Catanzaro. Le parole dell'Arcivescovo Bertolone al termine della processione di San Vitaliano
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Catanzaro. Le parole dell'Arcivescovo Bertolone al termine della processione di San Vitaliano

martedì 16 luglio, 2019

CATANZARO, 16 LUGLIO - Pubblichiamo il testo integrale dell'arcivescovo Vincenzo Bertolone. Un forte monito alla responsabilità della missione è stato rivolto questa mattina dall’Arcivescovo metropolita di Catanzaro-Squillace, mons. Vincenzo Bertolone, alla comunità ecclesiale in occasione della solennità di San Vitaliano, patrono della città e della diocesi.
Alla solenne concelebrazione nella Basilica dell’Immacolata erano presenti l’Arcivescovo emerito, mons. Antonio Cantisani, il clero, il primo cittadino, Sergio Abramo, autorità istituzionali provinciali e regionali e fedeli laici. 

Pubblichiamo integralmente l'omelia dell'Arcivescovo Mons. Bertolone. 

Omelia per la Messa. (Letture del MARTEDÌ DELLA XV SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO- ANNO DISPARI: ES 2,1-15; Sal 68; Mt 11,20-24)

1. Rendimento di grazie. Carissimi, sorelle e fratelli; confratelli presbiteri, diaconi, consacrate/i: con il Salmista lodiamo e ringraziamo il Signore per avere scelto noi per il patrocinio del Vescovo san Vitaliano! In questo giorno di festa, il Vangelo ci offre una preziosa indicazione per il nostro modus vivendi umano e cristiano: essere sale e luce.

2. Amare: con questo verbo chi crede ed ama come Cristo diventa luce del mondo e sale della terra. Abbiamo iniziato “il buon cammino educativo dell’uomo da parte di Dio” con la proclamazione solenne delle beatitudini. Esse, oltre a rivelarci i tratti del volto del Padre in quelli del Figlio, ci rivelano quelli dell’uomo e, quindi, la via per giungere alla gioia piena. Le "Beatitudini evangeliche" sono poste all'inizio del "discorso della Montagna" come il preludio precede l’inizio di un'opera lirica, la cui musica è eseguita da noi poveri preti. Le beatitudini sono la legge costituzionale del regno di Dio e l'identikit del cristiano. Con il Vangelo odierno Gesù “educa” non solo i suoi discepoli, ma chiunque si metta alla ricerca della verità, per comprendere meglio chi è Dio per noi, chi siamo noi per lui, chi siamo gli uni per gli altri. Gesù si serve di due immagini, semplici e suggestive, per rivelarci la verità sul nostro essere e il nostro operare da cristiani, ovvero sul nostro “esserci” come discepoli di Cristo e figli di Dio. Le due immagini sono il “sale” e la “luce”: preziosi tesori custoditi in vasi di creta, da non conservare, ma da travasare nei luoghi in cui si è perduto il gusto e la speranza di una vita da vivere perché qualcuno ha spento in noi la fiducia. Due immagini, all’apparenza poco simili, ma in realtà complementari e, soprattutto, significative nel precisare il di “più” che la fede dei cristiani porta al mondo; il di “più” che non è un dover essere, ma un “essere”. Sale e luce: sapore e splendore di Dio, per pura grazia, cioè siamo già depositari di un fascino che forse ignoriamo di possedere e che non è rivelabile con argomentazioni umane. Gesù non esordisce dicendo: “Voi dovete essere…”, ma con “Voi siete […]”: sale e luce”, che non appartengono ad una pratica di vita, ma sono doni gratuiti di Dio, che chiedono solo di essere manifestati e condivisi. A noi, però, spetta il compito di prendere piena coscienza e fare davvero la differenza nel mondo. Possiamo essere cioè sapore e splendore di Dio sulla terra: rivelare con la testimonianza della nostra vita la possibilità di una vita sàpida e luminosa.

