Così è (se gli pare). Sempre più vicino alla Primavera turca
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Così è (se gli pare). Sempre più vicino alla Primavera turca

giovedì 20 giugno, 2013

ROMA, 20 GIUGNO 2013 - Martin Schulz, presidente del Parlamento europeo, è intervenuto in una puntata speciale di Agorà di Rai Tre da Bruxelles. "Bisogna dire questo a Erdogan: - ha detto Schulz - non è l'Unione europea che vuole aderire alla Turchia, ma viceversa. Il governo sta preparando una legge per controllare le reti sociali. Il primo ministro turco dieci giorni fa aveva accusato twitter, usato massicciamente dai giovani ribelli, come una ''minaccia per la societa'''. Circa 50 ragazzi sono stati arrestati la settimana scorsa per dei tweet ritenuti sediziosi.[MORE]

Ancora scontri tra manifestanti e polizia in Turchia. I due sindacati Disk e Kesk hanno indetto una giornata di scioperi contro il governo. Nel Paese la situazione rimane molto tesa. La repressione della protesta ha portato ad un feroce attacco, che ha fatto 800 feriti, tra cui bambini colpiti da proiettili di gomma, migliaia di persone bruciate dagli agenti urticanti messi dalla polizia nell’acqua degli idranti e soffocate dalle nubi nei gas lacrimogeni. Avrà mai fine questa violenza?

Il problema è di difficile soluzione e se davvero siamo, come spero, di fronte ad una “primavera turca” , ci saranno ancora morti e feriti, anche perché Erdogan non sembra affatto intenzionato a lasciare il potere o tanto meno a darla vinta ai manifestanti. Ascoltare le ragioni di chi manifesta d’altro canto significherebbe rinnegare le scelte fatte negli ultimi anni e aprire la strada ad ulteriori proteste nei confronti della politica liberticida abbracciata dal leader turco.

Quando era arrivato al potere oltre dieci anni fa, Erdogan aveva dato all’integrazione europea la sua importanza. Parlava concretamente della libertà religiosa, linguistica, culturale e di espressione. Undici anni dopo, le affermazioni sono completamente diverse. Erdogan accusa la Ue di “ipocrisia”; si lamenta di una “situazione tragicomica” e a tutti coloro che criticano la sua gestione della crisi attuale risponde che la Turchia non deve certo prendere lezioni di democrazia dall’Europa. L’impressione è che il primo ministro turco non voglia vedere l’integrazione europea per il suo Stato.


L’ingresso della Turchia nell’UE porterebbe vantaggi ai turchi e all’Europa. L’Unione europea guadagnerebbe in multiculturalità, in ponti geograficamente strategici, accoglierebbe una nazione economicamente vivace, mentre la Turchia, che è già uno splendido incontro di religioni, filosofie e stili di vita, forse troverebbe quell’equilibrio interiore che la classe politica attuale non riesce a darle o non vuole darle. Erdogan ha capito che certi requisiti sul piano dei diritti umani sono fondamentali, insieme ad altri, per l’ingresso in Europa e dunque non è interessato a far fare questo passo alla propria nazione. Il fatto che si sia fatto portabandiera della “primavera araba” per poi massacrare di manganellate i suoi stessi cittadini la dice lunga sulla strategia che intende seguire. C’è da capire se intenderà perseverare con la linea dura o se e come tratterà una pace armata. Le due facce di Erdogan stanno crollando per la vergognosa discrepanza fra le comunicazioni alla comunità internazionale e i fatti sul territorio nazionale, ma un dubbio serpeggia: che si prepari a negoziare con l’Europa?

«Non riconosco il Parlamento europeo», così il premier turco dice dopo che giovedì scorso l’assemblea Ue ha approvato una risoluzione molto critica nei confronti di Ankara per la brutalità delle forze dell’ordine e il modo in cui il governo sta gestendo la protesta partita da Gezi Park. La politica di Erdogan sta spaccando in due il Paese al punto che il capo dell’opposizione è intervenuto affermando che «nemmeno Hitler aveva immaginato di trasformare un’intera città in una grande camera a gas». Il governo di Erdogan è una sorta di dittatura?

