Commenti animati non da spirito di verità o da autentico senso etico, ma da una forma di compiacimento che rasenta lo sciacallaggio, quasi un sottile godimento nel commentare vicende delicate che hanno interessato l’Ordine degli Avvocati di Catanzaro.
Senza alcuna intenzione di entrare nel merito dei fatti – che non possono e non devono essere oggetto di dibattito da bar o da social network – ritengo doveroso osservare che molti di coloro che oggi si ergono a improvvisati moralizzatori dovrebbero, più semplicemente, tacere. Viviamo in una realtà piccola, nella quale ci conosciamo tutti, e ciascuno conosce bene la storia degli altri: in particolare quella di chi ha costruito carriere non per merito, ma sfruttando prossimità, relazioni o protezioni, e quella di chi si è reso responsabile di comportamenti gravi che, sebbene non ancora emersi pubblicamente, potrebbero un giorno venire alla luce...
Colpisce, inoltre, la leggerezza con cui si scrive senza conoscere i fatti e, ancor più gravemente, senza conoscere – nonostante tra i commentatori vi siano anche avvocati – le procedure di controllo e di vigilanza previste dall’ordinamento. Si confondono ruoli, si sovrappongono competenze, si tenta maldestramente di costruire una responsabilità “diffusa” che non ha alcun fondamento giuridico né istituzionale, attribuendo ai consiglieri dell’Ordine responsabilità che competono, per legge, ad altri organi di controllo.
È altrettanto desolante assistere alla codardia di chi affida ai social commenti livorosi e velenosi: personaggi minuscoli, che vivono nella frustrazione e nell’anonimato morale, incapaci di esporsi apertamente e di assumersi la responsabilità delle proprie parole, anche per la loro palese incompetenza ed ignoranza.
Non entrerò nel merito della vicenda emersa in questi giorni. Gli atti non sono – né possono essere – nella disponibilità di tutti, ma esclusivamente delle autorità competenti, che risultano già attivate e stanno operando secondo le regole e le garanzie previste dall’ordinamento.
Ciò che invece colpisce è l’assenza di senso di appartenenza e di responsabilità collettiva. Anziché compattarsi e difendere, con autorevolezza e rigore, la dignità della classe forense, emerge il desiderio di qualche personaggio caduto in bassa fortuna di colpire il proprio Ordine per una rivalsa personale, tipica di chi confonde la critica con il risentimento e la giustizia con la vendetta.
Il tempo, come sempre, farà chiarezza. Per tutti.
A costoro, temo, resterà soltanto l’ennesima triste storia di mediocrità.
Antonello Talerico
Consigliere del Consiglio Nazionale Forense