Room di Lenny Abrahamson, quelli tra stanza e realtà
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Room di Lenny Abrahamson, quelli tra stanza e realtà

sabato 5 marzo, 2016

ROOM DI LENNY ABRAHAMSON, LA RECENSIONE. Senza cedere nè al thriller nè al melodramma, Room compie un buon lavoro drammatico, ma manca di accelerazione e suggestione nella seconda parte.

Con quelle premesse – una madre rinchiusa in una stanza col figlio di cinque anni – Room sarebbe potuto facilmente diventare un racconto del terrore, tutto anfratti ed ombre, o una saga della sopravvivenza infarcita di suspense ad effetto. Il film di Lenny Abrahamson, invece, è tutto giocato sull’affetto, quello che lega genitrice e figlio anche nelle situazioni più probanti della vita, e le ombre sono quelle del dramma che osa spingersi nei recessi dell’anima. Adattato dal pluripremiato romanzo di Emma Donoghue, a sua volta ispirato ad una storia vera, Room non cade dunque nella tentazione di fare del proprio spunto un pretesto di genere, bensì lascia le stanze della spettacolarizzazione e si addentra nel mondo impenetrabile della relazione filiale. È un salto di qualità, ma anche un salto nel buio non privo di rischi e scivoloni.

Mistero: perché madre e figlio sono lì? Il piccolo Jack (Jacob Tremblay), peraltro, non ha mai conosciuto l’ambiente esterno e crede che sia una finzione come il flusso d’immagini che scorre in tv. Ma soprattutto, mistero: come fa un bambino di cinque anni appena compiuti, in queste condizioni, a mantenere la propria vitalità e persino la propria verve sognante? Nel viso giovane ma sofferto della madre (Brie Larson) s’intuiscono l’ansia ed il segreto, ma anche l’istinto di sopravvivere e di fingere. Quando compare il vecchio Nick (Sean Bridgers) le ragioni della segregazione si fanno spazio nella mente dello spettatore, ma la macchina da presa è ancora impantanata lì, nello spazio dieci per dieci, in cui il clima claustrofobico si allenta appena se da un oculo si vede il sole e se da un proposito della madre s’intravede una via di fuga. [MORE]

PANIC ROOM - Per forza di cose, tutta la prima parte di Room si snoda come un thriller, senza nemmeno farsi mancare l’uomo nero. Tuttavia, è già nelle snervanti soggettive di Jacob rinchiuso nell’armadio o nella logorante percezione di uno microcosmo angusto che s’intuisce già come il film possieda un respiro più ampio: c’è uno spazio altro che il cinema non mostra, ma lascia avvertire, ed è quello di un mondo da rivelare ad uno sguardo vergine. Quando il film esce dal confine e dal confino fisico della stanza – peraltro, con un’emozionante, asfittica sequenza – accade gradatamente il contrario: dalla prima scoperta dell’universo si passa ad una contrazione interiore, la libertà non è davvero libera e, bandita ogni sfida con rapitori banditi, restano i fantasmi da esorcizzare ed i paparazzi da schivare.

È VIVA LA MAMMA - A fronte di questa struttura, di questa sensata illusione, di questo effimero passaggio dal buio alla luce, come si evolve il film in regia e recitazione? La sfide creative che si pone Room, in altre parole, sono coerenti ed affascinanti: non sempre ed altrettanto l’esecuzione. Pare difficile non trovare un po’ insipida la seconda parte, un po’ troppo scontata la parabola trauma\redenzione, un po’ prevedibile la sequela di piagnistei e lamenti.

Ecco perché in Room, in realtà, piacerebbe più il piccolo Jacob Tremblay, con la sua fantastica naturalezza che quasi non fa percepire la recitazione, che il premio Oscar Brie Larson, chiamata al difficile compito di recitare il ruolo di una madre insieme debole e forte, fragile e rifugiante, senza far scivolare il film nel melodramma. Vi riesce, ma, suvvia, come non preferire quell’occhio vergine del bambino che scopre il mondo – e tutte le parti in cui di questo racconta il film – a quell’occhio bagnato di lacrime o cerchiato da occhiaie della madre che sfida il passato?

Insomma, di Room di Lenny Abrahamson si apprezzano i buoni propositi di non essere buonista e strappalacrime, così come la volontà di non essere cattivo e ripiegare su stereotipi di genere strappa-suspense, ma è proprio tanta sobrietà che fa allo stesso tempo plaudire all’equilibrio ed intiepidire di fronte ad un calore emozionale che non sempre infiamma, non sempre suggestiona.

DATA USCITA: 03 marzo 2016
GENERE: Drammatico
ANNO: 2015
REGIA: Lenny Abrahamson
ATTORI: Brie Larson, Jacob Tremblay, Megan Park, William H. Macy, Joan Allen, Amanda Brugel, Sean Bridgers
SCENEGGIATURA: Emma Donoghue
FOTOGRAFIA: Danny Cohen
MONTAGGIO: Nathan Nugent
MUSICHE: Stephen Rennicks
PRODUZIONE: Film4, Irish Film Board, Element Pictures, No Trace Camping
DISTRIBUZIONE: Universal Pictures Italy
PAESE: Irlanda
DURATA: 118 Min

(immagine principale: dettaglio di un fotogramma del film con Jacob Tremblay e Brie Larson; all'interno: immagine dal film con i medesimi interpreti)


 Antonio Maiorino


Autore
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