"Malgrado tutto quello che ho visto, che vedo, io credo all'uomo", Oriana Fallaci
Cronaca Toscana

"Malgrado tutto quello che ho visto, che vedo, io credo all'uomo", Oriana Fallaci

mercoledì 14 settembre, 2011

FIRENZE, 14 SETTEMBRE 2011- Il 15 settembre di 5 anni fa si spegneva Oriana Fallaci, a causa di un tumore ai polmoni, l’alieno, come lei stessa era solita definirlo. Avendo insito nel suo Dna il gene dell’inviata in prima linea sui fronti di guerra, affrontò la sua malattia, nello stesso modo in cui aveva affrontato la vita: Sempre all’attacco, a suo modo aggredendola e guardandola con aria di sfida e di disprezzo. [MORE]


«Sono nata a Firenze il 29/6/1929 da genitori fiorentini: Tosca ed Edoardo Fallaci. Da parte di mia madre, tuttavia, esiste un “filone” spagnolo: la sua bisnonna era di Barcellona. Da parte di mio padre, un “filone” romagnolo: sua madre era di Cesena. Connubio pessimo, com’è ovvio, nei risultati temperamentali. Mi ritengo comunque una fiorentina pura. Fiorentino parlo, fiorentino penso, fiorentino sento. Fiorentina è la mia cultura e la mia educazione. All’estero, quando mi chiedono a quale Paese appartengo, rispondo: Firenze. Non: Italia. Perché non è la stessa cosa». In questo modo parlava delle sue orinini la giornalista e scrittrice Oriana Fallaci in “La vita di Oriana narrata da Oriana stessa per i lettori dell’«Europeo»”.


Continua la giornalista, “Ho avuto la fortuna di essere stata cresciuta da due genitori molto coraggiosi fisicamente e moralmente”. Infatti, il padre Edoardo, fu un eroe della Resistenza, catturato e torturato dai tedeschi a Villa Triste.


Ed è così che Oriana Fallaci “comincia” a diventare “Oriana Fallaci”, nella Firenze di fine Seconda Guerra Mondiale, sotto i bombardamenti, prima degli alleati e poi dei tedeschi, che deturparono la sua città, lasciandole un graffio indelebile e risvegliando il suo DNA: “La guerra mi è sempre interessata. Sono cresciuta nella guerra. Fin da bambina, non ho visto che guerra, non ho sentito che parlare di guerra. Da grande ho cercato di tornarci, di rivederla per capirla meglio”.


Lo ha fatto con coraggio, acume, abnegazione, “in direzione ostinata e contraria”. Grazie alla sua “penna”, ha sempre fatto sentire la sua voce forte, levandosi contro le ingiustizie fin da giovanissima. Infatti, esordisce, non ancora diciassettenne, come cronista presso un quotidiano fiorentino, il 'Mattino dell'Italia centrale', perchè è la scrittura il grande amore della Fallaci: "La prima volta che sedetti alla macchina da scrivere, mi innamorai delle parole che emergevano come gocce, una alla volta, e rimanevano sul foglio… ogni goccia diventava qualcosa che se detta sarebbe scivolata via, ma sulle pagine quelle parole diventavano tangibili".


Da quell’inizio, tanta è stata la strada percorsa dalla Fallaci, tanti gli articoli, i libri, le interviste realizzate (noti i suoi "faccia a faccia", raccolti nel libro Intervista con la Storia (1974), con Henry Kissinger, Nguyen Van Giap, Golda Meir, Gheddafi, Deng Xiao Ping e Khomeini e molti altri illustri personaggi dell’epoca) .


Carattere forte e difficile: "Amava saltare da un elicottero all'altro, sguazzare nel fango, sudare anzi friggere sotto un elmetto arroventato o rinchiusa in un autoblindo. Ho visto raramente qualcuno lavorare con tanta passione e trasferire questa passione nei propri scritti e riuscire ad imprimere su ogni frase tante sequenze di immagini significative. Oriana non dimenticava un solo istante che per essere letta da molti si deve stupire e quindi accendere fantasie e ferire suscettibilità, sia pure senza mai perdere di vista i bersagli reali, quelli che contano. Quella era la giovane Fallaci. In Vietnam, in Cambogia, in Libano faticava come un soldataccio". Così la ricordò Bernardo Valli, su “La Repubblica”, pochi giorni dopo la sua scomparsa.


Lei stessa ne era consapevole e si descriveva così: “Inizio a lavorare presto la mattina (otto, otto e mezza) e vado avanti fino alle sei o sette di sera senza interruzione, senza mangiare e senza riposare. Dormo male la notte. Non vedo nessuno. Non rispondo al telefono. Non vado da nessuna parte. Ignoro le domeniche, le feste, il Natale, il Capodanno. Divento isterica, in altre parole, e infelice e colpevole se non produco molto. A proposito, sono una scrittrice molto lenta. E riscrivo ossessivamente”.


Aspetto cararatteriale che conservò ed ostentò fino alla fine, come testimonia l’ultima intervista concessa al ‘New Yorker’ (pubblicato il 30 maggio 2006, un articolo, lungo dieci pagine, è titolato The Agitator - Oriana Fallaci indirizza la sua furia contro l'Islam), in cui la Fallaci ribadisce “ la sua spontanea unicità, il suo desiderio di rimanere, nonostante l’età, sempre lontana da ogni schema del politically correct: Apro la mia boccaccia. [...] E dico quello che mi pare”.

 

Tuttavia, Oriana sapeva essere dura e dolce allo stesso tempo (è sufficiente pensare alla storia d’amore con Alekos Panagulis, eroe della Resistenza greca durante il regime dei colonnelli, morto nel 1976, ed anche al tragico monologo di una donna al figlio che porta in grembo, in “Lettera ad un bambino mai nato” ) .
Non era soltanto una “macchina da guerra”. Infatti, come lei stessa sottolineò nella prefazione di Interviste con la storia, “Non mi sento e non mi sentirò mai come un freddo registratore di ciò che vedo e sento. Su ogni esperienza personale lascio brandelli d’anima e partecipo a ciò che sento come se mi riguardasse personalmente e dovessi prendere una posizione”.

 

L’ultimo atto d’amore, però, Oriana Fallaci lo dedicò alla sua Firenze, chiedendo di esservi trasportata nell’agosto del 2006, quando le sue condizioni di salute si aggravarono. Decise di tornare lì dove era diventata “Oriana Fallaci”, perché l’ultima cosa che desiderava vedere, prima di chiudere gli occhi definitivamente, era la Cupola di Santa Maria del Fiore, il duomo di Firenze. E così fu.


Pensando a ciò che sarebbe rimasto del suo lavoro dopo la sua morte, la Fallaci aveva dichiarato che sperava di "morire un po' meno, quando morirò. Di lasciare dei bambini che non ho (…) di fare pensare la gente un po' di più, fuori dai dogmi che questa società ci ha inculcato per secoli. Di fornire alla gente storie e idee che l'aiutino a capire meglio, a pensare meglio, a conoscere un po' di più".


Sulla sua lapide, soltanto tre parole: «Oriana Fallaci. Scrittore». Non aveva bisogno di epitaffi pomposi, quelli si lasciano a chi nella vita ha risposto con pochi fatti.
 

Rosy Merola


Autore
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