Mons. Bertolone: Venerdì Santo Catanzaro alla fine della processione della Naca
Carissimi fratelli e sorelle,
quest’anno ho fatto con voi, per la prima volta, la processione della “Naca”, molto partecipata e sentita e non solo dai catanzaresi.
È una devozione che affonda le radici nelle sacre rappresentazioni medievali e nel desiderio penitenziale dei fedeli, che soprattutto dopo il Concilio di Trento, (che proibì le rappresentazioni nelle chiese), i membri delle confraternite iniziarono a proporre le stesse scene per le vie delle città, arricchendole nel tempo di nuovi simboli.
Abbiamo ripercorso simbolicamente la via Crucis di Gesù, seguendolo verso il calvario.
Il cristiano riconosce nel crocifisso lo straordinario messaggio d’amore al quale si affida, con tutte le fatiche e le ambiguità della sua fede imperfetta; il non credente pensoso e dubbioso sa che quel simbolo ha un valore universale e spalanca le braccia su tutti. [MORE]
L’unica parola che il cristiano ha da consegnare al mondo è la parola della Croce. “Per sapere chi sia Dio devo inginocchiarmi ai piedi della croce”, soleva ripetere il grande teologo gesuita Karl Rahner.
Davanti a un mistero così profondo di morte e di vita è meglio lasciare la parola ai mistici, che hanno fatto un’esperienza interiore della croce, come via e strumento di salvezza per sé e per gli altri. Essi usano parole che nascono dalla vita, senza retorica, senza ideologie.
- “Dove c’è la croce, la risurrezione è vicina”(D. Bonhoeffer).
- “Chi non ha gambe tanto sicure nel cammino della fede, può sempre servirsi della croce come bastone” (E. Stein).
Le opere di Dio, dunque, nascono e crescono ai piedi della croce.
La croce è quel trono di gloria da cui Gesù esercita il suo potere regale di Signore che salva e redime l’umanità dal peccato e dalla morte. E’segno del giudizio di Dio, che si attua in Cristo, un giudizio non di condanna, ma di pietà e di salvezza. La croce che era strumento di morte infamante è diventata da allora per i cristiani via di pace, di amore e di misericordia.
"Riconoscere il valore culturale del Cro¬cifisso, peraltro, non vuol dire svilirne il significato religioso perché la fede con i suoi segni genera civiltà e cultura che di-ventano patrimonio a disposizione di tut¬ti, come dimostra la ricchezza della no-stra storia nazionale e continentale. Il segno del crocifisso poi parla a tutti, sia ai credenti per i quali è certamente il se¬gno della propria fede, sia ai non creden¬ti, per i quali la croce rappresenta comun¬que il segno di quella esperienza umana integrale che ha la propria radice nel sa¬crificio di Gesù Cristo". "Non ricordo di aver mai sentito qualcuno sentirsi offeso da questo segno, anzi spesso ho percepito che molti, anche tra i non credenti, proprio guardando all'uomo della croce, traggono ispirazione e fiducia per andare avanti"
“La croce è il più profondo chinarsi della divinità sull’uomo. La croce è come un tocco dell’eterno amore sulle ferite più dolorose dell’esistenza terrena dell’uomo” (Giovanni Paolo II, Dives in misericordia, n. 8).
Ecco perché il segno della croce è in qualche modo la sintesi della nostra fede perché ci dice quanto Dio ci ha amato; ci dice che nel mondo c’è un amore più forte della morte.
Quante croci ha elevato l’uomo nel corso della storia, soprattutto nel secolo scorso? Auschwitz, Dachau, Siberia, Vietnam, Kosovo, Burundi, Mozambico,? Sono vere le parole di Paolo VI nella Populorum progressio: “L’uomo può costruire il mondo senza Dio; ma alla fine, senza Dio, non fa altro che costruirlo contro l’uomo”.
Appannando o misconoscendo le origini cristiane l’ Europa rischia di rimanere senza solide certezze. È indispensabile, dunque, ricostruire il legame tra fede, ragione e storia, che in passato in Europa ed in altre vaste parti del mondo ha dato buona prova di sé.
Gesù Cristo è presente nel mondo non solo attraverso i “semina Verbi”, i germi del Verbo sparsi nelle culture di tutti i tempi, ma anche e soprattutto nel volto di tutti gli esseri umani crocifissi. Coloro che soffrono sono i portatori privilegiati della presenza di Gesù. Egli ha indicato gli affamati, i prigionieri, i malati, i profughi come le persone nelle quali Egli si identifica in modo particolare (Mt 25, 31-46).
Care sorelle e cari fratelli, davanti a Lui deceleriamo le nostre giornate, mettiamoci ai suoi piedi come Maria sotto la croce, rientriamo in noi stessi. Smettiamo di innalzarci sugli altri, rinunciamo a sentimenti, pensieri, parole e azioni che creano ostilità e barriere. Il volto sofferente del Crocifisso susciti in noi sentimenti e gesti nuovi, come la compassione, la benevolenza, la simpatia, la bontà, l’amore. L’unica gloria dell’uomo è nell’umiltà del servizio e nella ricerca del bene comune non nella logica effimera e dura dell’autoaffermazione nella contrapposizione. Il crocifisso del Signore è stato innalzato davanti a noi e al mondo perché distogliessimo almeno per un po’ lo sguardo da noi stessi o lo volgessimo verso il Cristo.
Ogni volta che facciamo il segno della croce ricordiamo che stiamo facendo memoria del Signore che ha dato la vita per noi. Egli non ci condanna per il nostro egoismo e i nostri peccati, ma con il suo sguardo sofferente si volge a noi quasi supplice per ascoltarlo, per non dimenticare le parole del Vangelo e per imparare finalmente a vivere nel rispetto reciproco e nell’amore.
Il Crocifisso, ai cui piedi oggi desideriamo prostrarci, sia il “punto” su cui oggi tutti noi facciano convergere lo sguardo, per farci illuminare e perché riversi nella nostra mente tanta luce e nel cuore tanto amore.
Amen.
+ Vincenzo Bertolone
Arcivescovo
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