Mons. Vincenzo Bertolone, "Cristo è la nostra pace"
Chiesa e Società Calabria

Mons. Vincenzo Bertolone, "Cristo è la nostra pace"

sabato 27 gennaio, 2018

Pubblichiamo in forma integrale il testo dell'omelia del 27 gennaio a conclusione della marcia della pace Gagliano (Cz) 
Carissime carissimi! La marcia è stata considerata nel passato il modo di camminare dei soldatini in formazione, come cinematografia e letteratura ci hanno spesso proposto. Il recente romanzo storico, La marcia (premio Pulitzer 2006, per la narrativa), dello scrittore statunitense Edgar L. Doctorow, racconta la storia della campagna in armi che, durante la guerra di secessione americana, portò il generale Sherman (unionista) da Atlanta fino al North Carolina. [MORE]

Ma la nostra marcia non è bellica, neppure pacifista, nel senso di semplice movimento sociale contro ogni guerra, così come incominciò a fare il non violento Aldo Capitini, che diede il via al primo esperimento di “tecnica nonviolenta collettiva”, ovvero alla “Marcia della pace per la fratellanza tra i popoli” da Perugia ad Assisi, nella drammatica estate del 1961 quando a Berlino veniva eretto il muro tra Est e Ovest. Quella Marcia attirò un numero di partecipanti superiore a quanti ne speravano gli organizzatori. Dalla Rocca di Assisi, Capitini lesse la “Mozione del popolo della pace”. La nostra marcia diocesana è anche questo, ma non si riduce a questo. La nostra è la Marcia per la pace, guidata da Gesù Cristo, nostra pace: “Egli infatti è la nostra pace, lui che di due popoli fece una sola unità, abbattendo il muro divisorio” (Ef 2,14). Percorrendo le vie dell’antico borgo del quartiere Gagliano, fino a raggiungere la Chiesa del SS. Rosario in via Serra del Gonio e quindi, dopo una sosta di preghiera, la Chiesa parrocchiale S. Maria Assunta, noi stiamo testimoniando che la Chiesa è il popolo della pace.

Cristo è la nostra pace: ecco l’evangelo del cristianesimo e della Chiesa cattolica, che caratterizza non soltanto i civili, ma anche quelle figure cristiane che si arruolano nell'esercito insieme con i presbiteri che svolgono tra loro la missione di cappellani o preti con le stellette. Una domanda è netta e ricorrente nell'opinione pubblica, almeno dai tempi di Tertulliano: fino a che punto è coerente con l'annuncio del valore della pace la vita militare e, ancora di più, un sacerdote che esplica il proprio ministero in condizione armata e di esercito? L'enciclica Pacem in terris, la Costituzione conciliare Gaudium et spes e la Populorum progressio di Paolo VI, ci offrono la risposta esatta a questa domanda che ricorre tra noi: dopo i disastri mondiali delle due guerre del secolo XX, con l'esito della successiva guerra fredda e il lento instaurarsi di un periodo di pace, interrotto oggi dai venti, come dice papa Francesco, di una guerra mondiale come a pezzi, anche chi è in armi persegue la pace, perché questa è esperienza di Dio, da intendere, in positivo, come impegno per la sua realizzazione. Con S. Giovanni XXIII, diciamo che non esiste una guerra giusta e, dunque, sono davvero beati coloro che, anche con le stellette, costruiscono la pace con la non violenza. Il fine comune da raggiungere è quello di una sicurezza fondata sulla fiducia e lealtà internazionali.

Papa Montini, nell’omelia dello storico 8 dicembre 1965, con la quale concludeva il Concilio Vaticano II, in questo spirito cristiano di pace e di pacificazione, rivolse un accorato saluto ai vicini come ai lontani, soprattutto «a voi, uomini che non Ci conoscete; uomini, che non Ci comprendete; uomini, che non Ci credete a voi utili, necessari, ed amici; e anche a voi, uomini, che, forse pensando di far bene, Ci avversate! Un saluto sincero, un saluto discreto, ma pieno di speranza; ed oggi, credetelo, pieno di stima e di amore». L’invito è rivolto a tutti senza distinzioni, anche agli avversari: «Nessuno è estraneo, nessuno è escluso, nessuno è lontano. Ognuno, a cui è diretto il Nostro saluto, è un chiamato, un invitato; è, in certo senso, un presente. Lo dica il cuore di chi ama: ogni amato è presente!».

