Smantellate organizzazioni criminali legate alla ’ndrangheta: migliaia di reperti sottratti alla storia italiana
Un vasto traffico illecito di reperti archeologici è stato smascherato grazie a due importanti operazioni condotte dalle Direzioni distrettuali antimafia di Catanzaro e Catania, con il supporto dei Carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Culturale (TPC). L’inchiesta ha portato al sequestro di migliaia di beni archeologici, per un valore stimato di oltre 17 milioni di euro, e all’emissione di 56 misure cautelari.
Scavi clandestini e mercato nero: un sistema criminale strutturato
Le indagini hanno ricostruito un sistema organizzato e ramificato, dedito al saccheggio sistematico di siti archeologici di rilevanza nazionale, con l’obiettivo di immettere reperti di inestimabile valore storico nel mercato illegale internazionale.
In Calabria, il traffico avrebbe favorito direttamente la cosca Arena di Isola Capo Rizzuto (Crotone). Agli indagati è stata infatti contestata l’aggravante mafiosa, poiché l’attività criminale avrebbe consentito alla ’ndrangheta di rafforzare il controllo del territorio e ottenere ingenti profitti illeciti.
Le misure cautelari: numeri e territori coinvolti
Nel dettaglio:
- Catanzaro: 11 provvedimenti (2 in carcere, 9 ai domiciliari);
- Catania: 45 provvedimenti, tra cui 9 arresti in carcere, 14 domiciliari, 17 obblighi di dimora, 4 obblighi di presentazione alla polizia giudiziaria (di cui 2 notificati all’estero) e la sospensione dell’attività di una casa d’aste.
I siti archeologici saccheggiati in Calabria
Le indagini del Nucleo TPC di Cosenza sono partite dalla scoperta di numerosi scavi clandestini, collegati a un traffico di reperti provenienti da importanti parchi archeologici nazionali, tra cui:
- Scolacium
- Kaulon (Kaulonia)
- Capo Colonna
Per operare in un settore altamente specialistico, la cosca avrebbe reclutato anche appassionati ed esperti del settore archeologico, aggirando così le competenze tecniche richieste.
Monete, ceramiche e reperti unici: il tesoro recuperato in Sicilia
L’inchiesta siciliana, coordinata dalla DDA di Catania e condotta dal Nucleo TPC di Palermo, ha portato al sequestro di una quantità impressionante di reperti, tra cui:
- monete in bronzo e in oro, anche rarissime o uniche;
- crateri integri a figure nere e rosse;
- reperti fittili, chiodi e frammenti;
- fibule protostoriche, anelli e fibbie in bronzo;
- pesi, punte di freccia, monete arcaiche con globetti ponderali;
- askos buccheroide.
Il valore complessivo dei beni recuperati è stimato in 17 milioni di euro.
Le parole dei magistrati: “Un patrimonio che appartiene a tutti”
Secondo il procuratore di Catanzaro Salvatore Curcio, gli indagati sono accusati di associazione per delinquere aggravata dal metodo mafioso, finalizzata a sottrarre beni culturali per metterli a disposizione della cosca Arena.
Il capitano Giacomo Geloso, comandante del Nucleo TPC di Cosenza, ha sottolineato come il commercio clandestino di reperti archeologici rappresenti oggi uno dei business più redditizi per la criminalità organizzata, subito dopo droga e armi.
Ancora più forte il messaggio del procuratore di Catania Francesco Curcio, secondo cui con i reperti sequestrati “si potrebbe allestire uno dei più importanti musei archeologici d’Italia”.
Un colpo decisivo alla criminalità contro la cultura
Questa operazione rappresenta un duro colpo al saccheggio del patrimonio culturale italiano, riaffermando il principio che la storia non è merce, ma un bene collettivo da tutelare. Un’indagine che mette in luce la pervasività delle mafie, capaci di spingersi fino alla sottrazione delle radici storiche e identitarie dei territori.