3. Siamo “sale” quando esprimiamo nella vita il primato di Dio e manifestiamo il sapore divino in ogni pensiero, parola, sentimento e gesto. La nostra identità, quindi, è “sale della terra”. Non a caso san Girolamo chiosava: “Gli apostoli sono chiamati sale perché per mezzo loro viene condito tutto il genere umano”. Così il discepolo è colui che alla “insipienza” del mondo, con la sua visione distorta della vita, contrappone la sapidità e la sapienza di Dio, che è la sapienza stessa del Vangelo al modo del “sale” e quindi, deve sapersi confondere con gli altri, sciogliersi per gli altri: divenire un niente che si perde e scompare perché il tutto possa acquistare il buon sapore di Cristo, perché ognuno possa riscoprire il gusto dolce della bella e buona esistenza cristiana. Del resto, vivere da figli e fratelli amati è per tutti il sapore stesso della vita. Il sale è una abitudinaria realtà del nostro mondo quotidiano, ma la Bibbia l'ha trasformato in un segno spirituale "saporito" di vita e di sapienza, di amore, di purificazione, di salvezza, di testimonianzacalorosa. 

4.Ancora più necessaria all'esistenza umana appare la "luce", dalla quale dipende qualsiasi forma di vita e senza la quale l'uomo non riuscirebbe a orientarsi nel mondo. L'immagine della luce è biblica. L'autore dell'Esodo presenta la gloria di Jahvè "come fiamma abbagliante". In Is.60,19 è chiamata "luce sempiterna". La Bibbia usa immagini luminose per parlare di Dio: " Fa’ brillare su di noi, Signore, la luce del tuo volto! Nella tua luce vediamo la luce. Lampada per i miei passi è la tua parola. Il Signore è mia luce e mia salvezza, di chi avrò paura?"“Voi siete la luce del mondo…”: chi “sa” di Cristo, è luce. Infatti, quella candela accesa nel giorno del nostro Battesimo altro non è che la luce di Cristo, penetrata in noi grazie all’azione dello Spirito Santo. Essa ci rende portatori di una luce che non viene da noi, ma ci è stata data in dono perché la custodissimo e la condividessimo, cioè fare in modo che non si spenga mai; la si condivida e si consumi, bruciando, rischiarando ogni cosa. E così rendere visibile ciò che è invisibile, dare ragione della nostra speranza e della nostra gioia, avvolgere e attraversare ogni cosa con la sapienza luminosa del Vangelo perché tutto si converta in luce. La luce di cui si parla è quella dell'uomo: il giusto, inondato dalla luce divina, diventa a sua volta fiaccola che risplende e riscalda. Il discepolo di Cristo partecipa della luminosità di Dio, come Mosè che scendeva dal monte portando il riverbero della sua divina maestà (Es 34,35). Matteo parla altrove della limpidezza dell'occhio che dà splendore a tutta la persona(6,22-23). Nessuno deve rimanere estraneo al fascino spirituale del vero credente. Al pari della luce,penetra nei più profondi e nascosti ricettacoli del cuore umano e ne mette a nudo le lacune. Ma la luce vera non è quella delle parole, forse nemmeno quella della verità teorica, ma delle "buone opere"(KALÁ ERGA). Matteo intende parlare della benevolenza, della bontà, dell'amore, dello spirito di servizio, che può diventare luce per quanti li sperimentano. Ma i discepoli come possono pretendere di dare luce al mondo? La forza del cristianesimo non è la parola, ma la virtù, la coerenza, la fedeltà, la santità della vita. "La bontà e la carità di alcuni preti, di alcune suore e di laici cattolici, da noi incontrati, hanno influito di più sulla nostra vita che non tanti libri o tante prediche". Sono i fatti, quelli che contano nella vita.Cristo non ha più vangeli, che i cristiani possano leggere ancora, ma ciò che si fa con parole ed opere, ovvero l'evangelo che si scrive con la vita.

5.La responsabilità della missione. Ecco la missione della testimonianza al modo del sale e della luce che presuppone l’imitazione di Cristo e la trasformazione in Cristo e quindi e dell’annuncio del Vangelo della misericordia di Dio, dellaconcretezza e della semplicità del compiere le opere buone e nel farlo con amore. Diceva Raoul Follereau nel suo testamento ai giovani: “Rinunciate alle parole sonore ma vuote. Non guarirete il mondo con dei punti esclamativi”. Il mondo si cambia veramente con il fascino di una vita vissuta naturalmente e senza ostentazioni secondo lo spirito misericordioso delle beatitudini. Nietzsche, il famoso filosofo tedesco, pur dichiarandosi ateo redarguiva i cristiani: “Se la buona novella della vostra Bibbia fosse anche scritta sul vostro volto, voi non avreste bisogno di insistere perché si creda all’autorità della Bibbia: le vostre opere dovrebbero rendere quasi superflua la Bibbia, perché voi stessi dovreste costituire la Bibbia viva”.