Papa Francesco il 28 ottobre 2014, incontrando i partecipanti al Convegno mondiale dei movimenti popolari disse : “Stiamo vivendo la terza guerra mondiale, ma a pezzi. Ci sono sistemi economici che per sopravvivere devono fare la guerra. Allora si fabbricano e si vendono armi e così i bilanci delle economie che sacrificano l’uomo ai piedi dell’idolo del denaro ovviamente vengono sanati. E non si pensa ai bambini affamati nei campi profughi, non si pensa ai dislocamenti forzati, non si pensa alle case distrutte, non si pensa neppure a tante vite spezzate. Quanta sofferenza, quanta distruzione, quanto dolore! Oggi, care sorelle e cari fratelli, si leva in ogni parte della terra, in ogni popolo, in ogni cuore e nei movimenti popolari, il grido della pace: Mai più la guerra!” Mentre ci associamo a questo grido di “mai più la guerra”, con la nostra marcia, abbiamo voluto proclamare che siamo pronti a diffondere il messaggio di Paolo: stabilire nella nostra vita una gerarchia di valori: al primo posto l’amore per il Maestro e lo Sposo dei vangeli: tutto dopo di lui, tutto per Cristo, il maggior amore, l’amore più intenso, l’amore esclusivo!

Ecco, carissimi, la consegna per noi, che oggi abbiamo partecipato alla Marcia della pace: essere sentinelle della pace in mezzo al popolo; essere profeti di pace tra la nostra gente! Esserlo insieme con tutte le persone di buona volontà, spegnendo i possibili focolai di guerra armata, soprattutto di aspra competizione sociale, che spesso si accendono nelle nostre terre. Di qui l’esigenza di collaborazione tra comunità ecclesiale e società civile: la Chiesa ritiene di possedere gli strumenti etici, educativo-formativi e operativo-strategici, per fronteggiare ecclesialmente ogni guerra, ogni litigiosità sociale, ogni cancrena civile, anche la guerra mafiosa. Lo fa, lo può ben fare, con la forza disarmata della giustizia del Vangelo, con la profezia della verità divina, con la profezia che ripete le parole stesse di Dio.

È, questa, la follia profetica cristiana, che chiede di amare i nemici e di pregare per i persecutori, di odiare il male ma di amare le persone, anche quelle che sembrano aver smarrito la loro appartenenza all’umanità, e si avvicinano pericolosamente a situazioni di tipo diabolico. È una sfida immane, che non a caso è costata spesso la vita a chi l’ha intrapresa. Qualunque sia l’enormità del male compiuto, quale che sia la consistenza delle strutture di peccato, c’è sempre lo spazio di un profetico discorso cristiano di resistenza. Un discorso profetico che, mentre resiste a ogni espressione del male, afferma a chiare lettere la totale incompatibilità tra Chiesa e mafie, anche attraverso un’azione lenta, ma profonda, di conversione dei mafiosi, per perdonare singolarmente i loro peccati, destituire di fondamento le loro strutture peccaminose, bonificare il loro terreno di coltura.

Augurio finale. Ritornando a casa portate con voi Cristo. La verità che smentisce e tacita ogni menzogna diabolica; diffondete lo stile cristiano, che procede con serenità, senza preoccupazioni e senza deviazioni; annunciate a tutti l’insegnamento nuovo di Cristo, nostra pace, che vince il Maligno con l’amore. Insegniamo ai più giovani ad essere operatori di pace! Facciamo giocare i nostri bambini alla pace! Che il mondo ritorni a sorridere, imitando i tratti del Volto sorridente del Cristo e dei suoi martiri, che hanno subìto violenza, ma non l’hanno praticata!

 


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