"L'arte della felicità" di Alessandro Rak, poi dicono che non c'è poesia
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"L'arte della felicità" di Alessandro Rak, poi dicono che non c'è poesia

lunedì 25 novembre, 2013

L'ARTE DELLA FELICITA' DI ALESSANDRO RAK, LA RECENSIONE. Più artigianato che arte nel bel film di Alessandro Rak, e più desiderio di poesia che rigenerazione dell'animazione. Ma c'è anima, nonostante la spiritualità a buon mercato.

Alfredo! Alfredo! Aspettami! Non correre! Ma Alfredo corre, e Sergio - il fratello minore - lo rincorre per tutto il film: con la mente, nel ricordo. Anche quando si rifiata per reimmergersi nella realtà dalla durezza del bugnato, in una Napoli tutta cupole e sacchetti dell'immondizia, L'arte della felicità sembra tessersi sul filo del ricordo sfocato, come quello sospeso tra i palazzi a mo' di stenditoio che sgocciola memoria. Tutto melodie riperse nel vicolo, finite nel Tibet senza ritorno, il film d'animazione di Alessandro Rak si sviluppa tra alti e bassi come le note di un pentagramma, cesure tra il passato ed il presente, flashback e luci dai fanali d'un taxi, mentre il tassinaro Sergio, ex musicista in duo col fratello, con la mente confusa e vaghe aspirazioni di ritrovare ispirazione ed affetti perduti, consuma traumi e fa girare a vuoto il tassametro della propria esistenza tra una chiacchierata e l'altra: ora con uno zio vagamente decrescenziano, ora con un'impellicciata borghesona con badante, ora ancora con un creativo del riciclo. Così prova ad elaborare il lutto, tra cicche di sigaretta che campeggiano nel taxi sotto la scritta "vietato fumare" e quelle lettere mai aperte del fratello, fattosi monaco in Oriente, con cui non aveva parlato da mesi, nemmeno su Skype. Si scivola su di un'apocalisse personale, che diventa quella d'una città, e forse di un universo, cercando la ringhiera della felicità. [MORE]

FRATELLO (ANIMATO) DOVE SEI - Acclamato per l'originalità al Festival di Venezia, dove ha aperto la Settimana della Critica, L'arte della felicità è stato salutato come una boccata d'aria nel panorama dell'animazione italiana. Tributo legittimo, per l'attenta ed ispirata cesellatura da liutaio, con preziose rifiniture e quella generosa generatività musicale, per cui non solo le immagini sgorgano in flusso, si cadenzano, volteggiano con ritmo tra la pesantezza della pioggia e dei cornicioni e la leggerezza del barlume in un occhio rattristato, ma si accompagnano ad una colonna sonora come un violino al pianoforte, si annodano nell'ordito della sinestesia tra vista ed udito, della dissolvenza - spesso utilizzata in montaggio - tra reale ed evocato. Pure, nella valorizzazione creativa dell'animazione, Rak sembra abbarbicarsi a tecniche di cinema puro: l'occhio è ancora, per non pochi tratti, quello d'un regista tout court di personaggi in carne ed ossa, piuttosto che di un disegnatore. 

Lunghe fasi statiche con zoom in sui volti, come fossero carrellate da non far deragliare su rughe di volti reali; ampie corsie dialogate, con sorprendente insistenza "radiofonica"; l'assetto drammatico dell'opera esistenziale, da cui fa capolino l'opera lirica: si avrebbe la tentazione di definire l'animazione come un corredo di tavole fuori testo, se non fosse per la coerenza stessa di quel testo, per l'intima solidarietà tra l'immaginazione più sregolata e la crudezza dell'ala tarpata, animazione e realismo. Se da un lato l'effetto è potenziante, con tutto il contributo poetico che l'immagine disegnata può apportare ad un tormento da cinema verità, fino ad amplificarlo in un'apocalisse dai confini allargati, d'altro canto il rischio è quello di un un effetto carillon, di sceneggiature interessanti che assumono la trama musical-visiva per diventare chincaglierie. Meglio dire un bel film artistico, allora, che la via italiana all'animazione. Da ri-generarsi, quest'ultima, nella propria identità di genere, con le proprie peculiarità ed i propri codici, senza necessità d'affratellarsi ad uno script per soccorrerlo con la magia del proprio linguaggio dei segni. Senza fare, cioè, film tradotti in disegni.

COLPA D'ALFREDO - Si apprezza, dunque, che il film abbia un'anima, e che si faccia problematico nella ricerca corale, a più voci e più codici, di un'espressione convincente. Meglio: toccante. L'altro dubbio, però, che a fatica ci si scrolla di dosso, riguarda proprio quanto rischia di disincunearsi dalla foggia dell'espressione: quanto, cioè, potrebbe rischiare di far apparire il film come un trattatello di filosofia orientale, tra buddhismo, zen e dintorni. Non per riesumare fuori tempo massimo qualche spunto di critica letteraria crociana, con la distinzione tra poesia e non poesia, ma chi ha bazzicato un po' di questi lidi d'Oriente, a momenti potrebbe avvertire fin troppa programmatica indulgenza su questo versante, come se il personaggio di Alfredo trascolorasse da fratello in monaco di propaganda, pronto a dispensare pillole d'illuminazione a buon mercato. Reincarnandosi, persino, nei vari personaggi che, in taxi o altrove, a buon mercato propinano qualche brandello di verità personale: dallo speaker santone del programma L'arte della felicità, che dà il titolo al film, al Professore che disserta sull'impatto del buddismo nella civiltà occidentale come fatto più importante del Novecento. Colpa d'Alfredo, dunque, se a tratti il Tibet s'impadronisce dei colori di Napoli, e porta un po' di freddo, un po' di para-ideologico. Per fortuna, l'equilibrio di fondo resta in buona sostanza intatto: così come, però, in una raccolta di poesie haiku, che fissano stati d'animo e cercano di stimolare un'intuizione. La via dello Zen è lastricata di pietrini come questi, almeno come Napoli è lastricata di buone intenzioni e lava del Vesuvio - ma per carità: non osiamo disturbare l'arte del sogno con malignerie su possibili pubblicità spirituali. Ci verrebbero a dire, come nel film di Rak, "e poi dicono che non c'è poesia". 

USCITA CINEMA: 21/11/2013
GENERE: Animazione, Drammatico
REGIA: Alessandro Rak
SCENEGGIATURA: Alessandro Rak, Luciano Stella
MUSICHE: Antonio Fresa, Luigi Scialdone
PRODUZIONE: Big Sur, Mad Entertainment, Rai Cinema
DISTRIBUZIONE: Cinecittà Luce
PAESE: 2013
DURATA: 76 Min
FORMATO: Colore


Antonio Maiorino
Critico cinematografico e d'arte - on 
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