In passato avrei avuto maggiori dubbi, adesso sono quasi sicuro di trovarmi difronte ad una forma di dittatura. Bisogna però avere chiaro in testa che le dittature odierne sono molto diverse da quelle del passato, in quanto più subdole, spesso più legittimate sul piano internazionale, legate sovente ad interessi personali anche di natura criminale. Ad Erdogan è scoppiato il proprio popolo in faccia. Spero non si arrivi alla guerra civile, ma mi auguro con tutto il cuore che le manifestazioni in atto portino a degli sviluppi positivi per la popolazione. Importante, come sempre e come ovunque, è la copertura mediatica di ciò che accade in quel Paese, mantenere alto l’interesse del mondo.

I giornalisti sono nel mirino delle forze di polizia: diversi reporter sono stati picchiati e/o arrestati dalle forze antisommossa. Sul sito di Rsf Europa sono state diffuse le immagini dell’arresto del giornalista turco Gokhan Bicic, fermato e buttato a terra da quattro agenti. Tra le centinaia di persone fermate nelle proteste in Turchia c’è anche un italiano, Daniele Stefanini, un fotografo livornese 28enne: è stato fermato nella metropoli sul Bosforo dopo essere rimasto ferito negli scontri di piazza di domenica. Stefanini lavora da due anni circa come freelance a Roma. In Turchia si trovava da alcuni giorni per documentare le proteste di Istanbul dopo aver lavorato anche durante le proteste degli Indignados a Madrid. Il giornalista italiano fermato in Turchia è uno dei tanti giornalisti che, per fare bene il proprio lavoro, rischiano la vita. È davvero necessario mettere a repentaglio la propria vita?

Nel momento in cui cogli, recepisci l’importanza di ciò che stai documentando, il fatto che il tuo lavoro non è più semplicemente informare i lettori o gli spettatori, ma che mantieni viva l’attenzione su una crisi profonda della democrazia e su una violazione palese dei diritti umani penso che anche il timore di rischiare la vita si pieghi a ragioni e a valori più alti. Ciò che manca è il riconoscimento del valore di ciò che certi giornalisti e fotografi stanno facendo: l’attenzione dei lettori cala rapidamente e nuove notizie avanzano scalzando quelle ormai “vecchie”. E i politici di ogni latitudine e longitudine lo sanno.

La Turchia è più lontana dall’Europa, nonostante le immagini della feroce repressione di ragazzi che chiedono più democrazia e libertà oppure è più vicina all’Europa? Di fatto i ragazzi scesi in piazza per salvare un parco dall’ennesimo progetto cementificatore di Erdogan, poi in tutto lo Stato per denunciare la pesante repressione delle manifestazioni e infine per chiedere le dimissioni del premier e una democrazia vera e propria, dovrebbero essere uguali ai loro coetanei europei, non credi?

Il popolo difficilmente si allontana dalla democrazia, molto spesso è la politica che si allontana dalla buona politica, dall’interesse nazionale e sovranazionale. La Turchia è più vicina adesso all’Europa di quanto lo fosse solo alcune settimane fa. Fa male vedere persone scese in piazza pacificamente per farsi sentire attaccate dalle forze dell’ordine, ma questo è qualcosa che si è già visto anche in Europa, anche in Italia ad esempio al G8 del 2001 a Genova. Non fu una violazione dei diritti umani? I giovani anche lì presero botte e furono arrestati. Ciò che si è visto in Francia nelle banlieue è la rabbia della gente nei confronti di una politica incapace. Le manifestazioni pacifiche uniscono e fanno parte del processo di formazione di una comunità alla ricerca delle proprie libertà, la violenza di ogni genere invece divide e crea solchi, crepacci come quello che si è creato in Turchia. L’uguaglianza deve risiedere nella medesima possibilità di accesso ad una vita migliore. La politica in molti Paesi, l’Italia ne è un esempio, ha riservato a se stessa questi accessi, attenzione che un popolo non scoppi in faccia ad altri altrove oltre che in Turchia.
 

Alessandro Bertolucci e Giulia Farneti

 


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