ISTANBUL, 11 SETTEMBRE 2013 - Con i fari puntati oltre i confini, e in altre zone del Medio Oriente, dall’Egitto alla Siria, avevamo tutti un po’ dimenticato la Turchia, dalle proteste di giugno. Che in realtà non si sono mai interrotte, semplicemente, non se n’è più parlato.
Da quando ha smesso di rappresentare priorità mediatica, la Turchia è stata comunque teatro di “scaramucce”, più o meno a intervalli regolari, nel mese di agosto: ogni occasione era buona per organizzare sit-in o riunirsi in piazza, ogni riunione era buona per disperderla, a suon di lacrimogeni e cannoni. Il famigerato Gezi Park veniva continuamente ri-aperto al Pubblico, poiché come appena lo stesso Pubblico ci metteva piede, veniva pedissequamente ri-chiuso, ché dicevano fosse proibito. Quando si dice Paradossi. [MORE]
In seguito, altri fronti hanno tenuto impegnati manifestanti e forze dell’ordine: il 25 agosto, studenti dell’Università Tecnica del Medio Oriente (ODTÜ) di Ankara, hanno organizzato sit-in di protesta per impedire la costruzione di un’autostrada, prevista all’interno della foresta che ospita l’ateneo. Già nel 2008, furono demoliti ben 45 edifici dell’istituto, ritenuti abusivi. In realtà si vocifera che ci sia sempre stata una forte ostilità nei confronti di questa università da parte del governo, nonostante il suo prestigio.
E le proteste-contagio continuano a interessare altre zone della Turchia: il 9 settembre, la polizia ha sedato una manifestazione nel quartiere di Okmeydani, a Istanbul, dove la gente s’era riunita per chiedere giustizia per B.E., un manifestante quattordicenne in coma da 86 giorni. Il bilancio della guerriglia urbana è stato di 10 manifestanti e un poliziotto feriti, più cinque arrestati, tra cui 3 bambini. Le cariche sono cominciate dal rifiuto di voler spezzare una catena umana, e hanno coinvolto anche gli abitanti della zona, puniti dalle forze dell’ordine per aver aiutato i manifestanti, che si sono ritrovati i cannoni ad acqua puntati negli appartamenti.
Il vaso d’ira è stato traboccato dalla morte di un 22enne, Ahmet Atakan, avvenuta martedì ad Hatay, nel sud est della Turchia. Ahmet stava partecipando a una manifestazione di solidarietà per gli studenti della ODTÜ, quando è stato fatalmente colpito alla testa da un lacrimogeno. I medici hanno confermato il decesso per trauma da impatto, mentre le autorità hanno smentito a lungo, sostenendo che la morte sia stata provocata da una caduta.
Il nome Ahmet Atakan ha fatto il giro del mondo sui social network nel solito, brevissimo tempo, e la rabbia s’è subito tramutata in volontà di re-organizzare proteste di massa in tutto il Paese. Già ieri sera si sono verificati vari scontri vecchio-stile nella solita Ankara, e intorno a Taksim, e il fatto che in questo periodo c’è il ritorno, nelle due città, degli studenti fuori sede, lascia presagire che la situazione, da calda, potrebbe tornare incandescente.
Il pugno duro del governo stenta ad allentarsi, ed anzi, spesso pare quasi provocatorio, specie per le parole del Primo Ministro. Il tutto non giova alla Turchia, che ha già pagato il conto durante la competizione per l’assegnazione delle Olimpiadi 2020, vinta da Tokyo. Troppi macigni hanno messo all’angolo Istanbul: i disordini di cui sopra (e degli ultimi mesi), una serie di scandali legati al doping di diversi atleti nazionali, l’incarcerazione sconsiderata di giornalisti e oppositori politici, più le posizioni sul conflitto siriano.
Crucci e soliti nei di un Paese all’impasse, con il freno a mano tirato sulle sue enormi potenzialità, e avvinghiato piuttosto alla corda di un preoccupante regresso.
foto: Al Jazeera
Dino Buonaiuto (Corrispondente dalla Turchia)