Dalla Calabria al Veneto, il copione è sempre lo stesso: i baroni dell’università decidono il futuro accademico di figli e figliastri, mentre il merito resta fuori dalla porta.
Il caso della nomina a professore ordinario all’Università di Verona del figlio dell’ex rettore dell’ateneo non è uno scandalo isolato. È la fotografia nitida di un sistema malato, che da decenni sopravvive grazie all’ipocrisia, al silenzio e alla rassegnazione generale. Un concorso con un solo candidato, bandito su misura, che consente a un trentatreenne – a due anni dalla specializzazione – di diventare ordinario nello stesso Dipartimento diretto fino a poco prima dal padre. Tutto formalmente regolare, tutto sostanzialmente inaccettabile.
Le parole del senatore Andrea Crisanti confermano ciò che molti fingono di non vedere: in Italia i concorsi universitari sono spesso una farsa. «In quarant’anni di carriera non conosco un solo concorso di cui non si sapesse già il vincitore», ha detto in Parlamento. Una denuncia pesantissima, che inchioda il sistema accademico alle proprie responsabilità.
L’80% dei docenti universitari italiani ha svolto l’intera carriera nella stessa università. In Europa la media è molto più bassa, nel Regno Unito è appena del 35%. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: nessuna università italiana tra le prime cento al mondo. Altro che eccellenza, altro che competitività internazionale.
E non illudiamoci che il problema sia solo “al Nord” o solo “al Sud”. Anche in Calabria conosciamo bene i meccanismi dei bandi ad personam, delle carriere blindate, delle porte chiuse a chi non appartiene al sistema. Giovani brillanti costretti ad andare via, mentre chi resta deve spesso piegarsi o rinunciare.
La domanda è una sola: combattere questo sistema è davvero impossibile?
No, non lo è. Ma serve il coraggio di rompere gli equilibri, di introdurre regole vere: bandi aperti, commissioni realmente indipendenti, mobilità obbligatoria, valutazioni internazionali. Serve soprattutto la volontà politica di mettere fine a una delle caste più autoreferenziali del Paese.
Se non lo faremo, continueremo a perdere credibilità, talenti e futuro. E poi non stupiamoci se i nostri ragazzi scelgono l’estero e non tornano più.
Antonello Talerico Consigliere Comunale Catanzaro