6. Le città hanno un’anima. La festa del nostro Patrono ci offre l’occasione per individuare le zone d’ombra, sia nostre sia quelle dei catanzaresi. La Parola uscita dalla bocca di Dio chiede di irrigare la nostra terra, perché – fecondata - dia frutti di bene. Pur avendo ricevuto col Battesimo lo Spirito Santo, spesso siamo insensibili, duri di orecchi, ciechi e con il cuore di sasso! Se “le città hanno un’anima”, come diceva il sindaco di Firenze, Giorgio La Pira, bisogna illuminarne bene il fondo, per trovarvi il volto più vero. Il Maligno è sempre in agguato, pronto a rubare il bene che fu seminato nel nostro cuore, ad oscurare il volto luminoso di una Catanzaro che conosce e apprezza i valori positivi scritti nel profondo della sua coscienza  edattendono di essere nuovamente messi in luce: bene, verità,giustizia, legalità. Oltre a questi valori vanno riscoperti quelli che ci fanno riconoscere come strutturalmente in rapporto: figli e genitori, sorelle e fratelli, generazioni adulte e generazioni giovani. Possiamo sperare di ritrovare davvero tali antichi valori? 

Lasciamoci interrogare dalla nostra tradizione storica, culturale e turistica, nella conoscenza sempre nuova delle persone, cerchiamo assieme le soluzioni per costruire la civiltà dell’amore qui a Catanzaro ed in tutta l’arcidiocesi.

7. Uomini e donne luminosi e illuminanti. San Vitaliano aveva accettato il suo ministero come servizio sacrificandosi e sopportando falsità, ingiurie e persecuzioni, pur di tutelare il bene e la pace del suo popolo. Egli, invita tutti, in particolare gli amministratori, a mettere da parte i propri interessi e ad impegnare tempo e forze per il bene della cittadinanza. Ciò favorirà il nascere o l’irrobustirsi del senso civico, della compartecipazione alla vita pubblica e del dinamismo con cui gruppi e persone -distinti per cultura, appartenenza, competenze-, possono concorrere a costruire la comunità di Catanzaro.

Lasciamoci orientare dalla luminosa figura di san Vitaliano e cerchiamo con grande senso di responsabilità di essere uomini e donne luminosi e illuminanti. Lasciamoci inondare dalla luce di Cristo e diventiamo segni luminosi della sua presenza. 

Conclusione. 

Carissimi, anche noi siamo stati salvati e liberati dall’acqua battesimale e portati nella terra promessa del grembo della nostra mamma: la Chiesa. Come ogni mamma, la Chiesa ci fornisce il latte spirituale dei sacramenti; ci accarezza con la tenerezza del perdono dei nostri errori e peccati; ci allieta con le feste dell’anno liturgico, espressioni gioiose del suo volto di madre. Oggi, soprattutto, ci fa gustare la gioia e la bellezza del Paradiso: se la festa patronale è così bella, così ben preparata, così sentita, immaginiamo che cosa sarà il Paradiso! La Vergine Maria Immacolata, per intercessione del vescovo san Vitaliano, ci conduca per mano lungo la via di liberazione del male e ci prepari alla gioia senza fine! Preghiamo lo Spirito Santo, perché pieghi le nostre rigidità interiori, bruci le scorie negative del male, scaldi le nostre infermità gelide e ci aiuti a costruire  ogni giorno intorno a noi frammenti di cielo. Amen!

Le parole dell'Arcivescovo Bertolone al termine della processione di San Vitaliano 

Le due realtà, la cittadinanza politica e la comunità religiosa, sono qui ai piedi dell’icona del nostro san Vitaliano, che, come ogni anno, ha rivisto e benedetto le strade e le case del centro storico. Ci aiuta, il santo patrono, a comprendere la vera fisionomia della nostra città, la sua identità e la sua vocazione, per capire che cosa è avvenuto, cambiato ed ancora può o potrebbe cambiare.

La festività di san Vitaliano, che è festa della cittadinanza, è proprio uno dei momenti topici, privilegiati, per fare un bilancio, quasi un esame di coscienza. Identità e radici vanno insieme, però non vanno considerate come un quid immodificabile e neppure lette con lo stato d’animo malinconicamente nostalgico, tipico di chi si è costruito un passato tutto ideale (magari inesistente) e non considera altro fuori di quello, respingendo quanto è avvenuto dopo.

