccia Tolomeo, il ginecologo, nel praticare l’ecografia, notò che la gravidanza stava seguendo “inspiegabilmente” un percorso regolare, giunto a compimento il 5 agosto 2014: nulla è impossibile a Dio (cfr. Lc 1,37).
Il 22 settembre 2020 il Collegio dei Cardinali e Vescovi consultori ha espresso il voto favorevole sul miracolo ottenuto per intercessione di Gaetana Tolomeo. Il 29 settembre 2020 Papa Francesco ha autorizzato la Congregazione a promulgare il Decreto riguardante il miracolo, che ha portato la Venerabile alla Beatificazione.

La beatificazione
Domenica, 3 ottobre 2021, alle ore 16 nella Basilica dell’Immacolata Sua Eminenza Cardinale Marcello Semeraro, Prefetto della Congregazione dei Santi, a nome di Papa Francesco, ha proclamato il Decreto di beatificazione di Gaetana Tolomeo.
Il giorno del culto liturgico alla neo Beata è stato stabilito dalla Congregazione per il culto divino il 19 aprile, giorno della nascita di Nuccia, come risulta dall’anagrafe civile.

Preghiera
Grazie, o Trinità Santissima,
per aver donato a queste nostre terre generose e forti
il candido fiore di Nuccia
che rigoglioso sbocciò nell’amore di Dio.
Tanti di noi la ricordano
fin da quando, bambina, non poté camminare.
Tanto dolore, una famiglia distrutta!
Ma dopo la Prima Comunione
ella interamente a Cristo si votò
in quella sua sequela che durò finché si spense.
“La sofferenza - diceva - è il trionfo dell’amore…”.
Questo amore lei seppe dare attorno a sé
con gesti, con parole, anche scrivendo,
a gloria di Cristo, suo dolce sposo.
Quand’ella morì, già da tempo aleggiava
la fama della sua santità.
O Padre, per la sua intercessione,
concedici la grazia che ti imploriamo. Amen.
(Fonte Santi e beati)