Memorie di un'infamia. Storia di una giornalista più forte dei Demoni
Cultura e Spettacolo

Memorie di un'infamia. Storia di una giornalista più forte dei Demoni

domenica 21 ottobre, 2012

«Le mafie mi vogliono morta non per quello che so,
ma per quello che voi e le vostre figlie saprete leggendo i miei libri».
[Lydia Cacho, Memorie di un'infamia]

CITTÀ DEL MESSICO, 21 OTTOBRE 2012 - Che Lydia Cacho sia una donna forte te ne accorgi dagli occhi. Come nell'immagine scelta per la copertina dell'edizione italiana di Memorias de una infamia (Memorie di un'infamia, in italiano), uscito in versione originale per Random House Mondadori nel 2008 e tre anni dopo, per la Fandango, nella sua versione italiana.

Per parlare di questo libro, però, è necessario fare un passo indietro. Memorie è infatti una sorta di “making of”, il racconto biografico di quanto accaduto tra il 2003 ed il 2007 alla giornalista messicana che, svestiti i panni della “cacciatrice di notizie” veste quelli di attivista e presidente del Ciam, il Centro Integral de Atención a la Mujer di Cancún, nello Stato di Quintana Roo, organizzazione della società civile messicana che si occupa di «eradicare tutte le forme di violenza di genere».[MORE]

Los Demonios del Edén, il libro da cui bisogna partire per raccontare questa storia, nasce proprio per questo scopo.
Da presidente del Ciam, infatti, Lydia Cacho entra in contatto con Emma [nome di fantasia, ndr] una bambina che nel 2000 ha denunciato gli abusi di cui è stata fatta oggetto da parte di Jean Thouma Hanna Succar Kuri, imprenditore alberghiero libanese – in Messico fin dagli inizi degli anni '80 – entrato più volte in inchieste giornalistiche e giudiziarie per pornografia infantile e lavaggio di denaro.
È grazie ad Emma e alle tante bambine e bambini invischiati nel più infame dei traffici internazionali – quello dello sfruttamento di minori a scopi sessuali – che Lydia Cacho affronterà i demoni di una rete internazionale tra le più impenetrabili e che in Messico ha visto (vede ancora?) la copertura e la connivenza di un sistema fatto di imprenditori – nel caso specifico José Kamel Nacif Borge, potentissimo “Re dei jeans” che gestisce maquiladoras sparse tra Messico, America Latina e sud-est asiatico – con in agenda il numero di politici come Mario Plutarco Marín Torres, all'epoca dei fatti governatore priista di Puebla, al quale Nacif chiese il favore di utilizzare tutti gli strumenti in suo possesso – legali o meno che fossero – per arrestare Lydia Cacho, rea di essere stata la prima in Messico a denunciare la rete pederasta facendo nomi e cognomi.
Marín, prontamente, esegue.

È da queste premesse che Memorie diventa un libro che non può non essere scritto, necessario non solo per dare ulteriore testimonianza – peraltro diretta – di una delle tante reti internazionali che in troppi vogliono far rimanere occulte ma anche perché, come la stessa Lydia Cacho scrive nell'introduzione all'edizione italiana, per raccontare una storia «esemplare per comprendere il modo in cui i governi mettono in cima alle loro priorità il patto di ferro stretto con la corruzione, in particolare quando si tratta di insabbiare casi di violenza ai danni delle donne, adulte, giovani o bambine».

Il 16 dicembre 2005 Lydia Cacho viene arrestata, o per meglio dire sequestrata, da un gruppo di uomini appartenenti alla Polizia giudiziaria – non certo la categoria più affidabile per i cittadini messicani, come le cronache spesso raccontano – e trasferita via terra dalla sede del Ciam al carcere di Puebla, in un viaggio durato circa 30 ore nelle quali la giornalista è stata minacciata e torturata, con uno stupro già definito nei minimi dettagli che sarebbe dovuto avvenire una volta arrivati presso il carcere. Persino quei poliziotti sono stati costretti ad ammettere di essersi trovati di fronte ad una donna molto più coraggiosa di quanto credessero possibile.

«Il lavoro dei media è stato molto importante per mantenermi in vita», ha sempre detto Lydia Cacho in interviste o altre occasioni successive al suo viaggio di andata e ritorno tra i Demoni dell'Eden che stanno trasformando Cancún nella “Thailandia d'America”, con l'arrivo di pedo-pornografi da Stati Uniti e Canada che comprano bambine e bambini a 2.000 dollari a corpo (o almeno questo è il prezzo chiesto da Succar Kuri a Kamel Nacif per due bambine «con cui fornicare», come è possibile ascoltare in un'intercettazione telefonica diffusa da Carmen Aristegui nel 2007 e confermata dallo stesso Nacif al quotidiano Reforma).

Sarebbe semplice definire Lydia Cacho “un'eroina”, rendendola una figura mitica e – di conseguenza – irraggiungibile. Esattamente l'opposto di quanto si tenta di fare con quel giornalismo di denuncia che porta avanti con i suoi libri, i suoi articoli o le interviste. Lydia Cacho è, semplicemente, una giornalista che ha deciso di non girarsi dall'altra parte quando ogni singolo dettaglio avrebbe giustificato questa scelta, per quel dovere etico-morale – prima ancora che civico o politico – che il giornalismo porta con sé e grazie al quale è possibile aprire squarci in realtà di cui altrimenti nulla sapremmo.

(foto: anobii.com)
Andrea Intonti [http://senorbabylon.blogspot.it/


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