Pillole di Storia della Repubblica italiana: Francesco Cossiga il "picconatore" del Quirinale
Cronaca Toscana

Pillole di Storia della Repubblica italiana: Francesco Cossiga il "picconatore" del Quirinale

mercoledì 17 aprile, 2013

ROMA, 17 APRILE 2013- Francesco Cossiga è stato senza dubbio uno degli inquilini più discussi del Quirinale, soprattutto negli ultimi anni della sua permanenza. Analizzare la sua carriera politica e istituzionale in base al suo settennato (peraltro concluso con circa due mesi d’anticipo) risulterebbe però estremamente riduttivo.

Sardo verace (orgogliosissimo delle sue origini), nacque a Sassari il 26 luglio 1928 da una famiglia d’estrazione medio-boghese e di tendenze repubblicane e antifasciste. Il giovane Francesco dimostrò ben presto la sua brillantezza. Si diplomò con largo anticipo al Liceo classico “Azuni” e, neanche ventenne, si laureò in giurisprudenza dando il via a una carriera universitaria che gli sarebbe in seguito valsa l'insegnamento della materia di diritto costituzionale regionale presso la facoltà di giurisprudenza dell'Università di Sassari. Nel suo prestigioso curriculum vantava il grado di Capitano di fregata della Marina Militare conferito per nomina presidenziale. Nel frattempo si era affacciato alla politica e aveva aderito alla Democrazia cristiana. In quegli stessi anni un suo parente (erano cugini di terzo grado), Enrico Berlinguer, muoveva i primi passi in politica nelle fila del Partito comunista italiano. Mise subito in luce la sua formidabile tempra quando guidò la “rivolta”dei cosiddetti “Giovani turchi”contro i dirigenti democristiani sassaresi.

Nel 1958 venne eletto deputato dando inizio alla sua folgorante escalation politica che lo porterà a ricoprire le massime cariche istituzionali. Il 23 febbraio 1966 fu nominato Sottosegretario alla Difesa nel terzo esecutivo di Aldo Moro, dieci anni più tardi, il 12 febbraio 1976 divenne Ministro dell’Interno, aveva 48 anni. Il Viminale gli diede più di un grattacapo (per usare un eufemismo). Erano gli anni di piombo, le piazze italiane pullulavano di contestatori e gli attentati erano all’ordine del giorno. Cossiga scelse il pugno di ferro in quel clima infuocato e il suo nome venne storpiato in molte occasioni dai manifestanti: con una kappa iniziale ed usando la doppia esse delle SS naziste (sowilo, lettera dell'alfabeto runico), in una forma simile a Koᛊᛊiga. Ma la prova più dura giunse con il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro. Dopo la strage di via Fani creò due “comitati di crisi”, uno ufficiale e uno ristretto. Prevalse la linea della fermezza e non fu mai aperta alcuna trattativa con i brigatisti per il rilascio di Moro, il quale dalla sua prigionia scrisse «Esiste un problema, postosi in molti e civili paesi, di pagare un prezzo per la vita e la libertà di alcune persone estranee, prelevate come mezzo di scambio. Nella grande maggioranza dei casi la risposta è stata positiva ed è stata approvata dall'opinione pubblica».

Cossiga diede le dimissioni da ministro dell'Interno in seguito al ritrovamento del cadavere del presidente della DC in via Caetani. Al giornalista Paolo Guzzanti disse: «Se ho i capelli bianchi e le macchie sulla pelle è per questo. Perché mentre lasciavamo uccidere Moro, me ne rendevo conto. Perché la nostra sofferenza era in sintonia con quella di Moro». Cossiga uscì profondamente segnato, nella mente e nel fisico, dalla vicenda.

Il 4 agosto 1979, il presidente Sandro Pertini lo nominò presidente del Consiglio dei ministri, carica che ricoprì fino all'ottobre del 1980. Si trattò di una presidenza piuttosto breve, sebbene in linea la durata media dei governi dell’epoca, ma turbolenta. Nel corso dei due esecutivi occorre segnalare l’approvazione del Parlamento della legge che avrebbe consentito al Governo Craxi nel 1983 di installare gli euromissili a Comiso e i “fatti” della Fiat del 1980. Nello stesso periodo gli italiani conobbero l'orrore della strage di Bologna e il mistero di Ustica. Su iniziativa del Pci, fu proposto per la messa in stato di accusa da parte del Parlamento, in votazione in seduta comune; l'accusa era di favoreggiamento personale e rivelazione di segreto d'ufficio in favore di Marco Donat Cattin (membro di Prima Linea e figlio del senatore democristiano Carlo Donat-Cattin). Il Parlamento in seduta comune ritenne però manifestamente infondata l'accusa. Nel 1983 si candidò al Senato nel collegio Tempio-Ozieri e venne eletto Presidente del Senato della Repubblica.

