"Una fragile armonia" di Yaron Zilberman, c'eravamo tanto accordati
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"Una fragile armonia" di Yaron Zilberman, c'eravamo tanto accordati

giovedì 12 settembre, 2013

UNA FRAGILE ARMONIA DI YARON ZILBERMAN, LA RECENSIONE -  Il sipario è già alzato, ma le sedie sul palco sono vuote. La platea aspetta, le teste confuse nell’oscurità ed il palpabile brivido dell’attesa. Qualcuno tossisce, poi il rumore dei passi sembra quello d’un battito cardiaco. Eccoli, allo scroscio d’applausi, i magnifici quattro: Peter Mitchell (Christopher Walken), violoncellista e chioccia del gruppo; Daniel Lerner (Mark Ivanir), primo violino e “prima donna”; Robert Gelbart (Philip Seymour Hoffman), secondo violino col complesso del secondo; sua moglie, Juliet Gelbart (Catherine Keener), musicista sensibile ma coniuge e madre frustrata. Si siedono, e la macchina da presa indugia sui rispettivi volti, più o meno tirati. Poi comincia la musica: non quella dello storico quartetto d'archi, The Fugue, bensì quella del regista Yaron Zilberman, in fuga dal documentario per l’audace esperienza della cinema di fiction. E la fragile melodia racconta del decano Peter col Parkinson e della reazione a catena di squilibri nel gruppo: dal secondo violino insoddisfatto, alla coppia che scoppia, fino alla liaison del violinista provetto con la giovanissima allieva, figlia dei due colleghi di quartetto. Si cercherà di comporre le stecche nel coro.[MORE]

ACCORDI E DISACCORDI – Il titolo originale di Una fragile armonia di Yaron Zilberman, A Late Quartet, combina, proprio come in una fuga musicale, due temi diversi. Da un lato si riferisce all’Opus 131 di Beethoven, opera matura di ardua interpretazione, che solletica una ricerca spasmodica della perfezione, sia sotto forma di un’ossessione individuale (Daniel), sia come necessità di ritrovare, conservare e rifondare inesaustamente gli equilibri di gruppo; dall’altro indica l’autunno del quartetto di Manhattan, fragile come gli autunni, di splendida malinconia come gli autunni – finché resistono.

Messa così, e condita con inevitabili intrecci, chiavi multiple, studiate variazioni, più poderose incursioni soliste dei quattro bravi protagonisti, ma soprattutto con l’ovvio gioco delle implicite assonanze tra l’esperienza professionale, ed umana, della musica, e le vicende dei singoli musicisti, il film di Zilberman incontra non poche difficoltà nell’accordarsi al giusto tono, senza stridere con stucchevolezze, senza annoiare con esecuzioni diligenti. Qualcosa alla sindrome della soap rischia di concedere, rasentando in più di un tratto la prevedibilità, ma l’effetto drammatico complessivo è orchestrato piuttosto abilmente.

C’ERAVAMO TANTO AMATI - Piace, in Una fragile armonia, proprio questa osmosi tra gruppo musicale e gruppo di persone, come se il primo assorbisse, o divorasse, o purificasse le tensioni interne, le vite private, le ambizioni. La decadenza fisica di Peter, un Christopher Walken sanamente maturo, sembra accompagnarsi ad un complessivo logoramento morale e amorale – nel senso di “d’amore” – del quartetto. Le bellissime sequenze in cui le dita tremanti di Robert non riescono a blandire le impervie richieste dello spartito sulle corde del violoncello, sembrano esprimere questa difficoltà di amare, di amarsi: com’è difficile, per Daniel, accarezzare il corpo di una donna, se è la giovane figlia dei tuoi due colleghi di quartetto; com’è difficile, per Robert, far scivolare le dita sulla pelle della moglie, che da giovane – e ancora? – desiderava il primo violinista, ed ora pare proibita come il primo violino; com’è difficile, per Juliet, sfiorare il viso della figlia Alexandra (Imogen Poots), talentuosa e piena d’astio per un’infanzia coi genitori lontani.

 

MUSICISTI “DOC” – Eppure, nel documentario in cui i quattro parlano della storia del quartetto, per festeggiarne i 25 anni, tutto sembra attutirsi tra amarcord e dichiarazioni d’amore, e persino l’irrequieta figlia si commuove – lo schermo diventa un grembo. Il quartetto è un grembo. Ma alcuni scalciano. Le immagini – consolidate da anni – sfarfallano. Le dita tremano. Tutto si costruisce su questo movimento tra armonia e disarmonia, rassicurante protezione e tesa stagnazione, il tutto e la parte, catarsi dell’arte e difficile arte di vivere: una sospensione che nutre di gracilità il dramma, sfiorando il punto di rottura, la concessione della dissonanza. Ed è apprezzabile che ad ognuno venga riservato il giusto spazio: se è vero che il ruolo del secondo violino, dice Robert, è quello di “tenere tutti assieme”, così nel film non c’è singolo “assolo” che sia davvero solitario. Anche le solitudini fanno melodia di gruppo: Peter\Walken, da solo, all’incontro dei malati di Parkinson, è l’unico che non fa esercizi di scioglimento muscolare, ma nel proprio isolamento sembra avvertire con amarezza le ricadute della malattia sul quartetto; Robert\Hoffman che si fa la barba, allo specchio, sembra quasi ricercare una sobrietà personale, sapendo di essere stato una spina nel fianco del gruppo. Sono sfumature che non sarebbe dato apprezzare, se non fosse per l’indubbio talento dei singoli interpreti, con Walken e Hoffman su tutti, a gestire una delicata coesione del cast.

PABLO CASALS DOCET - Alla fine, vien da pensare all’episodio che Peter racconta alla classe in merito all’incontro col famoso violoncellista Pablo Casals: aveva suonato con questi - malissimo, credeva; sbagliando, ma ricevendo solo sorprendenti complimenti. Qualche anno dopo il Maestro gli avrebbe spiegato il senso di quei complimenti: nonostante gli errori, era rimasto abbagliato dall’espressività della diteggiatura e dell’articolazione. Commovente ma con squisitezza, pervaso da un’aura malinconica e come sospeso tra gli umori labili dei suoi interpreti, Una fragile armonia di Yaron Zilberman possiede la tensione di un’esecuzione imperfetta, sopravvivendo ad inevitabili cadute di calibratura con i guizzi di fine sensibilità e l’atmosfera di un’umanissima ricerca d’amore e perfezione.

Titolo originale: A Late Quartet
Regia: Yaron Zilberman
Interpreti: Christopher Walken, Philip Seymour Hoffman, Catherine Keener, Mark Ivanir, Imogen Poots
Origine: USA, 2012
Distribuzione: Good Films
Durata: 105'

Antonio Maiorino
Critico d'arte e di cinema
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