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UDINE, 26 OTTOBRE - L’attaccante dell’Udinese è l’unico giocatore italiano ad essere inserito nella pre-lista dei cinquanta candidati al pallone d’oro: ingiustizia dettata dall’immagine o dimostrazione di inferiorità?
Già si sentono i primi echi di cantici di ecatombe: il calcio italiano è in crisi, non produciamo talenti, non vinciamo, non siamo spettacolari e la solitudine di Totò Di Natale nelle liste del Pallone d’Oro è solo la conferma, pur nel sorriso di una sua candidatura, dello stato di arretratezza e degrado che affligge il nostro movimento pallonaro.[MORE]
Il tono che serpeggia nel web e tra gli addetti ai lavori è questo, e narra di una situazione di crisi al limite del collasso. Di Natale, capocannoniere degli ultimi due campionati, è senza alcun dubbio meritevole di entrare nel listone, ma ha pochissime chance di passare l’ultima selezione (quella che riduce a ventitré i concorrenti reali al premio, ndr) ed inoltre ha un prestigio internazionale lontano anni luce da quello dei vari Messi, Cristiano Ronaldo, Rooney & Co. che assieme a lui compongono oggi il contingente del Pallone d’oro. Quindi, è destinato in fretta ad essere cancellato dalla corsa ed a finire nello stesso limbo in cui sono confinati i suoi connazionali, nonostante l’incredibile score di cinquantotto reti negli ultimi due campionati e i due titoli di capocannoniere consecutivi. Il quadro che viene fuori da questa lista, bisogna dirlo, non è esaltante.
L’Italia come scuola calcistica, comunque tradizionalmente poco considerata dal premio che fu di France Football e che adesso fa capo direttamente alla FIFA, è con il solo Di Natale al suo minimo storico. La situazione è però preoccupante anche per l’Italia intesa come movimento calcistico: le rappresentanze che fanno capo alla nostra serie A sono solo sei (oltre a Di Natale ci sono Sneijder, Klose, Forlan, e gli ex Sanchez ed Eto’O) su cinquanta. Comanda (ovviamente) il Barcellona con nove candidature, seguito dal Real Madrid e Bayern Monaco con sei giocatori a testa.
Ma tutta questa situazione è realmente lo specchio dei valori in campo? Perché la Serie A, dopo addirittura ventinove anni (Rossi nel 1982), percorrerà il suo calendario senza vantare nemmeno un Pallone d’Oro? I motivi sono molteplici. Abbiamo meno appeal economico, perché da noi i paperoni che hanno investito in Inghilterra (Manchester City e Chelsea) e Spagna (Malaga) non si sono ancora visti. Abbiamo iniziato in anticipo la politica di taglio ingaggi che dovrebbe condurre al rispetto delle regole del prossimamente attivo Fair-Play finanziario. Ma soprattutto, abbiamo un campionato duro e poco spettacolare, in cui gli svolazzi offensivi lasciano spazio alla tattica e all’agonismo. Ma siamo sicuri che questo sia uno svantaggio?
Diciamocelo: in Spagna il duopolio Barcellona-Real porta gol e spettacolo in un solo senso, quello favorevole alle due regine, lasciando le briciole a tutti gli altri. In Inghilterra il torneo è più livellato, ma spessissimo i grandi club fanno scorribande da cinque e più gol sui campi delle ultime in classifica, e ciò in Italia è impensabile. Tacciamo sulla Bundesliga, dove da sempre c’è solo il Bayern, che perde il campionato solo se l’allenatore di turno esagera nel travestirsi da stregone.
La poca spettacolarità della nostra serie A nasce dal suo essere difficile e imprevedibile, dal suo rendere incerta ogni partita al di là del censo delle squadre in campo, e la tanto decantata difficoltà di fare risultati nelle coppe è tanto vera in Europa League (competizione poco remunerativa per cui le nostre squadre non sacrificano un campionato complicato e che ci è costata un posto in Champions) quanto bugiarda in una Champions che parla di tre vittorie italiane negli ultimi otto anni. Segno che il calcio che produciamo sarà pure costrittivo nel talento e ingabbiato negli e dagli schemi, ma può ancora dire la sua nei grandi albi d’oro.
Pazienza, Totò Di Natale: per un po’ sarai considerato come l’unico vanto di un movimento pallonaro che si diverte, con i titoloni dei suoi giornalisti, a screditare fin troppo sé stesso. Sono purtroppo lontani gli anni in cui i migliori stranieri li avevamo noi, certo, ma siamo sicuri che il calcio sia solo quello del bello da vedere, del video su youtube, dell’immagine prima di tutto, dei gol a grappoli e delle difese di burro?
Saremo anche più poveri e meno belli, ma a volte i brutti anatroccoli hanno la meglio anche sui cigni.
Alfonso Fasano