Nel 1985, all'età di 57 anni, divenne l'ottavo presidente della Repubblica Italiana, succedendo al socialista Sandro Pertini e guadagnandosi il record di Capo dello Stato più giovane della storia repubblicana, ad oggi. Per la prima volta nella storia repubblicana, l'elezione fu immediata: avvenne al primo scrutinio, con un’ampia maggioranza (752 su 977 votanti). Cossiga ricevette oltre al consenso del suo partito anche di PSI, PCI, PRI, PLI, PSDI e Sinistra indipendente. La prima fase della sua presidenza fu contraddistinta da un low profile. Da buon docente di diritto costituzionale si segnalò per una rigorosa osservanza delle forme detta dalla Costituzione, tanto da presentarsi come il classico “Presidente Notaio”. Il suo atteggiamento mutò dopo la Caduta del Muro di Berlino e il consequenziale ultimo atto del comunismo nell’Europa dell’Est. Cossiga, con un’indiscutibile lungimiranza politica, capì che la fine della Guerra Fredda avrebbe avuto delle ripercussioni anche sul sistema politico italiano, in particolare sulla contrapposizione tra Dc e Pci. Poi esplose il caso Gladio. Le rivelazioni sulla struttura della rete atlantica Stay Behind scatenarono un putiferio. Cossiga si espose in prima persona con un documento inviato alla Procura di Roma, nel quale scrisse: «Rivendico in pieno la tutela di quarant'anni di politica della Difesa e della sicurezza per la salvaguardia dell'integrità nazionale, dell'indipendenza e della sovranità territoriale del nostro Paese nonché della libertà delle istituzioni, anche al fine di rendere giustizia a coloro che agli ordini del governo legittimo hanno operato per la difesa della Patria» (Indro Montanelli, Mario Cervi L'Italia degli anni di fango, Milano, Rizzoli, 1993).

Il 6 dicembre 1991 fu presentata in parlamento da parte dell'allora minoranza la richiesta di messa in stato di accusa per Francesco Cossiga ma il comitato parlamentare ritenne tutte le accuse manifestamente infondate. La Procura di Roma richiese l'archiviazione a favore di Cossiga il 3 febbraio 1992 e l'8 luglio 1994 la richiesta fu accolta dal tribunale dei ministri. Cossiga, inoltre, scrisse: «Il Partito comunista sapeva dell'esistenza di un'organizzazione segreta con le caratteristiche di Gladio. Lo dico perché ne fui informato da Emilio Taviani. (…) Perché i comunisti lanciarono comunque quella campagna e perché inserirono i fatti di Gladio tra le accuse che portarono alla richiesta di incriminazione nei miei confronti? Credo di avere la risposta. Quello dei comunisti fu fuoco di controbatteria: era da poco crollato il Muro di Berlino e temevano che potessero arrivare da quella parte notizie di chissà che genere sul loro conto; quindi, per evitare di trovarsi in imbarazzo, cominciarono a sparare nel mucchio. E io, (…) fui colpito per primo in quanto presidente della Repubblica» (Francesco Cossiga, La versione di K, pag. 159).

Tra le celebri “picconate” anche le accuse di un'eccessiva politicizzazione della magistratura. Cossiga si dimise dalla presidenza della Repubblica il 28 aprile 1992, a dieci settimane dalla scadenza naturale del mandato. Le sue dimissioni furono annunciate attraverso un discorso televisivo che tenne simbolicamente il 25 aprile. Dopo aver lasciato il Colle, Cossiga assistette da spettatore al desolante spettacolo scaturito in seguito all’inchiesta “Mani pulite” che spazzò via la Prima Repubblica. Sfaldatasi la Dc, limitò la sua attività politica al ruolo di senatore a vita. Nel 1998, diede vita ad una nuova formazione politica, l'Unione Democratica per la Repubblica (UDR), con lo scopo di costituire un'alternativa di centro e ricompattare le disperse forze ex-democristiane. Quando Rifondazione comunista fece mancare il suo appoggio al governo Prodi I, Cossiga fu decisivo per la formazione del governo D'Alema I, che fu il primo presidente del Consiglio a provenire dall'ex PCI. Svolse con puntiglio, nonostante l’età e le precarie condizioni di salute, l'attività in Senato. Le sue proverbiali esternazioni (spesso polemiche) non mancarono neanche negli ultimi anni di vita ritagliandosi uno spazio da protagonista fuori dagli schemi. Si spense al Policlinico Gemelli di Roma, all'età di 82 anni, il 17 agosto 2010. Cossiga riposa nel cimitero comunale di Sassari, sepolto nella tomba di famiglia. Nel 2007 scrisse quattro lettere da consegnare, dopo la sua morte, ai quattro vertici dello Stato (Presidente della Repubblica, Presidente del Senato, Presidente del Consiglio dei Ministri e Presidente della Camera dei Deputati),  con le sue ultime volontà politiche.

Un personaggio politico rumoroso e, a suo modo, anticonformista ma soprattutto protagonista di molti capitoli di quel misterioso (per molti  versi inquietante) libro della Prima Repubblica. Ma cosa avrebbe detto Cossiga dell'attuale impasse politico-istituzionale italiana? Chissà. Difficile ipotizzare le considerazioni di una figura a tratti imprevedibile, estremamente sagace e dal notevole acume politico. Forse avrebbe rispolverato una sua frase, un'amara riflessione sul Belpaese che in questi mesi di grandi incertezze sembra trovare una dolorosa conferma  «L'Italia è sempre stato un Paese "incompiuto": il Risorgimento incompleto, la Vittoria mutilata, la Resistenza tradita, la Costituzione inattuata, la democrazia incompiuta. Il paradigma culturale dell'imperfezione genetica lega con un filo forte la storia dello sviluppo politico dell'Italia unita ». (Libero, 21 settembre 2003, p. 17) [MORE]

Davide Scaglione


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