La città in cui viviamo non ci appartengono: siamo noi che apparteniamo ad essa. L’ abbiamo ereditata da chi è vissuto prima di noi, come  chi le erediterà dopo di noi. Per questo pensare la città in una prospettiva temporale  include anche una dimensione "morale". Occorre che ciascuno, per quanto può, si faccia carico del compito di rendere più bella, più giusta, più vivibile la propria città, perché noi siamo di passaggio sulla terra, e non possiamo abusarne come se essa ci appartenesse.

La città è un edificio di memorie, ma è anche un memoriale vivo, fatto della carne e della vita dei suoi abitanti. Per questo è nostra responsabilità contribuire alla costruzione di questo edificio tenendo conto di coloro che ci hanno preceduto, di coloro che ci sono accanto e di coloro che verranno. La città di oggi è sempre un po’ la somma delle tante città di ieri e la continuità è data dal suo Patrono. Alla Catanzaro del Novecento, con i suoi fregi e decorazioni stile Liberty, sono succeduti altri stili e caratteri. Questo perché la città vive e così strade, case, cortili, parlano e accolgono. Soprattutto essa parla a noi e di noi, comunità cittadina e cristiana, della nostra Arte sacra, a partire dal Museo diocesano, voluto e creato nel palazzo arcivescovile da mons. Antonio Cantisani nel 1997, completato da mons. Ciliberti. E parlano tutte le chiese, ciascuna con la sua devozione. Parla di noi e per noi la nostra religione popolare, legata al culto e alla processione cittadina del Vescovo Vitaliano. Parlano, soprattutto ai più giovani, anche le lettere, i verbali, le delibere, i manifesti, i protocolli ed ogni altra documentazione attestante i rapporti storici tra  Comune e Diocesi; rapporti che s’intrecciano, in particolar modo, con i festeggiamenti e con questa solenne processione del 16 luglio, dies natalis del santo patrono.

Per questo dico: Catanzaro, ascolta la voce che proviene dalla storia del tuo Vescovo! Oggi le due realtà vogliono ascoltare alcune indicazioni del passato che è diventato presente e poi sarà futuro, provenienti dalla storia di San Vitaliano che così mi sembra parli a tutti: cittadini, devoti, amministratori, tutti cittadini del Meridione. Non perdiamo questa religiosità e fede popolare. Catanzaro, ascolta la voce che proviene dalla storia del tuo Vescovo. Vale la pena di ricordare, che, nel 1311, Pietro Ruffo, conte di Catanzaro, edificò una cappella in cattedrale, per riporvi le reliquie del nostro Santo, dalle quali trasudava la manna. Un fatto di sapore biblico, in particolare la prossimità di Dio al suo popolo nei tremendi momenti di deserto e lungo il cammino verso la terra promessa. Ed a noi che cosa ricorda la manna che trasuda. A quali deserti sociali ci invita a portare aiuto? Che cosa facciamo per i soggetti più deboli della nostra collettività? Quale cultura offriamo a questa città arida? E quale “manna” offriamo ai nostri -troppi- poveri assoluti, coloro che non raggiungono neppure quei livelli ritenuti minimi per la sopravvivenza?

Catanzaro, ascolta la voce che proviene dalla storia del tuo Vescovo: San Vitaliano ci invita a ritrovare la “via” giusta in questo difficile momento, ci invita a renderci conto che la vera città siamo noi ed a considerare la città terrena come metafora del nostro cammino verso la patria del cielo. Ci invita, ancora, a guardare la storia della nostra città (come quella universale) partendo dal basso, dai poveri, dai semplici, dagli impotenti. Così si costruisce l’amicizia civica e si combatte l’ansia di sicurezza  tessendo dialogo, fraternità, amicizia, e seminando grani e scintille di spiritualità che la Chiesa offre. Senza spiritualità la città si riduce a deserto, a luogo senza luce, senza poesia, e senza speranza. Possa allora San Vitaliano rischiarare della sua luce il nostro cammino lungo questa strada impervia, stretta, piena di ostacoli eppure unica e sola da percorrere nel cammino verso il futuro.


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https://www.infooggi.it - Il Diritto Di Sapere

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