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Dal Faito Doc Festival: Les Sauteurs, tra i saltatori che son sospesi

Presentato in concorso al Faito Doc Festival, decima edizione, il documentario Les Sauteurs condensa nelle riprese di Abou le attese di una comunità di migranti africani che cercano di superare il muro di Melilla: la vita in un salto.

Dal Monte Gurugu, l’orizzonte – l’Europa – sembra un miraggio. Lì, sulla punta nord-orientale del Marocco, si vive in una di quelle suture tra terre che sembrano ferite da rimarginare: ad un passo l’enclave spagnolo di Melilla, ma al sogno di una vita diversa si arriva scavalcando l'iper-sorvegliata barriera. I migranti africani mirano la città di là del muro. Sfuma nell’aria inazzurrata e calda, che sa ancora di deserto, sia pure col mare ad un passo. Dalla macchina da presa di Abou, a cui gli autori affidano il mandato di filmare, la Spagna si fa evanescente, un’astrazione dell’anima, un vagheggiamento; ma ad ogni tentativo di oltrepassamento le botte dei militari sono maledettamente concrete – il brusco, fisico ritorno alla realtà. [MORE]

In Les Sauteurs di Moritz Siebert ed Estphan Wagner il punto di vista è affidato al protagonista maliano, perché cinema vuol dire prima di tutto scelta: di cosa filmare, di cosa animare nel rettangolo del campo, di cosa raccontare. Di qui l’urgenza di Abou, anch’egli autore, di soffermarsi, a sua discrezione, su alcuni aspetti della vita “al confine” d’un gruppo di uomini sub-sahariani, spensierati come bambini quando giocano a pallone, organizzati – vorrebbero – come soldati quando preparano l’assalto e lo scavalcamento della recinzione di Melilla.

Più che un documentario a sei mani – o sei occhi – Les Sauteurs è allora un tentativo di superare le barriere dello sguardo, di ridurre il grado di mediazione affidando ad una persona il compito di rimanere tale, anziché trasformarla in personaggio: metamorfosi che comporterebbe l’allontanamento, in un documentario che cerca la vicinanza. Siamo tutti arruolati in missione. E prima, “tra color che son sospesi”, trascinati nella stagnazione che precede ogni impresa, tra stracci e manie di grandezza; nei minimi della sopravvivenza, nell’incommensurabile della speranza.

Ma Les Sauteurs include anche un altro sguardo: quello asettico delle videocamere di sorveglianza che riprendono i tentativi stoici e infruttuosi dei migranti di valicare il muro. Quasi un mirino crudele, e di contro tutta l’umanità, in chiacchiere spicciole e grandiosi piani, della comunità raccolta tra gli alberi. Per contrasto, nel tremolio della camera a spalla opposto al rigido carrello degli infrarossi, vien fuori dal documentario un inno alla vita, meglio, all’esistenza: un appello alla dignità di esistere, attraverso il recupero di una genuina visione.

Sospeso tra deserto e mare, montagna e città, sogno e frustrazione, Les Sauteurs (“I saltatori”) sembra dunque un rituale vitalistico, che aggiunge valore propiziatorio ad un diario di viaggio-missione impossibile e condensa nel proprio racconto di denuncia l'afflato vitale dell'attesa di un grande salto.

Paese: Danimarca, 2016
Durata: 80'
Regia: Moritz Siebert, Estephan Wagner
Co-regia: Abou Bakar Sidibé
Produzione: Signe Byrge Sørensen, Heidi Elise Christensen
Montaggio: Estephan Wagner
Suono: Henrik Garnov
Prodotto in collaborazione con – Mette Hoffmann Meyer
Distribuzione Italia: ZaLab in collaborazione con I Wonder Pictures/Unipol Biografilm Collection


Qui il programma completo del Faito Doc Festival.

(Immagini: in alto, dettaglio di fotogramma del film; all'interno, fotogramma del film. Fonte foto: ZaLab)

 

Antonio Maiorino