Talerico sulla vicenda del magistrato Eugenio Facciolla.

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di Antonello Talerico – Consigliere Regionale della Calabria

Ci sono vicende che, anche quando si concludono nel migliore dei modi giudiziari, non restituiscono ciò che hanno tolto: la serenità, l’onore, la dignità di un uomo. Il caso del dott. Eugenio Facciolla, oggi finalmente assolto con formula piena, è una di queste.

Dopo sette lunghi anni di processo, accuse demolite, ricostruzioni giudiziarie rivelatesi infondate, e una vita professionale travolta da un'inchiesta che – oggi possiamo dirlo con chiarezza – non doveva nemmeno nascere nei suoi confronti.

Le accuse di corruzione e falso sono cadute. Non “per prescrizione”, non “per difetto di prova”, ma perché il fatto non sussiste e per non aver commesso il fatto. Un’assoluzione piena, limpida, inequivocabile.

Eppure, nel frattempo, Facciolla è stato trasferito, umiliato, isolato. Ed è qui che va sollevata una riflessione che non riguarda solo un magistrato, ma l’intero sistema di equilibrio tra giustizia, carriera e correnti.

Quando i magistrati diventano bersagli di altri magistrati

È un dato sempre più preoccupante: i processi contro magistrati stanno diventando strumenti di lotta interna tra correnti, colpi bassi travestiti da moralismi, regolamenti di conti mascherati da “trasparenza”.

In questa logica perversa, non si guarda in faccia nessuno, e chi osa deviare da certi equilibri viene messo nel mirino.

Facciolla, magistrato serio, competente e scomodo, ha forse pagato proprio questa sua libertà. Ha fatto il proprio dovere in territori difficili, ha toccato tasti delicati. E qualcuno, evidentemente, ha pensato che andasse fermato.

Non è la prima volta che assistiamo a dinamiche simili. Ma ogni volta che accade, lo Stato dovrebbe porsi una domanda scomoda:

> Chi protegge chi indaga, quando chi indaga dà fastidio a chi ha il potere dentro le istituzioni?

La macroscopica estraneità di Facciolla era evidente da subito

Sin dall’inizio, la posizione del dott. Facciolla appariva lontana, forzata, quasi incollata malamente a una ricostruzione che non stava in piedi. Ma le inchieste, si sa, fanno rumore all’inizio e silenzio alla fine. Le prime pagine sono per gli avvisi di garanzia, non per le assoluzioni.

E oggi, mentre la verità giudiziaria finalmente emerge, dobbiamo chiederci:

Chi ripaga il tempo perduto? Chi ripara un’ingiustizia silenziosa ma devastante?

Una questione che riguarda lo Stato di diritto

Difendere oggi Eugenio Facciolla non è un atto di solidarietà personale, è un dovere istituzionale.

Perché se passa l’idea che basta un’indagine per annientare la credibilità di un magistrato, allora la giustizia diventa un’arma e non una garanzia.

Ed è per questo che, da Consigliere Regionale e da cittadino, mi sento in dovere di esprimere pubblicamente il mio rispetto per la figura e il percorso professionale del dott. Facciolla, così come la mia preoccupazione per l’uso distorto e strumentale di strumenti giudiziari come mezzo di lotta interna al sistema.

È tempo di tornare a distinguere tra il sospetto e il fatto, tra l’accusa e la verità, tra la giustizia e le manovre.

Concludo con una semplice verità

Il processo è finito. L’uomo è stato assolto. Ma l’ingiustizia, in parte, resta.

Tocca alla politica, alla stampa e alla società non distogliere lo sguardo. Perché, in una democrazia sana, la verità non può arrivare troppo tardi.

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Scritto da Redazione

Giornalista di InfoOggi

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